«Il Mediterraneo deve tornare ad essere un luogo di incontro fra i continenti»
■ L’eurasia è un’idea che ha attraversato culture, tradizioni e pensatori di diversa formazione.
Torna oggi alla ribalta grazie a un nucleo di intellettuali che hanno deciso di riprenderne i tratti essenziali. Ne parliamo con Enrico Galoppini, saggista e traduttore dall’arabo. Ha insegnato per anni Storia dei Paesi islamici presso le Università di Torino e di Enna. È redattore della rivista di studi geopolitici «Eurasia» (www.eurasia-rivista.org). Collabora e ha collaborato a riviste e quotidiani tra cui Limes, Imperi, Eurasia, Levante, La Porta d’Oriente, Kervàn, Africana. Ha pubblicato «Il Fascismo e l’Islàm» (Edizioni «All’Insegna del Veltro», Parma
2001) e «Islamofobia. Attori, tattiche, finalità» (Idem, 2008).
Che cosa si deve intendere per Eurasia e quali sono i vostri principali autori di riferimento?
«Con Eurasia non s’intende un ipernazionalismo, né un ambito territoriale di cui andrebbero definiti i confini. Eurasia non è la somma di Europa ed Asia. Eurasia è un’idea- forza evocante la sostanziale unità delle
civiltà del cosiddetto “Vecchio mondo”. Privilegiando ciò che unisce anziché ciò che divide, tale concetto è antitetico a quello dello scontro di civiltà: Eurasia è in un certo senso sinonimo di dialogo di civiltà. Quanto agli autori di riferimento, non abbiamo dei guru da seguire deterministicamente. Il nostro approccio è infatti geopolitico, quindi improntato a realismo e pragmatismo, non ideologico, dunque utopico-emozionale.
Ma se vogliamo indicare alcuni autori per noi importanti, posso citare Lev N. Gumilëv e Franz Altheim (etnogenesi di vari popoli europei ed asiatici), Mircea Eliade (comparazione delle religioni e dei miti), Georges Dumézil ed Emile Benveniste (studi indoeuropei), Nicolaj S. Trubeckoj (eurasiatismo russo), Giuseppe Tucci e vari “tradizionalisti” come Guénon, Cooramswamy, Burckhardt e Nasr».
Quali scenari prevede nei rapporti tra il mondo islamico vicino e mediorientale e quello cristiano-occidentale?
«È essenziale il recupero del ruolo del Mediterraneo quale “mare interno” con una naturale vocazione all’incontro tra culture e al consolidamento di duraturi rapporti economici e politici tra i popoli che ne abitano le sponde e non solo, poiché il Mediterraneo mette in comunicazione l’Europa propriamente detta sia con l’Asia che con l’Africa, per cui si configura come un crocevia del “Vecchio mondo”. Questo spazio, però, per svolgere questa funzione, deve essere libero dai condizionamenti di potenze esterne che con la dottrina (operativa) dello scontro di civiltà evidenziano l’interesse a fomentare discordie per privilegiare i loro disegni. Ma se gli europei continueranno a concepire se stessi come “occidentali”, considerando la maggioranza dei popoli dell’Eurasia come “orientali”, non vi sono motivi d’ottimismo. Una puntuale conoscenza della civiltà islamica è un buon antidoto contro derive occidentaliste, così come il superamento di un’idea di un’entità
politico-amministrativa (ma non geopolitica) circoscritta alla “penisola” estremo-occidentale dell’Eurasia con caratteri esclusivi rispetto ai suoi immediati vicini (Turchia e Russia sono fondamentali per una pax eurasiatica)».
Secondo lei le guerre che si stanno combattendo in Afghanistan e Iraq sono anche guerre di religione?
«Queste guerre sono state scatenate dagli occidentali per motivi strategici e di dominio. Ma a livello di opinioni pubbliche viene data l’impressione che la posta in gioco sia identitaria. L’Iraq è stato invaso nel
2003 (dopo 12 anni d’embargo) solo grazie alla debolezza della Federazione russa negli anni 90. Esso doveva essere annientato perché il suo governo non era disposto a compromessi sulla “questione palestinese”, nient’affatto limitata al campo palestinese, interessando, grazie alla sua portata strategica e simbolica, l’intera Eurasia. Per quanto riguarda l’Afghanistan, trovandosi al crocevia tra Russia, Cina, India e Iran, la sua occupazione – al di là degli interessi energetici – rappresenta per gli occidentali una mossa per procrastinare un’integrazione eurasiatica per essi esiziale».
«Eurasia» è anche una rivista di geopolitica. Quali scopi persegue?
«Eurasia è una rivista di studi geopolitici che differisce da altre riviste di geopolitica italiane per il suo taglio accademico e non semplicemente divulgativo e giornalistico. Non è tuttavia espressione di una particolare
scuola o metodologia interpretativa. Certo, esiste un orientamento redazionale che si risolve nell’analisi del presente e nella descrizione di ipotesi di scenari realistici e alternativi alla tendenza unipolare. Eurasia,
uno strumento per l’analisi e lo studio del presente attraverso un approccio geopolitico, nasce dalla constatazione del fatto che le analisi economiche e politiche, condizionate da ideologie e visioni del mondo, non offrono una rappresentazione globale e realistica dei nostri tempi; in particolare, non riescono a fornire riposte ai problemi del XXI secolo».
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