Questo secolo ha visto emergere la Cina come il principale sfidante allo status di superpotenza degli Stati Uniti.
La cronaca quotidiana ci restituisce il teatro asiatico come il terreno chiave sul quale si giocherà il confronto tra gli Stati Uniti e la Cina nel breve periodo.
Fin dall’inizio del ventunesimo secolo Cina e Russia operano in una sorta di alleanza tacita per il controllo dell’Asia Centrale, per escludere ogni altro concorrente, in primis gli Stati Uniti.
Il governo americano cerca di conquistarsi le simpatie delle ex repubbliche sovietiche allontanandole dall’influenza politica russa e in ottica anti-iraniana. L’equilibrio di potenza è garantito dalla forza opposta, esercitata da Pechino a sostegno della politica di Teheran.
Il governo cinese sta cominciando a stabilire la sua presenza nella regione altamente strategica e ricca di risorse energetiche del Medio Oriente, stringendo forti legami con le potenze regionali.
Il partner chiave che è emerso nella regione è l’Iran. Grazie al governo iraniano l’asse Russia-Cina può garantirsi uno sbocco verso l’Oceano Indiano, alternativo ad un Pakistan inaffidabile, che per gli Stati Uniti continua a rimanere in tutta l’area l’unica soluzione disponibile per assicurarsi il medesimo obiettivo.
La Cina intrattiene ampi rapporti sul piano economico e tecnologico con l’Iran. Nell’ambito della SCO(1) collabora con il governo iraniano anche sul piano geopolitico. Quel che rende di vitale importanza l’Iran per la Cina è la continuità territoriale che, attraverso i tagiki del Tagikistan e del nord Afghanistan (di lingua e etnia persiana), mette la Cina in contatto fisico con l’altopiano iranico, che è al centro di una zona nel cui sottosuolo giacciono gran parte delle risorse energetiche globali stimate ed accertate.
L’Iran ospita le seconde maggiori riserve di petrolio e gas naturale a livello mondiale. Per il governo iraniano, che si è trovato di fronte ad un crescente vuoto di investimenti e all’isolamento internazionale a causa del suo programma nucleare, la Cina rappresenta un potenziale rimedio per sviluppare le sue vaste risorse energetiche e una fonte di moderna tecnologia militare.
La Cina è stata anche un importante punto d’appoggio contro le richieste del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di severe sanzioni contro l’Iran.
Gli interessi commerciali e finanziari della Cina in Iran stanno aumentando parallelamente al crescente allineamento strategico, nonché ideologico, tra le due potenze. Negli ultimi cinque anni il governo cinese è emerso come il principale investitore in Iran, con investimenti nel settore energetico del valore di circa 120 miliardi di dollari.
La SINOPEC in Iran
La SINOPEC(2) è un gruppo petrolifero e petrolchimico integrato cinese, controllato per il 75% dal governo tramite la quasi omonima China National Petrochemical Corporation. È la più grande azienda cinese per fatturato (131.636 milioni di $).
Le origini risalgono al 1983, quando il governo riorganizzò il settore petrolifero cinese, fino ad allora gestito direttamente dal Ministero del Petrolio. Furono create tre grandi aziende pubbliche:
– CNPC (China National Petroleum Corporation), che detiene il monopolio per l’esplorazione e l’estrazione del petrolio sul suolo cinese;
– CNOOC (China National Offshore Oil Corporation), specializzata nella produzione dei giacimenti petroliferi situati in mare;
– SINOPEC (China National Petrochemical Corporation), che originariamente operava esclusivamente nella raffinazione e nella petrolchimica.
Nel 2000 fu costituita una società che risulta essere una filiale di quest’ultima azienda, cioè della China National Petrochemical Corporation, società che fu poi quotata in borsa a Londra, New York e Hong Kong.
Questa nuova società presidia tutta la filiera del petrolio, dalla sua estrazione alla produzione dei derivati, pur essendo più concentrata sulla parte a valle dell’estrazione, cioè la raffinazione e la petrolchimica.
