Considerato da sempre il crocevia geostrategico degli interessi di diversi Paesi occidentali e mediorientali, la storia del Libano oscilla ancora tra venti di guerra ed un’economia in ripresa. Oggi il “Paese dei cedri” sta riconquistando lentamente una dignitosa posizione economica e finanziaria sui mercati internazionali, cercando di riappropriarsi della sua immagine perduta di “Svizzera del Medio Oriente”, che fu ad esso attribuita per la ricchezza di una parte della sua popolazione e per la presenza di numerose banche che avevano permesso alla capitale Beirut di erigersi a grande piazza d’affari.
Ancora oggi la grande peculiarità del Libano, ed al tempo stesso la causa della propria fragilità politica, è rappresentata dal suo pluralismo, vista la convivenza forzata delle varie comunità di cui si compone la popolazione libanese. Comunità che non godono di autonomia propria, ma sono appoggiate da Paesi terzi interessati esclusivamente a mantenere la propria influenza sul Paese. Nell’attuale mosaico libanese spicca la componente sciita, rappresentata dalla leadership di Hezbollah. Tale formazione politico-militare può contare su un imponente radicamento politico e sociale e può disporre di un’efficiente milizia; essa costituisce in realtà il braccio armato iraniano presente sul territorio libanese per contrastare Israele mettendo sotto pressione i suoi confini. Alla componente sciita fa da contraltare quella sunnita, appoggiata dalla Siria. Quest’ultima ha di recente ripreso il dialogo con l’Arabia Saudita per “coordinare” gli interessi dei due Paesi in Libano; testimonianza di ciò è stata fornita dalla visita di stato a Beirut compiuta a fine luglio dal re saudita Abdullah bin Abldel Aziz e dal presidente siriano Dashar al-Assad. Tale visita ha rappresentato agli occhi dei più attenti osservatori un segnale chiaro contro l’intraprendenza minacciosa di Hezbollah che, peraltro, potrebbe essere colpito dalla condanna del Tribunale Speciale per il Libano per le vicende legate all’assassinio di Rafiq al-Hariri. Tale Tribunale fu istituito nel 2007 con la risoluzione 1757 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per giudicare i responsabili della morte dell’ex premier Rafiq al-Hariri, rimasto vittima di un attentato nel 2005. Esso ha indirizzato in un primo momento la sua attività di indagine nei confronti di 4 alti ufficiali libanesi accusati di aver organizzato un colpo di Stato con il “placet” della Siria. Recentemente, tuttavia, i 4 ufficiali sono stati assolti per mancanza di prove e liberati dopo 4 anni di detenzione. La falsa testimonianza che ha portato al loro arresto ha così indotto il TLS ad estendere le proprie indagini ad Hezbollah: secondo infatti quanto riportato da Fady Noun su AsiaNews, il procuratore generale del Tribunale, Daniel Bellamare, potrebbe dirottare le sue attenzioni su alcuni membri di Hezbollah, alla ricerca di prove che possano prefigurare un loro coinvolgimento nell’assassinio di Hariri. Altre voci invece puntano l’attenzione su Israele.
Il Libano tra speranze di stabilizzazione e venti di guerra
Le speranze di stabilizzazione della situazione interna libanese erano nate dalla svolta impressa alla politica del Paese da Saad Hariri, figlio di Rafiq. Questi uscì vincitore dalle elezioni del 2009 con la sua lista Movimento per il futuro che si era posta a capo di una coalizione sostanzialmente anti-siriana e filo-occidentale, nata dopo l’assassino del padre di Saad. Tuttavia, negli ultimi mesi, il nuovo premier ha cercato un riavvicinamento con la Siria, operando un chiaro cambio di rotta rispetto alle iniziali strategie politiche, dal momento che più volte Saad Hariri aveva accusato Damasco di essere responsabile della morte del padre. Nell’ultimo periodo gli incontri tra i due Paesi si sono fatti più costanti e lo stesso premier libanese ha espresso il suo rammarico per aver accusato la Siria senza chiare prove di colpevolezza. Tale riavvicinamento, tuttavia, sembra avere motivazioni di carattere prevalentemente economico, dal momento che una nuova apertura commerciale tra i due Paesi sarebbe fruttuosa per entrambi e sarebbe anche gradita all’Arabia Saudita, come dimostrato dal vertice tra i tre Paesi avvenuto quest’estate a Beirut.
