L’embargo petrolifero dell’UE che ha recentemente colpito l’Iran e le minacce espresse dagli Stati Uniti e da altri paesi occidentali di future ulteriori sanzioni contro il paese, hanno portato gli osservatori a concludere che alla fine un conflitto armato tra l’Iran e l’Occidente può essere imminente.
Al momento, mantenere lo status quo non è nell’interesse degli Stati Uniti, ritiene Stratfor, un’agenzia di intelligence globale statunitense: “Se al-Assad sopravvive e se la situazione in Iraq procede come ha proceduto, allora l’Iran sta creando una realtà che definirà la regione. Gli Stati Uniti non hanno una coalizione ampia ed efficace, e certamente non una che si possa radunare in caso di guerra. Hanno solo Israele… “² Se il conflitto con l’Iran prende la forma di una lunga campagna di bombardamenti e si presenta come un prologo all’occupazione del paese, gli Stati Uniti avranno bisogno di rafforzare la loro posizione nelle regioni adiacenti, il che significa che Washington cercherà di trascinare le repubbliche caucasiche (Georgia, Azerbaijan) e quelle dell’Asia centrale nella sua orbita politica, e quindi stringendo la “stretta dell’anaconda” intorno alla Russia.
Uno scenario alternativo merita, però attenzione. Le sanzioni UE farebbero sicuramente male a molte economie europee – in particolare, Grecia, Italia e Spagna – di rimbalzo. Infatti, il capo della diplomazia spagnola, José Manuel García-Margallo, ha descritto senza mezzi termini la decisione delle sanzioni come un sacrificio³. Per quanto riguarda l’Iran, il blocco petrolifero può causare al suo bilancio annuale una contrazione di 15-20 miliardi di dollari, che in genere non sarebbe critica ma, con le elezioni parlamentari del paese e le elezioni presidenziali del 2013 che si stanno avvicinando e l’Occidente che è attivo nel puntellare l’opposizione interna, potrebbero derivarne dei disordini interni.
Teheran ha già messo in chiaro che farà seri sforzi per trovare acquirenti alle sue esportazioni di petrolio altrove. Cina e India, rispettivamente numero uno e numero tre dei clienti dell’Iran, hanno momentaneamente spazzato via l’idea delle sanzioni USA. Il Giappone ha garantito il supporto a Washington sulla questione, ma non avvierà alcun tipo di piano specifico per ridurre i volumi di petrolio che importa dall’Iran. Il Giappone, tra l’altro, è stato duramente colpito nel 1973 quando Wall Street ha provocato una crisi petrolifera e le garanzie degli Stati Uniti si dimostrarono vane. Di conseguenza, ci si può aspettare che Tokyo approcci alle sanzioni suggerite da Washington con la massima cautela e chieda agli Stati Uniti garanzie inequivocabili che la Casa Bianca non sarà in grado di fornire. Inoltre, gli Stati Uniti stanno corteggiando la Corea del Sud con l’obiettivo di farle tagliare le importazioni di petrolio dall’Iran.
L’opposizione crescente ai piani che preparano lo scenario militare di Cina, Russia, e India sembra mantenere la promessa di una alleanza di paesi che cercano di domare l’egemonia e l’unilateralismo furioso degli Stati Uniti. Gli analisti di Stratfor hanno puntato sul fatto che il tempo non è dalla parte degli Stati Uniti, considerando che i paesi BRIC hanno qualche opportunità di influenzare la situazione nella zona del potenziale conflitto, con il lancio di manovre congiunte anti-terrorismo e anti-pirateria nel Mare Arabico e nel Golfo Persico.
Indurre il cambiamento di regime in Iran, l’obiettivo finale di Washington, ha ancora un pretesto. Gli Stati Uniti hanno da tempo adocchiato varie fazioni in Iran, nella speranza di sfruttare le rivalità nazionali esistenti nel paese, impiegando parallelamente la tecnica consolidata delle rivoluzioni colorate, come il sostegno al Movimento Verde o la creazione di una ambasciata virtuale per l’Iran.