Nel 2004 la SINOPEC ha siglato con il governo iraniano un accordo da 10 miliardi di dollari per l’importazione di 250 milioni di tonnellate di gas naturale; questo accordo ha una durata di venticinque anni.
È stato siglato anche un ulteriore accordo, in compartecipazione con l’indiana ONGC (Oil and Natural Gas Corporation), per sviluppare il giacimento di Yadavaran, a sud dell’Iran, assicurandosi il 51% dei diritti sul giacimento, stimato in circa 30 miliardi di barili. Il contratto garantisce nuove fonti di approvvigionamento vitali per sostenere la crescita industriale della Cina e dell’India(3).
Nel 2006 è stato firmato un contratto per l’esplorazione di petrolio e gas nel blocco onshore Garmsar, in Iran.
Il governo cinese punta a investire nel settore della raffinazione; infatti, pur essendo tra i maggiori produttori al mondo di petrolio, l’Iran è costretto a importare il 40% circa della sua benzina.
Lo scorso anno la SINOPEC ha firmato un memorandum con la NIO Referring and Distribution Company per investire 6,5 miliardi di dollari nella costruzione di raffinerie. Il valore di questo accordo è stato stimato in 70 miliardi dollari; si tratta della più importante intesa mai raggiunta tra il governo di Pechino e quello di Teheran.
In aggiunta, la Cina si è impegnata a comprare in trent’anni 250 milioni di tonnellate di gas liquido naturale, mentre l’Iran garantirà per i prossimi venticinque anni 150 mila barili al giorno di petrolio. Ma l’obiettivo di Teheran è di convincere i cinesi a investire in sette nuovi impianti, per un valore totale di 23 miliardi di dollari. In cambio l’Iran aumenterà le sue forniture di petrolio alla Cina e l’accesso ai suoi giacimenti.
Il 23 agosto scorso la SINOPEC ha diffuso il report sulle performance di metà anno. Il report evidenzia che il volume d’affari di SINOPEC e i suoi introiti operativi sono pari a 936,5 miliardi di yuan, con una crescita del 75,4%.
La situazione attuale
Entrambi i Paesi prevedono scenari di crescita; in primo luogo l’Iran ha più volte dichiarato di voler sostituire la Cina al Giappone come più grande e significativo importatore di gas e petrolio.
In ambito mediorientale l’Iran rappresenta il miglior alleato cinese in quanto fondamentale riserva di energie vitali per il mantenimento degli attuali tassi di sviluppo.
Da quando la Cina è diventata un importatore netto di petrolio, nel 1994, le principali società energetiche cinesi hanno cercato di acquisire riserve di petrolio all’estero o di formare joint venture con compagnie petrolifere internazionali o controllate dallo Stato, operanti nelle zone di produzione più importanti.
Il dragone cinese è uno dei più grandi consumatori di energia al mondo.
Senza entrare apertamente in conflitto con l’altro grande fruitore planetario di oro nero, e cioè gli Stati Uniti, la diplomazia cinese si è attivata per stabilire accordi commerciali con Paesi la cui vicinanza strategica potrebbe dar vita ad un nuovo asse geopolitico.
Le autorità cinesi stanno cercando di sfruttare la crisi economica per rafforzare la posizione del loro Paese all’interno del sistema globale dell’energia. In effetti, alcuni funzionari hanno rivelato che la Cina potrebbe usare una parte delle sue ingenti riserve di valuta straniera (valutate in 2.000 miliardi di dollari) per acquisire risorse energetiche e minerali straniere, qualora il loro prezzo dovesse diminuire a causa della recessione globale.
Anche se la crisi economica ha ridotto le esportazioni energetiche iraniane verso la Cina, Pechino rimane comunque assetata di petrolio e gas.
Nella prima metà del 2010 l’Iran ha esportato 9 milioni di tonnellate di greggio, il terzo fornitore cinese dopo Arabia Saudita e Angola.
Il governo cinese ha instaurato legami duraturi con diversi Stati che non sono assolutamente ben visti dalla comunità internazionale, come il Sudan e il Myanmar.
