Il raggiungimento di uno sbocco su mari caldi, come il Mediterraneo, ha da sempre costituito uno dei più importanti obiettivi geopolitici della politica estera di Pietrogrado e Mosca. Nel corso dei secoli l’Impero Russo si espanse fino a controllare stabilmente tutte le coste settentrionali del Mar Nero. Quando nel 1922 l’Ucraina entrò ufficialmente a far parte dell’URSS, la possibilità di avere accesso al Mediterraneo, venuta meno dopo la Rivoluzione del 1917 e la Guerra Civile (1917-1920), venne assicurata ancora una volta. Ancor’oggi gli interessi russi a mantenere una forte presenza nel Mediterraneo sono percepiti come vitali da Mosca. L’indipendenza ucraina ha ridotto significativamente le coste russe che si affacciano sul Mar Nero e, sebbene nel 1991 fu trovato un accordo tra Mosca e Kiev per la divisione della flotta sovietica nel Mar Nero e la gestione coordinata della base di Sebastopoli, negli ultimi anni il crescente dinamismo dell’Ucraina ha portato ad alcuni contrasti con la Federazione Russa, che vedeva minacciati i propri interessi nella regione. Già nel 2003 Putin siglò un decreto che prevedeva la costruzione di una nuova grande base per la flotta russa nel Mar Nero presso la città russa di Novorossijsk, che avrebbe eventualmente sostituito l’attuale base di Sebastopoli qualora Kiev non si fosse dichiarata disponibile a rinnovare l’accordo, la cui scadenza era prevista nel 2017. Più di recente, nell’aprile 2010, il presidente russo Putin e l’omologo ucraino Janukovich firmarono un accordo per prolungare di venti anni la concessione alla flotta russa, con l’eventuale possibilità di un’ulteriore estensione di altri cinque anni.

Sin dai tempi più remoti, l’accesso al Mediterraneo risponde a due bisogni fondamentali per la Russia. In primo luogo vi è una ragione di ordine commerciale: le acque dei porti del Baltico e del Mar Bianco nei mesi invernali congelano, impedendo così l’attracco alle navi; la seconda ragione è invece di ordine militare, l’aumento continuo dell’importanza della Russia nel contesto internazionale la obbliga ad incrementare la propria capacità di proiezione verso l’estero e la flotta del Mar Nero costituisce un fondamentale tassello di questa capacità. Tuttavia affinché questi elementi trovino la loro giusta contestualizzazione nel quadro della politica estera russa sul Mediterraneo dobbiamo ancora una volta partire da un fattore puramente geografico: il Mar Nero è un bacino chiuso, collegato al Mediterraneo dagli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Il controllo delle coste del Mar Nero non è quindi un fattore sufficiente per l’obiettivo di più ampio respiro della politica estera russa. Assicurare alla proprie flotte, mercantili e soprattutto militari, la possibilità di un passaggio sicuro attraverso questi stretti divenne una necessità imperativa per la politica estera di Pietrogrado prima e di Mosca poi, tanto che dal XVIII al XX secolo la questione degli stretti rappresentò uno degli elementi di maggior contrasto tra la Russia ed i suoi diretti competitori: Gran Bretagna prima e Stati Uniti poi.