Richard Sanders, un critico della politica estera degli Stati Uniti, ha rilevato che, almeno dall’invasione del Messico alla fine del secolo XIX, gli Stati Uniti hanno sempre invocato il meccanismo degli incidenti come pretesto per la guerra, avanzando varie giustificazioni per i suoi interventi militari⁴. L’arciconservatore statunitense Patrick J. Buchanan ha evocato, nel suo articolo di opinione intitolato “Did FDR Provoke Pearl Harbor?”, una visione abbastanza comune secondo cui circoli finanziari statunitensi hanno deliberatamente provocato l’attacco di Pearl Harbor per trascinare gli Stati Uniti in una guerra lontana, con l’obiettivo di assicurarsi il primato mondiale dell’impero del dollaro⁵. La lezione da trarre dalla storia della guerra del Vietnam, e cioè del golfo del Tonchino, in cui l’USS Maddox entrò nelle acque territoriali del Vietnam e aprì il fuoco sui natanti della sua marina militare, è che il conflitto iniziale venne similmente provocato dai servizi d’informazione USA, e il risultato fu che il Congresso degli USA autorizzò LBJ a impegnarsi militarmente in Vietnam. (A proposito, nessuna reazione fece seguito, nel giugno del 1967, quando gli israeliani attaccarono la USS Liberty, uccidendo 34 persone e ferendone 172). I concetti moralmente caricati di interventi umanitari e guerra al terrore furono giustamente invocati anche per legittimare le aggressioni ingiustificabili contro la Jugoslavia, l’Iraq e l’Afghanistan.
Parlando degli sviluppi in corso nel Golfo Persico, la scelta di Washington dei pretesti per un’aggressione comprende almeno tre opzioni, vale a dire¹ il dossier nucleare dell’Iran² una escalation progettata nello Stretto di Hormuz,³ accuse che l’Iran sostenga il terrorismo internazionale. L’obiettivo degli Stati Uniti dietro la pressione sull’Iran per il suo programma nucleare – spingere tutto il mondo ad accettare le regole del gioco di Washington – non è mai stato veramente nascosto. Il discorso abbondantemente allarmista ha lo scopo di distogliere l’attenzione dalla semplice verità che la costruzione di un arsenale nucleare con l’aiuto di tecnologie nucleari civili, è assolutamente impossibile, ma Matthew H. Kroenig del Council on Foreign Relations di recente è andato sul punto avvertendo che l’Iran un giorno passerà le sue tecnologie nucleari al Venezuela⁶. La motivazione deve essere quella di, in qualche modo, raggruppare tutti i critici della politica estera degli Stati Uniti.
Lo Stretto di Hormuz, che è il collo di bottiglia marittimo del Golfo Persico, è considerato l’epicentro della imminente nuova guerra. Serve come via per le forniture di petrolio da Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, ed è quindi strettamente monitorato da tutte le parti suscettibili di entrare in conflitto. Secondo il dipartimento dell’energia degli Stati Uniti, nel 2011 il transito del petrolio attraverso lo Stretto di Hormuz ammontava a 17 miliardi di barili, ovvero circa il 20% del totale mondiale⁷ . I prezzi del petrolio dovrebbero aumentare del 50% se succedesse qualcosa di inquietante nello Stretto di Hormuz⁸.
Passando attraverso lo Stretto di Hormuz, si naviga attraverso le acque territoriali di Iran e Oman. L’Iran concede a titolo di cortesia il diritto di navigare attraverso le sue acque sulla base del trattato delle Nazioni Unite sul trasporto merci marittimo. Ciò deve essere inteso in relazione alle dichiarazioni ricorrenti di Washington relative alla Stretto di Hormuz, che a questo proposito gli Stati Uniti e Iran hanno lo stesso peso giuridico, come i paesi che hanno scritto ma non ratificato il trattato, e quindi gli Stati Uniti non hanno alcun diritto morale di riferirsi al diritto internazionale. L’amministrazione iraniana ha sottolineato recentemente, dopo consultazioni con gli organi legislativi nazionali, che Teheran sarebbe forse oggetto di una revisione della normativa in base al quale sono ammesse navi straniere nelle acque territoriali iraniane⁹.
Le marine dovrebbero anche rispettare certe leggi internazionali, in particolare, quelle che definiscono la distanza minima da mantenere dalle navi di altri paesi. Si parla costantemente nei media statunitensi di navi iraniane che rischiosamente si avvicinano alle navi statunitensi ma, come notano gli osservatori, provocatori come i separatisti del Baluchistan iraniano, sponsorizzati dalla CIA, in alcuni casi potrebbero essere usati per trucchi sotto mentite spoglie.
