Descrizione
DOSSARIO: GEOPOLITICA DEL SIONISMO
Alla luce degli eventi che hanno portato ad una nuova fase calda del conflitto palestinese-israeliano, si rende necessario proporre un’analisi retrospettiva sugli sviluppi ideologici delle differenti correnti interne al sionismo e sul loro approccio a quello che è stato definito come “problema arabo”. Questo contributo, pur non tralasciando gli aspetti storici e geopolitici, si concentrerà principalmente su affinità e divergenze (spesso e volentieri superate nella prassi) tra sionismo politico e sionismo religioso. In particolare, si cercherà di dimostrare come le due correnti, pur partendo da presupposti differenti, giungano alle medesime “soluzioni”: l’eliminazione completa del suddetto “problema arabo”.
La dimensione biblica del modello di costruzione dello Stato d’Israele è sfuggita agli storici, ingannati dal carattere falsamente ateo del sionismo. L’ispirazione veterotestamentaria dell’espansione territoriale dell’entità sionista risulta evidente se si fa un parallelo tra il resoconto epico del Libro di Giosuè e quello storico della conquista sionista della Palestina. Benjamin Netanyahu ama riferirsi – in particolare dalla tribuna dell’Assemblea generale dell’ONU – a questa parte del testo biblico, così come ama riferirsi al Libro di Ester quando parla dell’Iran. L’ombra della Bibbia ebraica continua a proiettarsi sull’epoca contemporanea.
La visione della Palestina come “terra promessa” da Dio al “popolo eletto” d’Israele non è soltanto un tòpos religioso e ideologico: già introiettata al tempo delle grandi scoperte geografiche, nell’Ottocento divenne la parola d’ordine dell’imperialismo anglosassone, che vedeva nella Terrasanta una tappa ideale per la conquista dell’India e dei suoi mercati, realizzata anche attraverso la strumentalizzazione delle istanze ideologiche sioniste.
In questo articolo vengono analizzate la genesi del sionismo come moderno movimento coloniale e le relazioni intercorse fra Theodor Herzl e il Sultano Abdulhamid in riferimento alla “questione palestinese”.
Al di là delle diffuse narrative apologetiche, l’ideologia sionista, nel filone dei nazionalismi otto-novecenteschi, nasce come progetto militante e militare. Le attuali forze armate di Tel Aviv sono le eredi di quel percorso. Il presente studio analizza lo stato dell’arte delle “Forze di Difesa Israeliane”, comunemente note sotto l’acronimo ebraico “Tzahal” (Tsva ha-Hagana le-Yisra’el, Forze di Difesa di Israele).
L’uso sionista dei miliziani e dei terroristi curdi – contrario agli stessi interessi dei Curdi, che a milioni vivono pacificamente nel contesto dei rispettivi Stati nazionali – è funzionale ad un progetto di disintegrazione e di frammentazione del Vicino Oriente che trova sponda perfetta nella politica statunitense, ma ha caratteristiche sue precipue. Fulcro di questa strategia è oggi l’Iraq settentrionale, con proiezioni letali in Turchia (PKK), Iran (PJAK) e Siria (HDP) e con l’appoggio di campagne mediatiche occidentali continue e pressanti. L’articolo passa in rassegna gli aspetti storici della questione curda ricostruendone alcuni passaggi fondamentali e mostrando come essa sia stata cinicamente strumentalizzata da forze estranee alla regione.
La decisione di Berlino di schierarsi incondizionatamente al fianco di Tel Aviv, tanto da fare della sicurezza di Israele una “missione perpetua” dopo gli eventi del 7 ottobre non stupisce affatto. Si tratta del portato di un sodalizio che perdura nel tempo e che viene ufficialmente giustificato con affermazioni di tipo moralistico. Ciononostante, i rapporti tra i due Paesi hanno conosciuto nel tempo diversi momenti di maggiore o minore tensione, a causa del costante bilanciamento della Germania dei propri interessi economici e politici nei confronti dei Paesi del Vicino Oriente. Il presente saggio vuole esaminare nel dettaglio questi legami paralleli durante la Guerra Fredda, per offrire un esauriente quadro storico dei rapporti tedesco-israeliani, alla luce della politica mediorientale tedesca e delle relazioni con gli Stati arabi.
Sulle rive del Caspio, a nord dell’Iran, l’Azerbaigian intrattiene con Israele un rapporto privilegiato che ha consentito al suo presidente, Ilham Aliev, di procedere alla pulizia etnica dell’Alto Karabakh senza suscitare le proteste dell’Europa, vittima delle proprie autolesionistiche sanzioni contro la Russia. Il viatico migliore per Baku è l’alleanza con Tel Aviv: oltre a fornire armi e petrolio al regime sionista, l’Azerbaigian costituisce una base per le operazioni israeliane di spionaggio contro l’Iran.
Il nuovo corso diplomatico intrapreso da Netanyahu nel 2016 ha posto le basi per l’offensiva israeliana in Africa. Non è solo per ragioni d’ordine propagandistico e comunicativo che Israele cerca spazio nel continente africano, ma è soprattutto per ragioni strategiche. Lo Stato ebraico cerca nel continente nero gli appoggi per una politica che ha di mira il Mar Rosso, l’Oceano Indiano, l’Iran e la Palestina.