Fino all’ascesa al potere di Napoleone, gli interessi militari russi sul Mar Mediterraneo erano motivati principalmente dal conflitto con l’Impero Ottomano e dalla lotta alla pirateria, che vessava i mercantili degli Zar. La nascita del primo Impero Francese e la conseguente modifica degli assetti europei portò ad un sempre maggiore coinvolgimento di Pietrogrado nel bacino del Mediterraneo. Nel 1798 Napoleone Bonaparte era intenzionato a sconfiggere l’ostile Gran Bretagna privandola dell’Egitto, che costituiva per Londra una cerniera tra la madrepatria e le sue colonie asiatiche. Napoleone, in rotta per Alessandria, occupò Malta e disperse l’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, che vi risiedeva. Questo evento ebbe ripercussioni notevoli sulla politica estera dell’Impero Russo nel corso delle Guerre Napoleoniche. Infatti durante la Terza Spartizione della Polonia, nel 1795, l’Impero Russo aveva ottenuto il controllo della regione della Volinia, territorio cattolico sul quale sorgeva un Priorato dei Cavalieri di Malta. Lo Zar Paolo I si dimostrò magnanimo nei confronti dell’Ordine e ne confermò i privilegi, oltre ad incrementarne i benefici, tant’è che, con la caduta di La Valletta, i Cavalieri lo nominarono Gran Maestro. Questo fatto suscitò in Paolo un maggior interesse per il Mediterraneo e la volontà di installare basi navali russe sulle sue isole. Nel 1799 Fëdor Fëdorovič Ušakov venne nominato Ammiraglio Supremo della flotta russa dallo Zar e fu inviato nel Mediterraneo per supportare la campagna italiana del Generale Aleksandr Vasil’evič Suvorov; gli Stretti furono aperti dal Sultano, anch’egli in guerra con Napoleone, dato che la sovranità sull’Egitto apparteneva ancora ad Istanbul. L’Ammiraglio Ušakov liberò le Isole Ionie e ne costituì una repubblica, Paolo I ordinò quindi di assaltare Malta, che era inefficacemente assediata dalla flotta dell’Ammiraglio Nelson da lungo tempo. Londra tuttavia richiese che la flotta russa fosse spostata lungo le coste dell’Egitto – richiesta che suscitò il malcontento tanto di Ušakov quanto dello Zar. L’interesse di Paolo per Malta era infatti evidente e non sorprende che, a seguito della sua occupazione ad opera dei britannici nel 1800, egli si sia irritato tanto da far sprofondare la Russia in un periodo di forte isolamento diplomatico. Paolo I morì poco dopo vittima di una congiura nel 1801, sarà suo figlio, Alessandro I, a risollevare l’Impero dall’isolazionismo dovuto al padre.

La volontà del nuovo Zar era – una volta raggiunta la pace – ottenere una modifica del diritto marittimo, suscitando l’aperta ostilità della Gran Bretagna di Pitt. Nonostante queste incomprensioni, le necessità di guerra portarono alla sottoscrizione di un’alleanza nel 1805. In quegli anni la Russia poteva contare ancora sull’alleanza con l’Impero Ottomano e sul sicuro passaggio negli Stretti: questi restavano un problema, ma posposto rispetto alle altre priorità belliche in Europa. La questione tornò ad acuirsi dopo Austerlitz. Gli ottomani consideravano l’Impero Russo ancora come il nemico principale e se i francesi potevano sconfiggere gli eserciti russi, essi avrebbero potuto proteggere i sudditi ottomani nei Balcani. Persuasa da questo assioma, la Sublime Porta chiuse gli stretti alle navi russe nell’aprile del 1806 e nel dicembre dello stesso anno scoppiò una nuova guerra russo-ottomana. La guerra si protrasse fino al 1812 e vide la vittoria di Pietrogrado; indipendentemente dalle sorti europee. Con il Trattato di Bucarest firmato da Kutuzov il 28 maggio, i turchi cedettero la Bessarabia allo Zar.

Conclusesi le Guerre Napoleoniche l’Impero Russo divenne la prima potenza continentale, mentre il nemico ottomano visse un periodo di forte declino che attirerà le corti europee sui Balcani. Nel 1821 le comunità greche della Rumelia si sollevarono sostenute dai rumeni di Valacchia, ma furono sconfitte dalle milizie del Sultano. La repressione degli ortodossi e la mancata autonomia serba[1] deteriorarono i rapporti tra Pietrogrado e Istanbul. Quando nel 1825 Nicola I salì al trono di Russia, la questione greca giaceva ancora irrisolta. Nonostante alcune divergenze con Londra, Pietrogrado e Vienna iniziarono dei colloqui per concordare un’azione comune. Il Sultano, temendo un fronte comune, si vide costretto ad appoggiare le richieste russe contenute nell’ultimatum del marzo 1826. Il 7 ottobre 1826, con la Convenzione di Akkerman, l’Impero Ottomano assicurò una larga autonomia a Serbia, Moldavia e Valacchia, ma soprattutto garantì alle navi russe il diritto di navigare in acque ottomane ed in ultimo il passaggio per gli Stretti.

