Fonte: Silvia Cattori

Tutti uniti coi musulmani per interrompere l’assedio di Gaza.

George Galloway, deputato britannico alla Camera dei Comuni (*), è un uomo pacato, vivo, caloroso. Il suo sguardo blu è attento e amichevole. Non ha tempo da perdere. È preoccupato per la gravità della situazione a Gaza. Ha mille impegni, tuttavia ha accettato di tenere, il 26 gennaio, una conferenza a Lione (**). Ed è lì che lo abbiamo incontrato.

28 gennaio 2010, argomenti: Gaza Movimento di solidarietà Diritto internazionale

Con una voce forte, chiara e limpida, egli lascia il suo messaggio: di fronte alla guerra che l’Occidente conduce contro il mondo musulmano, c’è una mortale debolezza della sinistra che non si unisce coi musulmani[i]. È indispensabile che tutte forze progressiste e anti-guerra si uniscano con loro. Poiché attualmente le posizioni dei musulmani sono oggettivamente le stesse di tutti i progressisti del mondo: farla finita con le guerre e le ingiustizie.

Silvia Cattori: Dopo l’ultimo convoglio di “Viva Palestina” a Gaza[ii], che cosa conta di fare?

George Galloway: Penso che il tempo delle discussioni sia finito. I fatti parlano più forte delle parole. Dobbiamo fermare l’assedio di Gaza con tutti i mezzi. L’abbiamo interrotto tre volte nel corso degli ultimi undici mesi; dobbiamo continuare a farlo sempre di più per ottenere la fine definitiva di quest’oppressione.

Non lasceremo sola la popolazione di Gaza. Il prossimo convoglio si farà via mare. Non abbiamo altra scelta. Salperemo nel maggio 2010. Ci saranno navi dell’Africa del Sud, del Venezuela, della Malesia, della Turchia, etc… abbiamo bisogno di più navi possibili, del massimo appoggio del governo, della maggior protezione possibile per portare a Gaza tutto l’aiuto possibile; di cemento, legno, chiodi, per ricostruire Gaza.

Certamente ora che l’Egitto ha vietato l’ingresso dei convogli nel suo territorio, è molto più difficile. Avrei preferito passare sulla terraferma che via mare, non sono un marinaio, ma è l’unica via per andare a Gaza. Vogliamo che questo convoglio internazionale possa navigare sotto bandiera turca, che vi siano a bordo delle personalità eminenti e che possa trasportare una grande quantità di materiale; ad esempio il necessario per ricostruire le case distrutte da Israele. Abbiamo buone probabilità di arrivare in porto. Se riusciamo ad arrivarci, potremo ritornare con le nostre navi piene di prodotti di Gaza ed avviare così una linea commerciale marittima tra Gaza ed il mondo.

Stiamo costruendo una coalizione internazionale; il movimento “Viva Palestina” esiste ora in numerosi paesi: Africa del Sud, Stati Uniti, Malesia, Gran Bretagna, Irlanda; spero che il movimento di solidarietà francese si unisca a noi.

Silvia Cattori: Se ho ben inteso, lei conta di raccogliere ed unificare internazionalmente i gruppi e la gente, attualmente sparsi ed indeboliti, per ottenere la maggior efficacia possibile e diventare eventualmente il leader di tale movimento?

George Galloway: No, non penso di esserne il leader. Credo che la Turchia sia il leader. Il primo ministro Erdogan dovrebbe essere il nostro leader. Penso sia l’unico uomo di Stato che possa realmente avere una grande eco – in particolare nel mondo musulmano, il mondo arabo – e che possa risvegliare il gigante addormentato dell’opinione pubblica araba.

La Turchia è un elemento importantissimo per la nostra riuscita. Rappresenta un nuovo fattore nell’equazione palestinese. Dopo decenni di alleanza strategica con Israele, la Turchia è diretta oggi da un governo che i cittadini del mondo non possono che ammirare. L’ONG umanitaria turca IHHA è stata decisiva per il successo del nostro ultimo convoglio. Ci ha fornito i veicoli ed ha apportato più del 40% delle persone che hanno partecipato. Erdogan è intervenuto personalmente per ottenere il lasciapassare da parte di Mubarak. Ci ha fornito tutto il sostegno politico e diplomatico che ci occorreva affinché potessimo raggiungere il nostro obiettivo di entrare a Gaza per offrire alla popolazione il nostro materiale ed il nostro aiuto.