Da sempre fattasi scudo dell’enorme potere statunitense nel subcontinente indioamericano l’entità sionista appare in forte difficoltà nei rapporti con gli Stati della regione dopo il brutale attacco alla Striscia di Gaza. Nel nuovo quadro che va delineandosi solo la vittoria di Javier Milei alle elezioni presidenziali in Argentina potrebbe ribaltare l’attuale fronte oppostosi con forza a Tel Aviv anche in sede internazionale.
Sono un anticolonialista diventato militante antisionista prima della guerra arabo-israeliana del giugno 1967, quando in Algeria scoprii la tragedia del popolo palestinese”. Già all’epoca, tutti coloro che in Francia difendevano la causa palestinese e i paesi arabi erano definiti “antisemiti”. Io non sono fuggito a questa classificazione. In seguito mi è capitato di essere violentemente aggredito per le mie idee, minacciato di morte, incarcerato… Nulla di più ovvio quando non si ulula nel coro degli sciacalli che pullulano in Occidente.
Nell’Europa degli anni Trenta del secolo scorso fascisti, nazionalisti, nazionalsocialisti e cattolici dibatterono la questione del sionismo assumendo posizioni diverse. Mentre alcuni pensavano che la volontaria emigrazione degli ebrei dall’Europa alla Palestina potesse rappresentare una soluzione della questione ebraica ed eventualmente potesse creare difficoltà alla Gran Bretagna in un punto nevralgico del suo impero coloniale, altri si opponevano decisamente al disegno sionista, poiché, come prevedevano i gesuiti della “Civiltà Cattolica”, “uno Stato giudaico in Palestina sarà sempre un fomite di disordine e di perpetua guerra tra i giudei e gli arabi”.
CONTINENTI
Il sistema nordcoreano è caratterizzato dallo storico Maurizio Riotto come “un particolare sincretismo fra Marxismo e Confucianesimo, abbondantemente condito con altri elementi della cultura tradizionale”. L’uso giornalistico ha trasformato la definizione in una formula stereotipata, che viene ripetuta in ogni articolo divulgativo senza mai approfondirne il contenuto. D’altra parte, nel trattato Sulle idee del Juché di Kim Jong Il, la fonte primaria più autorevole sull’argomento, il confucianesimo risulta enumerato fra le ideologie avversarie da cui differenziarsi: “Tocca a tutti combattere le idee reazionarie senza transigere, specialmente l’ideologia borghese, la ideologia feudale confuciana, il revisionismo, il servilismo verso le grandi potenze e il dogmatismo, far fallire tutte le manovre dei reazionari e degli opportunisti e difendere fermamente le idee del Juché”. Alla luce di questa contraddizione, e per uscire dall’incertezza in cui giornalisti digiuni di conoscenze specialistiche lasciano lettori altrettanto poco familiari con la cultura asiatica, ci sembra che i rapporti tra l’ideologia del socialismo coreano e la dottrina di Confucio richiedano un esame più particolareggiato.
La riscrittura della storia ad opera dell’Occidente è un elemento ideologico funzionale alla propaganda finalizzata a rendere sempre più docile l’opinione pubblica internazionale e per giustificare con ogni mezzo il mantenimento del sistema “basato sulle regole”. L’articolo descrive come tali meccanismi hanno operato contro la Russia per delegittimarla politicamente e poi disumanizzarla nel conflitto militare con l’Ucraina. Quei sistemi sono diventati una costante dell’Occidente liberaldemocratico: non a caso, nel pieno della sanguinosa repressione israeliana nella striscia di Gaza, il 19 ottobre 2023 il primo ministro Netanyahu – a capo di un regime basato sulla violenta e illegittima oppressione del popolo palestinese costretto in condizioni di vero e proprio apartheid dai tratti razzisti – in una conferenza stampa con il premier britannico Sunak ha dichiarato che Hamas è il nuovo nazismo e deve essere combattuto in nome della civiltà occidentale e del mondo libero.
DOCUMENTI
Claudio Veltri, Polonia e lobby ebraica, Quaderni del Jihad, Pinerolo s. d. [ma: 1986].
Questo discorso fu pronunciato da Benedetto Croce all’Assemblea Costituente nella seduta pomeridiana di giovedì 24 luglio 1947. Era in discussione il diktat denominato “Trattato di Pace fra le potenze alleate ed associate e l’Italia, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947”. Il Trattato venne poi ratificato dall’Assemblea il 31 luglio 1947, con 262 voti a favore, 68 contrari e 80 astenuti. Il testo del Trattato è stato pubblicato in: Diktat. Il vergognoso “Trattato di Pace” imposto all’Italia dagli Alleati (Parigi, 10 febbraio 1947), Effepi, Genova 2005, pp. 144.
INTERVISTE
Intervista ad Abu Heydar a cura di Claudio Mutti.
Intervista a Mohammad Hassan Sheikh al Eslami a cura di Claudio Mutti.
Intervista al col. Fabio Filomeni a cura di Luca Tadolini.
RECENSIONI E SCHEDE
Glenn Diesen, L’Europa, penisola occidentale della Grande Eurasia (Luciano Pisani)
Franco Morini, D’Annunzio, la massoneria e le barricate di Parma (Adelaide Seminara)