Nel frattempo in Grecia era però giunto Ibrahim Pasha, figlio di Mohammed ‘Ali, signore dell’Egitto, e vassallo del Sultano. La situazione per i greci si fece disperata e Francia, Inghilterra e Russia intervennero. La battaglia di Navarino portò alla sconfitta della flotta egiziana, ma questo non fece che spingere il Sultano ad invocare la guerra santa e a revocare il Trattato di Akkerman. Nel 1828 la Russia dichiarava così guerra all’Impero Ottomano. Nel 1829 la guerra si concluse, venne trovata una soluzione alla questione greca garantendole un’ampia autonomia[2] e, con il Trattato di Adrianopoli, l’Impero Russo ottenne l’estensione della frontiera europea con l’Impero Ottomano includendovi il ramo meridionale del delta del Danubio. Inoltre il trattato sanciva che la Russia avrebbe potuto commerciare liberamente nel territorio della Sublime Porta, nonché nel Mar Nero e negli Stretti, ed essi sarebbero stati aperti alle navi di tutte le potenze che si trovavano in pace con il Sultano[3].

La politica di Nicola I si concentrò a questo punto su un rafforzamento dell’influenza russa nell’Impero Ottomano con l’intento di garantirsi il controllo degli stretti. La congiuntura interna turca fu particolarmente favorevole all’obiettivo russo data l’insurrezione dell’Egitto contro il Sultano del 1832. Mohammed ‘Ali, in protesta per il mancato compenso per l’aiuto fornito in Grecia, inviò il figlio in Asia Minore e rapidi successi egiziani misero Istanbul sotto minaccia di attacco diretto. Il Sultano non poté che chiedere aiuto alle potenze europee, e a rispondere all’appello fu solo l’Impero Russo. Mohammed ‘Ali si ritirò ed il Sultano fu costretto a sottoscrivere un nuovo accordo. Nel Trattato di Hunkar Iskelesi l’Impero Russo si impegnò a fornire assistenza armata agli ottomani, mentre l’Impero islamico si impegnò, su richiesta del governo russo, a chiudere gli Stretti a tutte le navi da guerra straniere, raggiungendo cosi l’obiettivo che Nicola si era proposto inizialmente.

Nel 1841 la crisi egiziana si concluse e fu messa in atto l’intenzione delle potenze di risolvere il problema degli stretti. Il 13 luglio 1841 fu firmata dalle cinque potenze europee la Convenzione degli Stretti, che forniva alla Russia la sicurezza già disposta nell’Accordo di Hunkar Iskelesi, trattato che veniva meno. Chiaramente questa sicurezza era limitata alle occasioni in cui il Sultano non fosse sceso in guerra. Pertanto era necessario per la Russia mantenere una flotta nel Mar Nero capace di difenderne la costa meridionale.

A ridimensionare il peso ed il potere russo nell’area, nella seconda meta del XIX secolo, fu un nuovo conflitto scoppiato in prossimità del Mar Nero: la Guerra di Crimea. Nel 1850 l’Impero Ottomano era ancora lontano dall’aver risolto i propri problemi interni. Il casus belli fu originato dai tentativi russi, respinti dalla Porta, di ottenere un nuovo trattato con il Sultano che autorizzasse la protezione sui sudditi ortodossi risiedenti in territorio ottomano (come peraltro era stato concesso a Napoleone II per i sudditi cattolici). Nel luglio del 1853 le armate russe oltrepassarono il Prut. Il rischio di veder l’Impero Russo ottenere ulteriori benefici a discapito dell’Impero Ottomano nei Balcani e sui mari, spinse Londra e Parigi ad intervenire a fianco degli ottomani. La neutralità della Prussia e l’intervento diplomatico austriaco a fianco del Sultano, nonché l’attacco nel Baltico, che privò di importanti truppe il fronte russo a Sud, furono le principali cause della sconfitta russa nel 1856. La Conferenza di Pace si aprì a Parigi nel 1856 e la Convenzione degli Stretti fu rivista «nell’interesse dell’equilibrio europeo»[4].

