Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=viewArticle&code=RAN20110420&articleId=24418
Questa alleanza a dominazione saudita ha appoggiato l’imposizione di una no-fly zone in Libia e ne ha supportato l’attacco da parte degli Stati Uniti e delle potenze europee. Il GCC ha anche fornito personale militare e corpi di polizia per soffocare le insurrezioni contro i rispettivi regimi repressivi di Bahrain e Yemen.
Mentre gli Stati Uniti cercano di mascherare l’aggressione imperialista alla Libia in termini “umanitari”, i suoi alleati del GCC perpetuano violazioni diffuse dei diritti umani, repressione e tortura nei loro stessi paesi. Nei prossimi giorni, questa serie WSWS esaminerà gli abusi dei diritti umani documentati nelle relazioni del Dipartimento di Stato. Questo primo fascicolo riguarda l’Arabia Saudita.
Il Regno dell’Arabia Saudita è una monarchia governata dalla famiglia Al Saud e dal 2005 la popolazione saudita, circa 28,5 milioni di abitanti, è stata governata da re Abdullah bin Abdulaziz Al Saud.
La monarchia regna con poteri dittatoriali affidandosi all’interpretazione della Sharia (legge islamica) e alla Legge Fondamentaledel 1992 che le garantisce poteri assoluti, poteri che sono usati contro gli oppositori politici della monarchia ed in particolare contro i non-cittadini.
Nel rapporto del 2010 del Dipartimento di Stato USA, sono riportati i seguenti “significativi problemi riguardanti i diritti umani”:
“Nessun diritto a cambiare pacificamente governo; torture e abusi fisici; inadeguate condizioni carcerarie e detentive, arresti arbitrari e detenzioni in isolamento; impossibilità a vedersi garantiti processi giusti e pubblici e assenza di processi giusti all’interno del sistema giudiziario; prigionieri politici; restrizioni delle libertà civili quali libertà di parola (incluso internet), riunione, associazione, movimento, e severe restrizioni alla libertà religiosa; corruzione e mancanza di trasparenza a livello governativo.
“Violenza contro le donne e assenza di parità di diritti per le donne, violazioni dei diritti dei bambini, traffico di esseri umani, discriminazione in base a genere, religione, setta ed etnia sono comuni. L’insufficiente garanzia dei diritti dei lavoratori, compreso il sistema d’impiego per sponsorizzazione, rimane un problema grave.”
Esecuzioni, torture e condizioni carcerarie
Mentre i processi a porte chiuse hanno reso impossibile stabilire, nei casi di condanne capitali, se all’imputato è stato garantito un giusto processo, il governo è stato segnalato lo scorso anno per aver ucciso civili in lotta. Il regime ha giustiziato 26 persone nel 2010, tutti per decapitazione, 67 nel 2009 e 102 nel 2008.
Anche se le forze di sicurezza rispondono alle autorità civili, esse operano impunemente sotto la direzione della monarchia. Secondo i rapporti della stampa, nel dicembre 2009 le forze saudite uccisero 54 civili, in gran parte yemeniti, nella città di confine di Al-Nadheer. Nel giugno del 2009, Abdullah al-Rumian, un militante saudita estradato dall’Iraq, morì in carcere.
Numerose sono le segnalazioni di detenuti sottoposti a tortura e ad altri maltrattamenti fisici. Il trentaduenne yemenita Muhammad Abdo Doais Sultan è deceduto nel carcere di Qassim dopo essere stato tenuto in isolamento per quattro anni.
Suliman Al-Reshoudi, ora settantatreenne, membro della ONG Associazione Saudita per i Diritti Civili e Politici (Saudi Civil and Political Rights Association, ACPRA), è stato tenuto in isolamento per tre anni come punizione per il suo impegno a difesa dei diritti umani. Nel rapporto del Dipartimento di Stato si legge che “l’ACPRA denuncia che è stato sottoposto a gravi torture fisiche e psicologiche: tra le altre, gli sono stati legati i piedi alla struttura del letto con due catene ed è stato costretto in una posizione seduta durante il giorno e incatenato durante la notte”.
La Gazetta Saudita ha riportato che un tribunale di Qatif ha condannato due studenti del terzo anno a sei mesi di reclusione e 120 frustate per aver rubato prove d’esame.
