Descrizione
GEOFILOSOFIA
All’interno delle Vorlesungen über die Philosophie der Weltgeschichte del grande filosofo tedesco la riflessione sulla base geografica della storia mondiale trova una significativa collocazione propedeutica alla stessa storia filosofica del mondo, la cui importanza non è stata ancora sufficientemente colta. Hegel poneva a fondamento dello svolgimento storico mondiale il rapporto tra i popoli e la condizione naturale nella quale questi hanno localizzazione. Secondo l’impostazione storico-idealistica di Hegel, tempo e spazio hanno nella storia e geografia universale il loro correlato fenomenico dal quale i popoli avviano la propria esistenza. Da un punto di vista filosofico il rapporto tra spirito e natura costituisce la struttura teoretica portante su cui Hegel basa l’emancipazione di un popolo dalla condizione di mero «ente naturale» a soggetto storico all’interno della storia mondiale. Dal geografo e collega Carl Ritter,il filosofo tedesco ha tratto i princìpi interpretativi per la comprensione delle possibilità di sviluppo che le differenze geografiche offrono ai popoli, la rappresentazione geologica della superficie terrestre, la sua divisione in continente eurafroasiatico ed aree insulari, e infine la contrapposizione tra terra e mare. Questi rappresentano solo alcuni dei molti aspetti della geografia hegeliana, forieri di sviluppi successivi per la teoria geopolitica.
DOSSARIO: IL SECOLO CINESE?
La Cina oggi: una panoramica dei dati essenziali e delle dinamiche in atto contribuisce alla comprensione della più grande realtà asiatica.
La signora Qi Han è incaricata d’Affari dell’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia. “Eurasia” la ringrazia per aver gentilmente concesso di pubblicare il testo del discorso da lei pronunciato in occasione del Forum Eurasiatico di Verona (17-18 ottobre 2013).
Dal mito alla realtà. Dopo secoli di oblio la Via della Seta, storico ponte tra l’Occidente e la Cina, sta tornando ad essere una direttrice primaria del commercio internazionale. Lungo i suoi itinerari si è tuttavia prefigurata l’ennesima disputa tra eurasiatismo ed euro-atlantismo: da un lato il percorso attraverso Russia e Kazakistan, più rapido e stimolato dal rafforzamento dell’integrazione eurasiatica, dall’altro quello attraverso il Caucaso e il Mar Caspio voluto dall’Unione Europea.
L’ascesa della Cina si è imposta come una realtà della quale tener conto, in tutte le dimensioni proprie della geopolitica. Ma per coglierne la portata e le conseguenze per la vita internazionale occorre collocarla in un contesto preciso: quello attualmente attraversato dalle relazioni internazionali e caratterizzato dal braccio di ferro in corso tra il tentativo statunitense di imporre al mondo il proprio “dominio a pieno spettro” e l’emergere di un equilibrio di potenza multipolare. Nelle righe che seguono cercheremo di dare sommariamente conto dell’azione politica della Cina popolare su diverse scacchiere (dall’America Latina all’Africa) evidenziandone finalità ed effetti. Di particolare rilievo risulta l’impulso dato allo sviluppo dei rapporti economici Sud-Sud con mutuo beneficio, che promettono di erodere il potere ricattatorio esercitato dalle centrali finanziarie legate all’Angloamerica nei confronti dei paesi in via di sviluppo. Si accennerà al complesso rapporto che viene a stabilirsi concretamente tra l’aspirazione cinese ad una crescita armonica e pacifica e il vincolo sistemico indotto dagli Stati Uniti con la corsa agli armamenti e con il susseguirsi di gravissimi crisi regionali che contribuiscono ad attizzare le tensioni tra le Potenze.
La crescita della potenza economica cinese ha avuto principalmente due ripercussioni internazionali. L’una, di carattere commerciale, sta già modificando le dinamiche dei flussi di capitale nel pianeta ed è quella più dibattuta dalla stampa europea ma troppo spesso accentuata, se non deformata da giudizi raramente in sintonia con la realtà dei fatti. L’altra, di carattere strategico, mantiene ritmi di trasformazione più lenti, non tanto per il ritardo con cui la Repubblica Popolare Cinese è giunta ad affrontare nel concreto i temi salienti della guerra informatica e della modernizzazione militare quanto piuttosto per l’enorme potenziale accumulato dal Pentagono nel decennio compreso tra il 1998 e il 2007. Eppure dal momento che le dimensioni commerciale e militare sono interdipendenti, all’inversione di tendenza nella prima potrebbe presto seguirne un’altra nella seconda. Il debutto della prima portaerei cinese, la Liaoning, nel settembre 2012 aveva lanciato un dado sul tavolo: la sfida a quello strapotere aeronavale statunitense che, assieme al primato internazionale del dollaro, costituisce l’architrave dell’egemonia nordamericana sul resto del mondo.