Le pesanti condizioni inflitte a Pietrogrado dopo il conflitto di Crimea spinsero lo Zar Alessandro II ad adoperarsi sin da subito per ottenere la revisione delle clausole del Trattato. Il concerto europeo rispose freddamente alle richieste della diplomazia russa. A sbloccare la situazione fu la politica del cancelliere Otto von Bismarck che, con la sconfitta della Francia nel conflitto del 1870, permise a Pietrogrado di ottenere la revoca delle clausole di neutralizzazione del Mar Nero.

I Balcani restarono una zona di forte instabilità e nel 1877 i tempi divennero maturi per una nuova guerra russo-ottomana. Nonostante non riuscì ad ottenere uno sbocco sul Mediterraneo[5], l’Impero Russo uscì rafforzato dalla guerra. La questione degli stretti fu quindi inserita nel testo della Pace di Santo Stefano del 1879 dove venne sancito il principio del blocco degli stretti. Il Sultano si impegnava così ad aprirli in tempo di pace a navi da guerra di potenze amiche e alleate. Questa soluzione si dimostrò accettabile ai sensi dei principi dell’equilibrio europeo.

Tra il 1895 e il 1896 l’Impero Ottomano fu colpito dagli attentati dei nazionalisti armeni. La debolezza di Istanbul fu contestuale ad un aumento dell’influenza russa e della conseguente crescita della preoccupazione inglese circa un ulteriore rafforzamento russo nella zona. Temendo che l’intervento della Gran Bretagna, potenzialmente sostenuta dall’Austria-Ungheria e sempre più in collisione con gli interessi russi nei Balcani, potesse determinare una sfavorevole revisione del diritto degli stretti, nel novembre del 1896 l’ambasciatore russo A.I. Nelidov sottopose allo Zar un piano per l’occupazione russa del Bosforo[6]. Tuttavia prima che si potesse prendere qualsiasi iniziativa a riguardo, nel 1897 scoppiò la guerra tra la Grecia e l’Impero Ottomano, che vide la Russia nei panni di attore secondario e che si concluse ancora una volta con l’affermazione del principio della chiusura degli stretti.

Nei primi anni del XX secolo l’attenzione di Pietrogrado si concentrò ad Est nel tentativo di ritagliarsi maggiori opportunità in Cina e Corea, ma successivamente ai tumultuosi giorni delle rivolte del 1905, l’interesse per il passaggio nel Mediterraneo delle flotte russe tornò a crescere. La situazione nei Balcani si fece negli anni successivi sempre più instabile. Nel 1911 l’Italia, intenzionata a conquistare la Libia, aveva dichiarato guerra all’Impero Ottomano che ancora ne vantava la sovranità. Questo conflitto motivò i governi degli Stati balcanici ad unirsi nella prima Lega con l’intento di espellere l’Impero Ottomano dall’Europa. L’obiettivo fu raggiunto, salvo per una sottile striscia di territorio al di qua degli Stretti. Ma la situazione non si stabilizzò e già nel 1913 scoppiò la Seconda Guerra Balcanica, questa volta contro la Bulgaria, rafforzatasi enormemente dopo il precedente conflitto. La situazione si fece più allarmante per l’Impero Russo quando nel 1913 il Sultano, che aveva richiesto la consulenza occidentale per il piano di riforme e ammodernamento che stava seguendo, ottenne che una missione tedesca addestrasse l’esercito. Ciò di per se non avrebbe allarmato Pietrogrado, ma quando il Sultano concesse ad un ufficiale tedesco il comando del distretto militare di Istanbul che dominava gli Stretti, la minaccia divenne troppo grande per lo Zar Nicola II, che vide le sue proteste accolte e sostenute anche dai governi di Parigi e Londra, ottenendo cosi il ritiro della nomina[7].