Silvia Cattori: Vedo che lei si affretta a ripartire ed a lanciarsi in una nuova sfida per attirare l’attenzione del mondo su Gaza e sulla sua popolazione deliberatamente affamata, e sempre messa in trappola da una chiusura più che mai crudele e pericolosa. Ma non è un sogno irrealizzabile? Navigando sotto bandiera turca, non teme di essere accusato di voler istigare uno Stato contro uno Stato? Ciò non sarà considerato da Israele come un atto di guerra?

George Galloway: No, non sarà un atto di guerra perché le acque internazionali sono le acque internazionali, e dopo c’è il mare di Gaza. Bisogna solo avere il coraggio di passare dalle acque internazionali alle acque di Gaza. Non c’è alcune minaccia contro Israele. Il convoglio può essere ispezionato dai funzionari delle Nazioni Unite per verificare che non vi sono armi. Sono già passate diverse imbarcazioni.

Silvia Cattori: I due ultimi tentativi di raggiungere Gaza via mare, nel 2008, sono falliti! E i primi tre tentativi, se sono andati a buon fine, non può essere perché Israele in quel momento aveva un interesse nel lasciarli passare?

George Galloway: Si trattava di una o due imbarcazioni, e non avevano la protezione di Stati importanti. Occorre assicurarsi l’appoggio di Stati che hanno un certo peso. È a ciò che stiamo lavorando ora.

Credo che siamo in grado di creare le condizioni che ci permetteranno di arrivare in porto. Dobbiamo provare, costi quel che costi; in questo contesto di blocco, non c’è altra via per raggiungere Gaza che passando via mare. All’inizio degli anni ’60, quando Berlino Ovest era isolata, tutti i paesi europei hanno organizzato un ponte aereo per apportarle aiuto. È di un ponte così che abbiamo bisogno. Non possiamo farlo via aria, ma possiamo farlo via mare. Più grande sarà, meglio sarà. Dobbiamo andarci numerosi; dobbiamo avere a bordo delle personalità di fama mondiale ed il sostegno di Stati importanti, o almeno di uno Stato importante. E la Turchia sarà, credo, la chiave.

Silvia Cattori: Il gruppo di “Free Gaza” non aveva annunciato la sua intenzione di andare a Gaza nello stesso periodo? Non lavorate insieme?

George Galloway: Non so quello che fa “Free Gaza”; noi rispettiamo quello che fanno. Sappiamo che hanno già ritardato tre volte il loro viaggio; mi auguro che si uniscano al nostro convoglio, ma se decidono di andarci da soli, hanno il mio pieno sostegno.

Silvia Cattori: La gente che si fida di voi, che vi ha accompagnato durante i tre convogli, soprattutto l’ultimo, che impressione ha? Dev’essere stata un’esperienza affascinante e senza dubbio arricchente, ma anche traumatizzante. Com’è ritornata dal terzo ed ultimo convoglio di dicembre-gennaio? E lei? Stanco o più forte?

George Galloway: Più forte. Ma il prossimo convoglio via mare non necessiterà della presenza di altrettante persone. In questo caso, le sole persone che possono essere un aiuto, che possono essere veramente efficaci, sono delle personalità conosciute, dei grandi donatori, e gente che ha esperienza in marina. Non abbiamo bisogno di molti passeggeri su queste navi. È una tattica differente, questa. In un convoglio via terra, tutti sono i benvenuti. Nell’ultimo avevamo con noi 520 persone di 17 paesi. Qui, non avremo bisogno che da 15 a 20 persone per nave.

Silvia Cattori: La gente che ha seguito la vostra lunga e difficoltosa odissea è rimasta impressionata. Deve farle piacere sapere che si sente dire: “Se vedete qualcuno della tempra di Galloway, seguitelo!”. Ma i vostri successi non pesano sulle vostre spalle? È una grande responsabilità!

George Galloway: Si. Ma sono in questa lotta da 35 anni. Avevo 21 anni quando l’ho cominciata. Non l’abbandonerò. Non lasceremo sola la popolazione di Gaza.

(traduzione a cura di Matteo Sardini)

(*) Vedere il sito web di George Galloway:

http://www.georgegalloway.com/index.php

(**) Invitato dall’associazione Résistance Palestine.


[i] Per due volte il pubblico si è alzato in ovazione per esprimergli la propria ammirazione per essere riuscito tre volte nella vera impresa di assicurare l’arrivo degli convogli „Viva Palestina“ a Gaza.

[ii] Vedere: , “ “Viva Palestina”, et maintenant ?”, di Stuart Littlewood, info-palestine.net, 14 gennaio 2010.


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