Il problema è che la politica di non interferenza che la Cina sostiene nei confronti di questi Paesi rappresenta la carta vincente che le permette di dominare questi mercati.
Gli Stati Uniti vedono ancor meno di buon occhio il rapporto privilegiato che lega l’Iran alla Cina. Gli accordi che sono stati presi tra i due Paesi hanno infatti facilmente aggirato le sanzioni applicate al regime iraniano. Ma la comunità internazionale non può aspettarsi che l’atteggiamento di Pechino cambi radicalmente.
Il 9 giugno scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvata la Risoluzione numero 1929 contro l’Iran(4); con quest’ultima Risoluzione, che costituisce il quarto pacchetto di sanzioni contro il governo iraniano dal dicembre 2006, si proibisce all’Iran di investire all’estero in operazioni di arricchimento nucleare e vengono imposte nuove restrizioni all’importazione di armi convenzionali nel Paese.
A Pechino si è creato un dibattito nel “circolo della politica estera” circa il pericolo dello sviluppo del nucleare iraniano e le sue implicazioni per la politica cinese. Sono affiorate due scuole di pensiero: una ritiene che il comportamento di Teheran possa mettere a repentaglio la pace e la stabilità nel Medio Oriente e dunque danneggiare gli interessi cinesi nella regione e perciò tenterebbe di mediare tra il governo iraniano e quello statunitense; una seconda linea pensa invece che le provocazioni nucleari iraniane possano andare avanti senza gravi conseguenze e che gli Stati Uniti eviteranno ogni confronto militare. Quest’ultima posizione rispecchia gli interessi delle grandi aziende petrolifere che si spartiscono le esplorazioni e lo sfruttamento dei campi petroliferi iraniani(5).
Anche se la Cina ha firmato diverse risoluzioni ONU per la limitazione dell’attività nucleare iraniana, il governo cinese non smetterà di perseguire le proprie politiche economiche a causa del suo elevatissimo fabbisogno energetico.
A conferma di ciò lo scorso agosto il ministro degli Esteri cinese ha affermato che il governo di Pechino intende continuare con il “normal business” con l’Iran; ha inoltre ribadito che la Cina non è obbligata a rispondere positivamente alla richiesta di misure supplementari contro l’economia iraniana.
Sempre nel mese di agosto si è recato in visita in Cina il ministro del Petrolio iraniano, Massoud Mir-kazemi, accompagnato da un viceministro delle Finanze e da un’ampia delegazione di funzionari. Mir-kazemi ha avuto incontri con membri del governo cinese per potenziare la cooperazione nel campo dell’energia, con progetti e investimenti comuni. Anche in quest’occasione è stato ribadito, da parte del governo cinese, che il commercio del Paese con l’Iran è un normale scambio commerciale, che non danneggia gli interessi di altre nazioni e della comunità internazionale.
Il 15 settembre scorso il rappresentante permanente cinese presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Vienna, Hu Xiaodi, ha ribadito che la Cina persiste sempre nel risolvere tramite i mezzi pacifici, come il dialogo e i negoziati, il problema nucleare iraniano. Hu Xiaodi ha affermato che la Cina ritiene che l’Iran, come Paese stipulante delle “Trattative di non proliferazione delle armi nucleari”, gode dei diritti di utilizzo pacifico dell’energia nucleare, adempiendo anche i doveri internazionali interessati.
(1) Shanghai Cooperation Organisation; la Cina è uno dei Paesi fondatori dell’Organizzazione, l’Iran ne fa parte come Paese osservatore
(2) China Petroleum & Chemical Corporation
(3) Rampini F., “L’Impero di Cindia”, 2006 Arnoldo Mondadori Editore SpA, Milano
(4) È stata approvata con dodici voti a favore, due contro (Brasile e Turchia, membri non permanenti) e un astenuto (Libano)
(5) www.corriere.it
* Carla Pinna è dottoressa in Scienze Politiche (Università di Cagliari)
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