Al momento, tuttavia, le speranze di stabilizzazione coltivate dalla popolazione libanese sembrano frustrate da due aspetti: il primo è rappresentato dalla disputa di confine avvenuta lo scorso 3 agosto tra israeliani e libanesi, che ha evocato il fantasma di un nuovo conflitto nella regione, facendo tornare in mente lo scontro di quattro anni fa tra truppe israeliane e libanesi lungo la linea blu (scontro che provocò 4 morti). Fortunatamente la presenza nella zona dei caschi blu dell’UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) ha evitato che entrambi gli schieramenti intraprendessero azioni più decise e così l’episodio è rimasto isolato. Episodio che comunque ha dato nuova linfa al movimento di Hezbollah, fornendo ad esso un motivo in più per giustificare la sua presenza nel Sud del Libano e nelle zone di confine, nonché per convincere il popolo libanese della pericolosità di un suo disarmo.
Il secondo aspetto destabilizzante, invece, concerne le ipotesi, provenienti in larga parte dagli Stati Uniti, riguardo ad un prossimo conflitto nella regione: tali ipotesi vedrebbero proprio nel Libano il principale teatro di battaglia e sono state avanzate, fra gli altri, dal Council of Foreign Relations, il quale ha pubblicato lo scorso giugno un saggio di Daniel Kurtzer, ex ambasciatore USA in Egitto ed Israele, dal titolo “Una terza guerra libanese”: in tale saggio vengono delineati scenari preoccupanti che paventano la possibilità dello scoppio di un conflitto provocato da Hezbollah o Israele, che potrebbe coinvolgere anche Iran e Siria. Scenari che lo scorso mese sono stati riproposti da Jeffrey White, veterano dell’intelligence statunitense, in una sua analisi pubblicata dal Washington Institute for Near East Policy (noto per le sue posizioni filo-israeliane).
Considerazioni conclusive
Il saggio di Kurtzer e l’analisi di White evidenziano la fragile situazione interna libanese e soprattutto sottolineano i gravi rischi che comporta l’eccessivo isolamento di Hezbollah all’interno della politica libanese e nel più ampio contesto mediorientale. Un isolamento che potrebbe portare il movimento di Nasrallah a stringere una sempre maggiore collaborazione con il regime iraniano. In quest’ottica l’invio di armi da parte di Teheran conferma l’importanza di tale legame. Inoltre le analisi rivelano come allo stato attuale l’interesse diretto degli Stati Uniti non sia quello di trovare il modo di allontanare Hezbollah dall’Iran, dal momento che gli americani sembrano quasi “auspicare” un confronto nella regione, assumendo un atteggiamento che, seppur dettato dai continui scontri diplomatici con Teheran, non deve portare a trascurare l’effettiva pericolosità di un conflitto che avrebbe conseguenze micidiali in particolar modo per la popolazione libanese; quest’ultima, infatti, potrebbe subire un pericoloso isolamento a livello internazionale, che la porrebbe in una posizione di maggiore debolezza rispetto alle continue intromissioni straniere nelle sue vicende politiche ed economiche.
Per ulteriori approfondimenti si veda dal sito di Eurasia:
Le implicazioni geopolitiche di un possibile conflitto tra Israele e Libano
Venti di guerra tra Israele e Libano
Possibile attacco israeliano contro il Libano il prossimo autunno
Riferimenti bibliografici
Fisk, Robert. Il martirio di una nazione. Il Libano in guerra. Il Saggiatore: 2010.
Di Peri, Rosita. Il Libano contemporaneo. Storia, politica, società. Carocci: 2009.
Del Re, Luca. Non chiamatela guerra. Israele-Libano: una storia di confine. Cairo Publishing: 2008.
Corm, Georges. Il Libano contemporaneo, storia e società. Jaca Book, Milano: 2006.
Corm,Georges. L’egemonia americana nel Vicino Oriente. Jaca Book, Milano: 2004.
Corm, Georges. Il Vicino Oriente. Un montaggio irrisolvibile. Jaca Book, Milano: 2004.
Khalaf, Samir. Civil and Uncivil Violence in Lebanon. A History of the Internalization of Communal Conflict. Columbia University Press, New York: 2002.
* Alessandro Daniele è dottore in Relazioni e Politiche Internazionali (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)
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