Fonte: http://www.vnstudenti.org/wp/?p=706
All’inizio del ventunesimo secolo assistiamo alla rottura dei rapporti di forza fra le nazioni così come si erano stabiliti alla fine del Novecento. In particolare, assistiamo all’ascesa di nuove potenze come attori di primo piano sulla scena globale: paesi come Cina, Russia, India e Brasile, che si sono saputi proporre ed imporre come serie insidie ed alternative alla supremazia occidentale. Di ciò si è discusso alla cena sociale del 14 febbraio a Villa Nazareth con il professor Tiberio Graziani, uno dei più grandi esperti italiani di geopolitica e direttore della rivista «Eurasia».
Partendo da un’analisi dettagliata della situazione attuale, che vede gli Stati Uniti nel ruolo di maggiore potenza mondiale, il prof. Graziani ha ripercorso quelle che sono state, nel corso del secolo passato, le linee politiche principali portate avanti dalle grandi potenze mondiali nei confronti del continente eurasiatico. Un approccio che, soprattutto per quanto riguarda gli Stati Uniti, si è rivelato in maniera tutt’altro che pacifico e costruttivo: nel corso del secolo scorso i dirigenti di Washington hanno intrapreso una serie di mosse volte ad accerchiare la massa continentale eurasiatica con una presenza politica e militare diretta, quella che poi è passata alla storia come “politica dell’anaconda”. Già prima del secondo conflitto mondiale gli strateghi americani avevano lanciato una campagna di penetrazione nell’Asia sud-orientale, utilizzando le isole Filippine come avamposto strategico per questa politica aggressiva che ben presto portò all’attrito con il Giappone, il cui epilogo fu la guerra più sanguinosa nella storia dell’umanità. Un conflitto che però, in un certo senso, fece proprio le fortune degli americani: i grandi imperi coloniali europei, in particolare quelli di Francia ed Inghilterra si sfaldarono nel giro di poco tempo, complici anche le distruzioni immense della guerra in Europa, e nel mondo iniziavano a comparire i primi sintomi di un nuovo, pericolosissimo gioco che sarà poi la Guerra Fredda. E in quegli anni gli Stati Uniti, ricostruendo l’Europa e disseminandola di proprie basi militari, cavalcarono l’onda della “paura rossa” per proporre ed imporre ai nuovi stati satellite la propria egida e il proprio ruolo di gendarmi del mondo. Il professor Graziani si è anche soffermato sull’aspetto ideologico del predominio americano: una visione del mondo estremamente dialettica, che dimentica le relazioni e le influenze reciproche che hanno accomunato nei secoli i popoli e le civiltà dell’Eurasia per mostrare una natura dei fatti molto diversa dalla realtà. E’ allora che è stato creato e portato avanti il concetto di “scontro di civiltà”, che giustifica ed invoca l’avvento di un “gendarme del mondo” nei panni degli Stati Uniti, versione “ingrandita” della sua dottrina Monroe. E i riflessi che poi ha avuto l’egemonia americana nei vari aspetti della vita e della cultura, come la politica, l’economia e persino il linguaggio sono stati un tentativo veemente di imporre la propria visione del mondo. Eppure, agli inizi di un nuovo secolo, quella impostazione unipolare del mondo che aveva fatto seguito alla caduta del blocco sovietico appare quanto mai in crisi. E non solo per il rapido emergere del quartetto Brasile, Russia, India e Cina come nuove potenze regionali e mondiali, ma anche per le nuove difficoltà che la potenza egemone affronta quotidianamente. Nuove potenze regionali emergono in America Latina, Africa ed Asia aprendo i loro mercati e le loro competitive riserve energetiche al mondo, spesso proponendo nel frattempo nuovi modelli economici e sociali. E persino nei paesi che ormai da anni ricoprono il ruolo di alleati degli Stati Uniti, come in Europa Occidentale, in Giappone, in Medio Oriente e in America Latina ci si chiede sempre più spesso quanto ancora sia vantaggioso mantenere lo status quo dei fatti e se e come tentare di svincolarsi dall’egida del gigante americano. Un ruolo, quest’ultimo, che pure Washington non sarebbe disposta ad abbandonare tanto facilmente. Per questo, sebbene ciascuno nutra nell’avvenire prossimo o remoto le sue migliori speranze, resta comunque un evidente fattore di incertezza riguardo l’atteggiamento che le potenze di domani assumeranno nelle relazioni internazionali nel nuovo contesto bipolare. La speranza del professor Graziani, testimoniata dal titolo stesso della sua rivista, è che in questo senso le popolazioni dell’Eurasia non dimentichino il patrimonio comune che millenni di storia hanno lasciato alle loro spalle, e che pongano sui retaggi del passato comune le basi di una convivenza pacifica e coesa nell’interesse reciproco.