L’arsenale strategico cinese è oggetto di varie congetture. Qui viene presentato un quadro sintetico delle varie stime relative all’arsenale nucleare, dovute ai più importanti enti occidentali di analisi strategica.
Le origini, la storia e l’organizzazione dei partiti democratici. Le lotte comuni assieme ai comunisti nell’epopea della liberazione contro i giapponesi, e nella guerra civile nel periodo della dittatura del Guomindang. La collaborazione di essi col Partito Comunista Cinese nell’amministrazione del Paese e le rappresentanze dei partiti indipendenti nelle alte istituzioni statali. Paralleli col sistema partitico della nostra Italia 1945-1994. Nell’articolo è adottato il sistema di traslitterazione Pinyin di nomi e toponimi.
Negli ultimi anni il problema dell’informazione e dei mezzi di comunicazione di massa si è fatto stringente anche in Cina. Come seconda potenza mondiale e come nazione pienamente inserita nel processo di globalizzazione economica e digitale, il colosso asiatico è ormai entrato sotto la lente d’ingrandimento della famigerata osservazione internazionale. Si tratta di una realtà complessa, che spesso risente delle contraddizioni o delle forzature che il punto di vista politico e geografico dell’osservatore reca necessariamente con sé. Tuttavia, è stato lo stesso Xi Jinping ad annunciare un piano di riforme che risolvano in modo più efficace le complicate questioni legate alla corruzione, agli intrecci impropri tra politica e stampa e alla regolamentazione della rete multimediale. Una sfida da cui dipende l’immagine della Cina nel mondo e, dunque, la sua capacità di guadagnare legittimazione e consenso internazionali.
La RPC è caratterizzata da un sistema di registrazione permanente della residenza (Hukou) che esclude i residenti non regolari, soprattutto i lavoratori migranti, dal godimento delle prestazioni sociali, come l’accesso ai servizi di istruzione, di sanità, di previdenza sociale e di sicurezza sul lavoro. Ciò ha generato una divaricazione netta tra la popolazione urbana e i migranti che provengono dalle zone rurali. Il sistema dello Hukou deriva da una tradizione storica-culturale antica ed è stato modificato varie volte dal Governo cinese. Oggi, la questione dello Hukou è nell’agenda del terzo plenum del Partito Comunista della RPC e quanto mai attuale. La Cina si trova ad affrontare la sfida di un esercito di lavoratori migranti che, sostenendo l’economia cinese, pretendono gli stessi diritti dei cittadini urbani.
Lo “sdoganamento” del Myanmar apparentemente favorisce l’intrusione occidentale nell’area del Sud-Est asiatico, ma la stabilizzazione dell’ex Birmania è funzionale agli interessi di sicurezza della Cina. La strategia geoeconomica del PCC appare ancora una volta vincente. Il secolo asiatico vedrà Pechino protagonista?
La Cina è vicina, e molto, anche in Romania. Da anni ormai, semplici cittadini, operai, imprenditori e multinazionali di servizi e infrastrutture provenienti dalla Città Proibita hanno adottato il Paese carpatico quale meta di investimenti a lunga durata. Nel bellum omnium contra omnes i romeni se ne vanno dal loro Paese e ad esser assunti sono i cinesi, sempre più a basso costo e non meno sfruttati. Un risultato, fra i tanti, è che anche le aziende italiane, andate per suonare, sono state suonate. Sempre dai cinesi. E la Romania, ancora una volta, piange.
Negli ultimi tre decenni, la Repubblica Popolare Cinese ha adottato politiche e misure che, modificando fortemente la struttura socioeconomica del paese, hanno inaugurato una fase di costante crescita economica. La Cina rappresenta oggi un interessante mercato in crescente espansione in cui il turismo costituisce uno dei fulcri centrali dell’industria nazionale. Il mercato turistico cinese rappresenta una grande opportunità per l’Europa e per il sistema di offerta italiano in particolare. L’articolo analizza i dati, i ritmi di sviluppo, le tendenze, i profili dei turisti cinesi, individuando criticità e opportunità.
Affari, ma non solo: anche più tempo libero, voglia di esplorare il mondo, curiosità sempre crescente, desiderio di evasione, necessità di staccarsi dalla frenetica vita delle grandi megalopoli asiatiche. E, soprattutto, maggiore disponibilità economica. Sono questi alcuni fattori che stanno alla base di un fenomeno sempre in crescita e che sta raggiungendo cifre davvero importanti. Si tratta del turismo cinese, dei viaggi interni alla Cina o all’estero che sempre più abitanti della Terra di Mezzo decidono di compiere per piacere. Dove si posiziona il nostro Paese all’interno di questa filiera? Quali passi sono stati già compiuti, da quali sbagli è bene trarre insegnamento e quali piccole accortezze sono richieste agli operatori del settore per accogliere al meglio gli ospiti in arrivo dalla Repubblica Popolare? L’articolo offre un breve excursus sull’evoluzione del fenomeno turistico, andando alle radici della pratica del viaggiare per poi arrivare velocemente ai giorni nostri. Espone alcune cifre che definiscono un’idea generale del fenomeno e si chiude con uno sguardo particolare su quanto è possibile fare per trarre maggiori guadagni da tale tendenza, impossibile da trascurare.