Nessun osservatore dei diritti umani indipendente è stato autorizzato a visitare le prigioni saudite nel 2010. I prigionieri in attesa di giudizio sono incarcerati assieme ai detenuti condannati, e non ci sono difensori civici in grado di agire per conto di prigionieri e detenuti. Tutte le forze con potere di arresto fanno capo al Ministero degli Interni (MOI), che conserva ampi poteri per quanto riguarda l’arresto e la detenzione di persone a tempo indeterminato, senza supervisione degli organi giudiziari e in molti casi per settimane, mesi o anche anni.
Diversi scontri si sono verificati in gennaio ed in settembre presso il carcere femminile della Mecca, dove le prigioniere lamentano di non aver accesso a cure mediche, di non ricevere visite dei familiari, di sopportare aggressioni fisiche e condizioni alimentare non igeniche.
Il 25 agosto il quotidiano Al-Watan ha segnalato la morte di cinque etiopi, soffocati a causa del sovraffollamento nel centro di deportazione di Jizan.
In conformità con la sharia, i procedimenti giudiziari possono essere chiusi a discrezione del giudice. La giurisprudenza riguardante la procedura penale non concepisce la presunzione di innocenza né un processo con giuria. Il tribunale presenta tutti i testimoni e non vi è possibilità di difesa dalle prove presentate del governo.
Nel 2008, il governo ha istituito un Tribunale Penale Speciale (Special Criminal Court, SCC) per gestire i casi di sospetti terroristi. Il SCC ha processato 330 persone, quasi esclusivamente con processi a porte chiuse. Sette persone sono state assolte mentre le pene per i condannati andavano dalle multe alla pena di morte.
Il governo controlla rigorosamente tutte le attività politiche e adotta misure punitive nei confronti di coloro che sembrano opporsi alle sue politiche. Secondo Human Rights Watch (Hrw), nel novembre del 2009 il servizio di intelligence interno saudita ha arrestato Jassas Munir, uno sciita critico verso il governo. Jassan ha poi confessato a sua moglie di essere stato arrestato e tenuto in isolamento come punizione per i suoi scritti su internet. A fine del 2010 continuava a rimanere in carcere.
A tutti i dipendenti pubblici è proibito “partecipare, direttamente o indirettamente, alla preparazione di qualsiasi documento, discorso o petizione; a parlare con i media locali e stranieri; a partecipare ad ogni tipo di riunione pensata per contrastare le politiche statali”.
Il governo ha il controllo assoluto di mezzi di comunicazione quali stampa e media radiotelevisivi, allo stesso modo controlla la pubblicazione di libri. La legge su materiali stampati e pubblicazioni, sottolinea il rapporto, “disciplina l’esistenza di materiali stampati; tipografie; librerie; importazione, noleggio e vendita di film; televisione e radio; uffici dei media e dei loro corrispondenti. Tutte le attività dei media sono soggette a censura preventiva del MOI e necessitano una licenza”.
La Commissione di Comunicazione e Tecnologia dell’ Informazione controlla e-mail e internet chat, e blocca i siti che ritiene incompatibili con la Sharia e i regolamenti governativi. Secondo Reporter Senza Frontiere, le autorità sostengono di aver bloccato 400.000 siti web.
Il quotidiano “Il Nazionale” di Abu Dhabi il 15 di giugno ha riportato il fermo e l’incarcerazione, senza nessun’accusa formale, dell’attivista per i diritti umani Mekhlet bin Daham al-Shammary. Nel suo fascicolo si indica come suo presunto crimine il “dar fastidio ad altri”, con incontri politici non autorizzati ossia illegali. Continuava a rimanere in carcere alla fine dell’anno.
La legge del 2007 per la lotta contro la cibercriminalità impone fino a 10 anni di carcere e 4,7 milioni di riyal di multa (1,3 milioni di dollari) per la creazione o la diffusione di siti web considerati “terroristi” o per comunicazioni con i dirigenti di organizzazioni “terroriste”.
La Legge Fondamentale promulgata nel 1992 non prevede la libertà di associazione e vieta la formazione di partiti o gruppi politici, considerati dal governo oppositori o contestatori del regime.