La questione degli stretti mantenne tutta la propria importanza strategico-politica durante gli ultimi anni della Russia zarista. Nel 1914 l’Impero Ottomano entrò in guerra al fianco degli Imperi Centrali. Questo fatto ebbe una significativa ripercussione sulle sorti della guerra e, più nello specifico, sulle sorti dell’Impero Russo. Con la chiusura degli stretti veniva meno una delle principali rotte di rifornimento che permettevano a Pietrogrado di mantenere lo sforzo bellico. Nel 1915 gli alleati cercarono di occupare gli stretti ed escludere l’Impero Ottomano dalla guerra, l’intento era complicato dal fatto che uno degli obiettivi dei russi durante la guerra fosse proprio quello di occupare per se gli stretti ed ottenerne il controllo permanente[8]. Viste le necessità di guerra, sia Francia che Gran Bretagna accettarono le richieste russe per il controllo della costa e delle isole del Mar di Marmara, ma il tentativo di occupazione terrestre degli stretti del 1915 si rivelò fallimentare. La pressione sul fronte occidentale russo e il congelamento di quello meridionale distolsero infine l’attenzione di Pietrogrado dagli stretti. Bisognerà attendere che un segretario del Partito Comunista (Bolscevico) salga al potere, prima che questo obiettivo storico russo torni ad essere una questione centrale della politica estera russa.

Durante tutta la Rivoluzione e la Guerra Civile la Russia ebbe ben altri problemi di cui occuparsi che non la questione degli stretti. Ad ogni modo debbono essere formulate alcune considerazioni. In primo luogo va rammentato che dal 1917 fino al 1920 la sorte dell’Ucraina non fu tale da garantire il controllo russo sulla costa del Mar Nero. Inoltre con il Trattato di Brest-Litovsk la Russia bolscevica non soltanto cedette importanti porzioni di territorio a Nord-Ovest, ma addirittura acconsentì ad alcune concessioni favorevoli all’Impero Ottomano nel Caucaso. Una volta stabilizzata la situazione interna e sconfitti gli oppositori esterni, Lenin poté negoziare nuovamente con la Turchia. Tuttavia, a partire dal primo dopoguerra la questione degli stretti iniziò a delinearsi come una questione sempre meno legata alla volontà di Ankara. La comunità internazionale, organizzata nella Società delle Nazioni, stabilì infatti una smilitarizzazione degli stretti da essa stessa garantita.

L’Unione Sovietica avendo riassorbito definitivamente i territori ucraini, tornò alla tradizionale politica nei confronti della Turchia e degli Stretti solo nel 1936. Con la Convenzione sugli Stretti di Montreux, ancora oggi vigente, si determinò la definitiva regolamentazione della navigazione negli stretti. Per garantire la sicurezza alla Turchia e agli Stati che si affacciano sul Mar Nero, si affermò il riconoscimento della piena libertà di transito delle navi mercantili di qualsiasi bandiera in tempo di pace, con la sola condizione di soddisfare i diritti di transito e le prescrizioni sanitarie. Oltre alla libertà di passaggio e navigazione in tempo di guerra per i mercantili dei Paesi neutrali, nelle ore diurne e rispettando rotte obbligate. Per quanto riguarda invece le navi da guerra, fu sancito l’obbligo di informare il governo turco otto giorni prima del transito, e solo per flotte di un massimo di nove unità e di una mole complessiva di 15.000 tonnellate. E’ inoltre previsto che possano superare tale limite solo i Paesi rivieraschi del Mar Nero, purché le navi passino singolarmente. Con riguardo allo stazionamento nel Mar Nero di flotte di Paesi non rivieraschi queste devono avere un tonnellaggio inferiore a 40.000 tonnellate. In tempo di guerra se la Turchia è neutrale è consentito il passaggio di navi da guerra di qualsiasi Paese purché non compiano atti ostili. Se la Turchia è parte di un conflitto può opporsi al passaggio di navi da guerra di qualunque Paese.