Le probabilità sono che una parte del piano dell’embargo petrolifero sia quello di procurare all’Occidente difficoltà nell’approvvigionamento di petrolio e iniziare la costruzione di oleodotti in Arabia Saudita, Bahrain, Oman, Yemen, Qatar e Iraq, come percorsi alternativi per raggiungere le rive del Mar Arabico, Mar Rosso e Mar Mediterraneo. Alcuni di questi progetti, la Hashan-Fujairah pipeline, per esempio, sono oggi in fase di attuazione. Se questa è l’idea, la spiegazione dietro la tendenza di Washington a convincere i suoi alleati a creare una infrastruttura “più sicura” è semplice. La geopolitica è una realtà ineludibile, che deve essere presa in considerazione, però, se i paesi della regione rimangono chiusi in una varietà di conflitti e, per ragioni geografiche Teheran sarà un giocatore chiave, anche se gli oleodotti vengono avviati.
Poiché la nuova strategia militare degli Stati Uniti implica la concentrazione su due regioni – il Grande Medio Oriente e il Sud Est Asiatico – la questione dello stretto di Hormuz sembra accoppiarsi a quella dello Stretto di Malacca, che offre il percorso più breve per la fornitura di petrolio dall’Oceano Indiano a Cina, Giappone, Corea del Sud e resto del Sud Est Asiatico. La disposizione implicita dei fattori nel processo decisionale dei paesi asiatici riguardo l’Iran.
Il precedente della “guerra al terrore” – una campagna durante la quale gli Stati Uniti occuparono sotto dubbi pretesti Iraq e Afghanistan, al costo di migliaia di vite – deve anche essere tenuto a mente. Tempo fa, la Casa Bianca ha sancito le attività sovversive contro varie parti dell’amministrazione iraniana, compresi i Guardiani della Rivoluzione Islamica. L’ex agente della CIA Philip Giraldi scrive che gli agenti statunitensi e israeliani sono stati attivi in Iran per un bel po’ di tempo e sono responsabili dell’epidemia del virus Stuxnet e per la serie di omicidi di fisici nucleari iraniani. I gruppi in Iran che si sono allineati con i nemici del paese sono Mujahidin del Popolo Iraniano, i separatisti del Baluchistan del Jundallah, il cui leader Abdolmajid Rigi è stato arrestato nel febbraio del 2010 dalle forze di sicurezza iraniane e ha ammesso di aver collaborato con la CIA, e il curdo Vita Libera del Kurdistan¹⁰.
In sostanza, una guerra contro l’Iran – a livello di guerra segreta – è in corso. Il problema che le parti in causa stanno cercando di risolvere è trovare un modo di prevalere senza entrare nella fase “calda” del conflitto.
NOTE:
1. Colin H. Kahl. Not Time to Attack Iran. 17 gennaio, 2012.
2. Iran, the US and the Strait of Hormuz Crisis. 17 gennaio, 2012. http://www.stratfor.com/weekly/iran-us-and-strait-hormuz-crisis?utm_source=freelist
3. La UE acuerda vetar las importaciones de petroleo de Iran. 23.01.2012
4. Richard Sanders. How to Start a War: The American Use of War Pretext Incidents. Global Research, January 9, 2012. Global Research, 9 gennaio 2012. http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=28554
5. http://buchanan.org/blog/did-fdr-provoke-pearl-harbor-4953
6. Recent Events in Iran and the Progress of Its Nuclear Program. 17 gennaio, 2012.
7. http://www.eia.gov/cabs/world_oil_transit_chokepoints/full.html
8. Michael T. Klare. Danger Waters. 10 gennaio 2012. http://aep.typepad.com/american_empire_project/2012/01/danger-waters.html
9. Mahdi Darius Nazemroaya. La Geo-Politica dello Stretto di Hormuz: Può la Marina degli Stati Uniti essere sconfitta dall’Iran nel Golfo Persico? Global Research, 8 gennaio 2012. http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=28590
10. Philip Giraldi. Washington’s Secret Wars. Washington, Secret Wars. 8 Dic 2011.
Fonte: http://www.strategic-culture.org/pview/2012/01/27/the-conundrum-of-iran.html
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