La libertà religiosa non è né riconosciuta né protetta dalla legge. L’Islam sunnita è la religione ufficiale, le altre religioni, comprese quella della minoranza sciita, la cristiana e la giudaica, sono perseguite. Le manifestazioni religiose pubbliche dei non-musulmani sono vietate e l’ateismo è fuori legge.
Non vi sono disposizioni riguardo alla libertà di movimento all’interno del paese, viaggi all’estero, emigrazione o rimpatrio. Tutti i cittadini maschi al di sopra dei 15 anni devono essere in possesso di una carta d’identità nazionale (NIC). Nel corso del 2010 il governo ha revocato, per motivi politici, ad alcuni cittadini il diritto a viaggiare fuori dal paese, senza nessuna notifica e senza il diritto di contestare la restrizione.
La NIC è facoltativa per le donne e ad una donna può essere rilasciata solo con il consenso del suo tutore maschio. Le autorità governative e membri maschi della famiglia possono proibire a donne e bambini di lasciare il paese, in caso di controversie per la custodia e in altre circostanze. Alle donne è anche proibito guidare veicoli a motore.
La Legge Fondamentale impone che lo “stato deve concedere asilo politico se l’interesse comune lo esige”. L’Arabia Saudita non è firmataria né della Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati, né del Protocollo del 1967 relativo allo status dei rifugiati. I servizi di base quali assistenza sanitaria e servizi sociali sono forniti solamente ai cittadini.
La monarchia applica anche una direttiva della Lega Araba contro la naturalizzazione di circa 500.000 palestinesi residenti in Arabia Saudita, per motivi fittizi quali il timore che”perdano la loro identità palestinese” e per “preservare il loro diritto al ritorno”.
Elezioni e rappresentanza politica
Secondo la Legge Fondamentale, la monarchia rappresenta il sistema politico. Il re nomina la Commissione di Lealtà composta da 34 prìncipi anziani che nominano il re o il principe ereditario in caso sia di decesso sia d’impedimento. Il re nomina tutti gli altri ministri.
Il Consiglio Consultivo Comunale è il solo organo di governo eletto e solo i cittadini maschi, dai 21 anni in su, hanno diritto di voto. Alle elezioni del Consiglio nel 2005, le prime dal 1965, solo il 10-15 per cento degli aventi diritto a votare ha partecipato, non erano pesenti osservatori indipendenti e il re assegnò metà dei seggi del Consiglio. Le elezioni del 2009 per il Consiglio sono state rinviate.
Diritti delle donne e dei bambini
Alle donne non vengano concessi gli stessi diritti degli uomini e non esistono leggi che criminalizzano la violenza contro le donne. Lo stupro è punibile secondo la Sharia con sanzioni che vanno dalla fustigazione all’esecuzione ma, seguendo l’interpretazione del governo della legge islamica, i tribunali puniscono prevalentemente sia la vittima sia il colpevole. Lo stupro all’interno del matrimonio non viene riconosciuto.
La maggior parte dei casi di stupro non vengono denunciati per la paura delle vittime dell’azione penale, la rappresaglia sociele, la diminuzione delle possibilità di sposarsi, le accuse di adulterio o la possibile incarcerazione. Una donna vittima di stupro è spesso ritenuta colpevole di “promiscuità sessuale”, illegale.
L’ONG Migrants Rights ha riportato il caso di una filippina che sosteneva di essere stata violentata da un collega del Bangladesh. Lei fu arrestata e detenuta nella prigione di Hafer Al Baten per avere avuto una relazione illecita. Il suo datore di lavoro ha contattato il governo per rimpatriarla.
Secondo HRW, Aisha Ali, divorziata e madre di tre figli, è stata privata della libertà, picchiata e costretta a sposarsi cinque volte contro la sua volontà. Fu poi messa in un ricovero temporaneo per tre mesi dalle autorità e poi restituita ai suoi fratelli.
L’organizzazione per i diritti umani ha anche riportato il caso di Sawsan Salim, condannata a 300 frustate e un anno e mezzo in carcere per aver denunciato “false” molestie dei funzionari governativi in tribunale e per “visitare gli uffici del governo senza un tutore maschile”. Uno dei due giudici del caso era uno dei funzionario che lei stessa aveva accusato di molestie.