Stalin cercò ripetutamente di modificare a proprio favore la situazione. Nel 1939, quando il patto di non-aggressione Molotov-Ribbentrop era già stato sottoscritto, Mosca si adoperò per un accordo con la Turchia che potesse tutelare, ancora una volta, le proprie coste meridionali. L’accordo fu raggiunto solo in parte, infatti «quando l’Italia entrò in guerra nel 1940, la posizione franco-inglese sembrava disperata, e anche più tardi i turchi rifiutarono di affrontare la Germania, che occupava allora tutti i Balcani»[9]. Ciò decretò il ritorno a dinamiche diplomatiche turco-russe più tradizionali. La questione degli stretti tornò ad interessare le diplomazie degli Alleati durante le conferenze tenutesi nella seconda metà del conflitto, e per i primi anni del secondo dopoguerra. Come spesso accade in tempi di guerra, si tese ad essere più possibilisti riguardo alle richieste alleate viste le necessità belliche. Così a Teheran, Churchill si disse disposto a concessioni sugli stretti a favore di Mosca, nonché alla revisione della Convenzione di Montreux. Ma già a Potsdam, Churchill e Truman dichiararono che non ci sarebbero potute essere concessioni territoriali in merito.

Non potendo ottenere nulla dagli alleati, Stalin assunse una politica più diretta. Come ricorda Adam B. Ulam: «Nessuna delle mosse compiute dalla Russia nel dopoguerra può venire definita assolutamente imprevedibile. Nella maggioranza dei casi queste mosse avevano molti precedenti, alla luce delle aspirazioni secolari della politica estera russa»[10]. Tra il 1945 e il 1947 la diplomazia sovietica fu concentrata sull’offensiva contro la Turchia che mirava alla restituzione dei territori perduti nel 1917 e alla cessione di una base navale presso gli stretti che potesse garantire gli interessi sempre più globali della nascente potenza sovietica. Come si sa questa pressione, considerata legittima da Stalin, visti i trascorsi della Conferenza di Teheran, si dimostrerà essere una delle cause che condussero alla Guerra Fredda. Difatti l’attivismo sovietico in Turchia e in Grecia potrebbe aver spinto gli Stati Uniti all’elaborazione della dottrina Truman e del Piano Marshall.

Con la crisi di Cipro assistiamo oggi ad un’altra occasione in cui gli interessi di Mosca per il Mar Mediterraneo sono sotto gli occhi di tutta la comunità internazionale. La crisi cipriota, esplosa negli ultimi giorni, è dovuta principalmente ai forti vincoli tra il sistema bancario dell’Isola e quello greco. Cipro, membro UE dal 2004, nel corso degli ultimi anni ha basato la propria crescita attirando ingenti capitali stranieri, in particolare russi, grazie al segreto bancario e ad alcuni vantaggi fiscali. A partire dal 1991 si è assistito ad una ingente immigrazione russa a Cipro, tanto che alcune città, come Limassol, hanno ora negozi, scuole, banche, giornali e televisioni russe. Non solo, circa 2.000 imprese russe sono oggi registrate a Cipro e il flusso di capitali russi ammonterebbe a 43 miliardi di euro, la metà dei quali si stima siano provenienti da attività illecite. Di fronte al collasso imminente, il governo di Nicosia ha avuto due opzioni in agenda: negoziare con UE, BCE e FMI un piano per il salvataggio dell’Isola o ottenere l’aiuto della Federazione Russa – strade che non si escludono a vicenda. La delegazione inviata a Mosca e composta dal Ministro delle Finanze cipriota, Michalis Sarris, e dal collega, Lorgos Lakkotry, Ministro dell’Energia, sembra aver ricevuto un net dal Cremlino, che tuttavia ha fatto sapere, tramite il primo ministro Dmitrij Medvedev, che nessuna porta sarebbe stata chiusa a Cipro; la Federazione Russa sarebbe stata disponibile non appena si fosse trovato e completato un accordo con l’Eurogruppo. L’accordo è stato raggiunto il 25 marzo ed ha subito suscitato il malcontento di Mosca. La scelta europea, infatti, è prevista andare a pesare sui capitali russi di Cipro per un ammontare che varia tra i 2 e i 3 milioni d’euro di tasse. Il Cremlino, che già nel 2011 aveva fornito un prestito di 2,5 miliardi di euro, ha immediatamente reagito definendo l’operazione un “saccheggio del bottino” oltreché “ingiusta e pericolosa“.