La recente traduzione in cinese delle opere del giurista tedesco e la crescita delle pubblicazioni dedicategli in Cina rappresentano un elemento di novità sotto un duplice punto di vista. Da un lato contribuiscono sul piano ermeneutico ad arricchire la storia della ricezione della filosofia schmittiana del diritto sotto un più generale aspetto teoretico-dottrinale nel dibattito scientifico mondiale; dall’altro, queste pubblicazioni sono rilevanti come inedita introduzione di un autore europeo ormai classico all’interno della specificità politico-culturale della più grande nazione asiatica. Un recente saggio di Qi Zheng fornisce una panoramica su questo dibattito scientifico in Cina e al contempo ci dà la possibilità di intravedere i limiti attuali della ricezione cinese di un pensatore che, come spiega la stessa Qi Zheng, come nessun altro ha causato tante controversie in Cina.
CONTINENTI
La globalizzazione costituisce il fenomeno più rilevante degli ultimi decenni: ingrediente ormai irrinunciabile di ogni riflessione, rimane, ciononostante, un concetto ancora generico e impreciso. Tuttavia, dopo le apologetiche profezie dei sostenitori della globalizzazione, il risultato degli ultimi anni è stato un modello di sviluppo che ha come componente intrinseca l’accentuazione delle diseguaglianze, la precarizzazione del lavoro ed il senso d’insicurezza dei cittadini. La crescita incontrollata della speculazione finanziaria, la delocalizzazione delle imprese, che diventano multinazionali o transnazionali, e l’impotenza dei governi nazionali nel gestire un fenomeno così complesso, sono le priorità cui la politica, riappropriandosi delle proprie prerogative, dovrebbe cercare di dare una risposta.
Il 1 gennaio 2014 sarà una data storica per la Lettonia: il Paese baltico, infatti, diventerà il diciottesimo membro di Eurolandia. Per ragioni sia economiche sia geopolitiche (la volontà di sancire l’appartenenza all’Occidente in funzione antirussa) l’adozione dell’euro è stata uno dei principali obiettivi del governo di centrodestra, ma il Paese è tutt’altro che entusiasta. L’accettazione della Lettonia nell’Eurozona, dopo tutto, è stata vincolata all’adozione di rigide misure di austerità, e non manca chi, memori dei cinquant’anni di occupazione sovietica, teme per la propria sovranità nazionale. Alcuni economisti, d’altro canto, non vedono di buon occhio alcuni provvedimenti recentemente approvati in materia fiscale e temono che il Paese si trasformi in un ponte verso i paradisi fiscali, o peggio che diventi esso stesso un paradiso fiscale.
La Cina è oggi uno dei maggiori interlocutori commerciali degli “stan” dell’Asia Centrale, e i suoi interessi nell’area sono in forte crescita. Emblematici delle strategie geopolitiche di Pechino verso il Centroasia sono i rapporti con Kazakhstan e Kirghizistan. Se fino a poco più di vent’anni fa la Cina era totalmente assente dagli orizzonti kazachi, la sempre più massiccia presenza cinese nell’economia dell’Aquila della Steppa, non più limitata al tradizionale settore degli idrocarburi, ne ha fatto uno dei più importanti partner commerciali e strategici. Inoltre, pur non mancando timori per un possibile boom dell’immigrazione cinese, gli interessi tra i due Paesi sono reciproci, a partire dalle questioni legate alla sicurezza e dalle nuove infrastrutture che collegheranno Cina e Russia attraverso il Kazakhstan. Il Kirghizistan, al contrario, interessa essenzialmente per la sua posizione geografica, mentre la sua futura adesione all’Unione Doganale non è propriamente una buona notizia per quello che un tempo fu il Celeste Impero. Ma nei due Paesi le mosse cinesi suscitano non pochi sospetti: legittimi interessi o espansionismo geoeconomico?