Le donne sono discriminate in tribunale dove la loro testimonianza conta la metà di quella di un uomo. La legge vieta alle donne di sposare uomini non musulmani, ma gli uomini possono sposare cristiane ed ebree; le donne devono avere motivi legalmente specifici per richiedere il divorzio mentre gli uomini possono ottenere il divorzio senza fornire alcuna motivazione. In caso di controversie per la custodia, dopo che i bambini raggiungono una certa età, il marito divorziato o la sua famiglia sono gli affidatari.
La Sharia indica che le ragazze possono sposarsi una volta raggiunta la pubertà ma le autorità religiose in Arabia Saudita autorizzano bambine di 10 anni a sposarsi. Tali matrimoni sono talvolta organizzati dalle famiglie senza il consenso della ragazza, in particolare nelle zone rurali, e spesso servono a ripagare debiti.
Non esistono leggi specifiche che disciplinano le sanzioni relative a prostituzione minorile, stupro, o che stabiliscono l’età del sesso consensuale. L’Arabia Saudita non è parte alla Convenzione dell’Aia del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori.
Norme culturali obbligano poi le donne ad indossare un abaya (largo e lungo manto nero) in pubblico, e a coprire i capelli.
Discriminazione e diritti dei lavoratori
Mentre la discriminazione razziale è ufficialmente illegale, in pratica i membri delle minoranze nazionali, razziali, etniche e tribali, si trovano a subire una discriminazione diffusa. I lavoratori stranieri provenienti dall’Africa e dall’Asia ne sono particolarmente colpiti. Esistono numerose segnalazioni di aggressioni contro lavoratori stranieri.
Secondo la Sharia, l’attività sessuale tra due persone dello stesso sesso è punita con la la pena di morte o con la fustigazione. Okaz ha riportato che il tribunale di Jeddah ha condannato un uomo, già in carcere, a 500 frustate, cinque anni in più di carcere e un 50.000 riyal di multa (13 mila dollari) di multa per “aver commesso atti omosessuali”.
La legislazione del regime riguardante il lavoro non si occupa del diritto dei lavoratori a formare sindacati indipendenti e ad aderirvi, non ci sono sindacati nel paese. Nei luoghi di lavoro con più di 100 dipendenti, il governo permette la formazione di “comitati di lavoro”, composti esclusivamente da cittadini, con limitazioni al diritto di associazione. I lavoratori scelgono i membri del comitato, ma quest’ultimi sono soggetti ad approvazione del Ministero del Lavoro.
La legge sul lavoro non tutela la contrattazione collettiva. In Arabia Saudita non è previsto il diritto di scioperare e la legge non vieta rappresaglie contro i lavoratori che scioperano.
Sebbene la legislazione sul lavoro stabilisca condizioni di lavoro e di retribuzione, anche per i bambini, ci sono state numerose segnalazioni di lavoro forzato o obbligatorio, in particolare tra i bambini e lavoratori migranti.
I non-cittadini possono risiedere o lavorare in Arabia Saudita solo sotto il patrocinio di un cittadino o di un’impresa. Secondo Human Rights Watch nel 2010 vi erano circa 1,5 milioni di lavoratori domestici stranieri nel paese, donne per la maggior parte. Mentre la legislazione sul lavoro proibisce il lavoro forzato, con multe e divieti di future assunzioni per l’azienda, queste leggi non si applicano ai lavoratori domestici, il più grande gruppo di lavoratori soggetti a lavoro forzato.
Lo scorso anno, centinaia di lavoratori domestici stranieri hanno cercato rifugio presso le loro ambasciate, in fuga da abusi sessuali, altri tipi di violenza e condizioni di schiavitù. Raramente si sono avviati procedimenti penali contro i loro datori di lavoro abusivo.
I bambini provenienti da famiglie saudite povere sono costretti ad elemosinare e i bambini stranieri sono vittime della tratta e portati nel paese specificamente per questo scopo. Durante il corso dell’anno sono stati segnalati 9.520 bambini mendicanti, senza dubbio una stima per difetto, ed in particolare i bambini dello Yemen e dell’Etiopia sono costretti contro la loro volontà all’accattonaggio, alla vendita ambulante e a lavorare nelle imprese delle famiglie saudite.
(Traduzione di Alessandra Bua)
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