Partendo da un’analisi dettagliata della situazione attuale, che vede gli Stati Uniti nel ruolo di maggiore potenza mondiale, il prof. Graziani ha ripercorso quelle che sono state, nel corso del secolo passato, le linee politiche principali portate avanti dalle grandi potenze mondiali nei confronti del continente eurasiatico. Un approccio che, soprattutto per quanto riguarda gli Stati Uniti, si è rivelato in maniera tutt’altro che pacifico e costruttivo: nel corso del secolo scorso i dirigenti di Washington hanno intrapreso una serie di mosse volte ad accerchiare la massa continentale eurasiatica con una presenza politica e militare diretta, quella che poi è passata alla storia come “politica dell’anaconda”. Già prima del secondo conflitto mondiale gli strateghi americani avevano lanciato una campagna di penetrazione nell’Asia sud-orientale, utilizzando le isole Filippine come avamposto strategico per questa politica aggressiva che ben presto portò all’attrito con il Giappone, il cui epilogo fu la guerra più sanguinosa nella storia dell’umanità. Un conflitto che però, in un certo senso, fece proprio le fortune degli americani: i grandi imperi coloniali europei, in particolare quelli di Francia ed Inghilterra si sfaldarono nel giro di poco tempo, complici anche le distruzioni immense della guerra in Europa, e nel mondo iniziavano a comparire i primi sintomi di un nuovo, pericolosissimo gioco che sarà poi la Guerra Fredda. E in quegli anni gli Stati Uniti, ricostruendo l’Europa e disseminandola di proprie basi militari, cavalcarono l’onda della “paura rossa” per proporre ed imporre ai nuovi stati satellite la propria egida e il proprio ruolo di gendarmi del mondo. Il professor Graziani si è anche soffermato sull’aspetto ideologico del predominio americano: una visione del mondo estremamente dialettica, che dimentica le relazioni e le influenze reciproche che hanno accomunato nei secoli i popoli e le civiltà dell’Eurasia per mostrare una natura dei fatti molto diversa dalla realtà. E’ allora che è stato creato e portato avanti il concetto di “scontro di civiltà”, che giustifica ed invoca l’avvento di un “gendarme del mondo” nei panni degli Stati Uniti, versione “ingrandita” della sua dottrina Monroe. E i riflessi che poi ha avuto l’egemonia americana nei vari aspetti della vita e della cultura, come la politica, l’economia e persino il linguaggio sono stati un tentativo veemente di imporre la propria visione del mondo. Eppure, agli inizi di un nuovo secolo, quella impostazione unipolare del mondo che aveva fatto seguito alla caduta del blocco sovietico appare quanto mai in crisi. E non solo per il rapido emergere del quartetto Brasile, Russia, India e Cina come nuove potenze regionali e mondiali, ma anche per le nuove difficoltà che la potenza egemone affronta quotidianamente. Nuove potenze regionali emergono in America Latina, Africa ed Asia aprendo i loro mercati e le loro competitive riserve energetiche al mondo, spesso proponendo nel frattempo nuovi modelli economici e sociali. E persino nei paesi che ormai da anni ricoprono il ruolo di alleati degli Stati Uniti, come in Europa Occidentale, in Giappone, in Medio Oriente e in America Latina ci si chiede sempre più spesso quanto ancora sia vantaggioso mantenere lo status quo dei fatti e se e come tentare di svincolarsi dall’egida del gigante americano. Un ruolo, quest’ultimo, che pure Washington non sarebbe disposta ad abbandonare tanto facilmente. Per questo, sebbene ciascuno nutra nell’avvenire prossimo o remoto le sue migliori speranze, resta comunque un evidente fattore di incertezza riguardo l’atteggiamento che le potenze di domani assumeranno nelle relazioni internazionali nel nuovo contesto bipolare. La speranza del professor Graziani, testimoniata dal titolo stesso della sua rivista, è che in questo senso le popolazioni dell’Eurasia non dimentichino il patrimonio comune che millenni di storia hanno lasciato alle loro spalle, e che pongano sui retaggi del passato comune le basi di una convivenza pacifica e coesa nell’interesse reciproco.
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