Certamente gli interessi della Russia non si limitano ai capitali presenti nell’Isola. Cipro costituisce un fondamentale partner strategico di Mosca nel Mediterraneo e uno dei fondamentali tasselli della sua politica estera nel bacino. In primo luogo Cipro rappresenta uno snodo fondamentale per il commercio di armi verso i principali alleati della Russia nell’area: Siria, Libano e Iran. In secondo luogo a causa dei ricchi giacimenti di gas scoperti lo scorso anno nell’area meridionale dell’Isola, che suscitano il grande interesse di Gazprom e di Mosca, sempre attenta che la sua politica energetica e di trasporto di gas e petrolio si riveli efficace nello scacchiere mediterraneo. L’importanza che ricopre Cipro nella politica russa nell’area è quindi di grande rilievo e, ad ulteriore riprova di questo coinvolgimento, v’è l’assoluta continuità nel sostegno russo presso l’ONU alla comune opposizione verso la proposta turca di riconoscere la Repubblica Turca di Cipro del Nord. Non deve stupire quindi che l’insoddisfazione di Mosca per il prelievo forzoso possa trovare una compensazione concedendole maggiore influenza politica ed energetica sull’Isola.

Mosca ha quindi ancora interessi vitali nel bacino del Mediterraneo e la questione degli stretti potrebbe rilevarsi nel lungo periodo non ancora risolta completamente, soprattutto alla luce della crescente instabilità generale dovuta alle principali vicende politico-economiche nelle regioni affacciate su questo mare – vicende che hanno sempre coinvolto il Cremlino. Da un lato la crisi finanziaria ed economica dei Paesi dell’Europa Meridionale, la crescita economica della Turchia e la presenza ancora rivelante degli Stati Uniti nel bacino; dall’altro le difficoltà dei nuovi regimi sorti a seguito delle rivolte della “primavera araba”, nonché le irrisolte questioni libica e siriana.




[1] Si trattava di due clausole contenute nel trattato di Bucarest del 1812.

[2] Poi indipendenza con il protocollo di Londra del 1830.

[3] Seton-Watson H., The Russian Empire 1801-1917, Clarendon Press, Oxford, 1967; trad it. Storia dell’impero russo (1801-1917), Giulio Einaudi Editore, Torino, 1971, p. 275.

[4] Ibidem, p. 294.

[5] Se non indiretto tramite la Bulgaria.

[6] Ibidem, p. 523.

[7] Ibidem, p. 632.

[8] Il progetto prevedeva Costantinopoli sotto controllo internazionale e acquisizione dell’entroterra da parte del governo russo.

[9] Ulam A. B., Expansion and coexistence: the history of the Soviet Foreign Policy 1917-1967, New York Praeger, New York, 1969; trad. it. Storia della politica estera sovietica (1917-1967), Rizzoli Editore, Milano, 1970, p.412

[10]Ibidem, p. 610.


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