Nonostante la durata, cinque anni, e l’elevato numero di vittime (dai cinquanta ai centomila morti) la guerra civile del Tagikistan rimane, agli occhi del grande pubblico occidentale (e non solo), uno dei conflitti meno conosciuti del convulso periodo immediatamente successivo alla fine della Guerra Fredda, oscurato dai contemporanei ma ben più mediatici conflitti nella ex-Jugoslavia, in Algeria o in Somalia. La guerra civile tagica, nonostante l’oblio che ormai circonda questa drammatica pagina di storia, è di grande interesse sia per lo studio dei conflitti nati dal dissolvimento dell’Unione Sovietica che per eventuali comparazioni con conflitti attualmente in corso, come quello in Siria che oppone le forze governative alla ribellione islamista.
La Siria odierna è un paese complesso dal punto di vista etnico e religioso. Per comprendere quali siano effettivamente le differenze che caratterizzano la sua popolazione è necessario tenere presente le variabili della lingua, della confessione religiosa e dell’eventuale collocazione geografica delle diverse comunità, tre variabili che agiscono profondamente nella definizione delle diverse identità e appartenenze. Nel variegato mosaico siriano riscontriamo così la presenza dominante dei musulmani, ancorché suddivisi tra sunniti, sciiti, ismailiti, alawiti, drusi e yazidi, ma anche diverse varietà del cristianesimo ed una comunità ebraica.
In seguito al deciso rifiuto da parte dell’Arabia Saudita del seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per il quale era stata eletta come membro non permanente, ci si interroga sugli attuali rapporti del Regno dei Saud con storici alleati, rivali di sempre e timido dissenso interno, per scoprire che, nonostante a prima vista possa sembrare il contrario, il vento del cambiamento è ancora lontano dalla Culla dell’Islam.
Nel novembre del 1869 venne inaugurato il Canale di Suez. Ci era voluto quasi un decennio di massacranti lavori per portare a compimento quest’opera ciclopica, dopo che già in fase di progettazione non erano mancate le polemiche. La necessità di mettere in collegamento il Mar Mediterraneo ed il Mar Rosso era chiara a tutti, ma la modalità con cui conseguire tale obiettivo era oggetto di discussione. Vi fu chi propose di aprire un canale fra il Mar Rosso ed il delta del Nilo (come era già stato fatto all’epoca dei Faraoni e della dominazione araba dell’Egitto), chi insistette per un collegamento ferroviario Alessandria-Il Cairo-Mar Rosso e chi spinse per tagliare l’istmo di Suez, anche se si riteneva che fra i due mari vi fosse un dislivello di alcuni metri che avrebbe richiesto la costruzione di complesse chiuse. La Compagnia Universale del Canale di Suez presieduta dallo spregiudicato Ferdinand de Lesseps, il genio ingegneristico di Luigi Negrelli e l’iniziale opposizione britannica furono i soggetti più importanti nella fase iniziale dell’ambiziosa opera di scavo.
INTERVISTE
Enrica Garzilli è, dal 1995, direttrice delle riviste accademiche “International Journal of Sanskrit Studies” e “Journal of South Asia Women Studies”. È stata quindi Research Affiliate al P.G.D.A.V. College, una delle più antiche istituzioni dell’Università di Delhi. Dal 1991 al 2011 ha vinto la Senior Fellowship presso il Center for the Study of World Religions dell’Università di Harvard (1992–94), ha compiuto quattro anni di studi post-laurea in storia, informatica e giurisprudenza, ha insegnato come Lecturer di sanscrito all’università di Harvard e servito come direttore editoriale della Harvard Oriental Series-Opera Minora, è stata Visiting Researcher alla Harvard Law School (1994–96) e docente presso le università di Macerata, Perugia e Torino. Collabora in qualità di esperta alla RSI – Radiotelevisione Svizzera e a riviste e giornali italiani.
Li Hongwei è caporedattore dell’edizione in lingua inglese del quotidiano di approfondimento cinese “Global Times”. Fondato nel 1993 dall’editore del “Quotidiano del Popolo”, il “Global Times” ha raggiunto una popolarità internazionale a partire dal 2009, quando fu lanciata l’edizione in lingua inglese che ha raggiunto i lettori di tutto il mondo, accreditandosi come riferimento imprescindibile per conoscere analisi e opinioni della società cinese. La presente intervista è stata rilasciata ad Andrea Fais, collaboratore di “Eurasia” e di “Global Times”.
DOCUMENTI E RECENSIONI
Luciano Pignataro, La Cina contemporanea da Mao Zedong a Deng Xiaoping (1949-1980)
Tiziano Terzani, Tutte le opere (Stefano Vernole)
Carlo Terracciano, L’Impero del Cuore del Mondo (Andrea Fais)
Massimo Cacciari, Il potere che frena (Claudio Mutti)
ERRATA CORRIGE
Il paragrafo compreso dalla 13ª alla 18ª riga di pag. 183 («Questo Quinto Impero…»), formattato come se fosse un passaggio dovuto all’Autore, è in realtà una citazione di F. Cristovão.