Wayne Madsen, Strategic Culture Foundation, 30.08.2012
Faisal, un riformatore moderato che aveva nominato al governo saudita dei sunniti non wahhabiti e musulmani delle minoranze sciita e ismailita, deteneva il portafoglio di ministro degli esteri. Re Khalid, il successore di Faisal, aveva nominato il principe Saud ministro degli esteri. Il governo post Faisal invertì la rotta dell’inclusione dei non wahhabiti nella società saudita, e la linea del principe Saud sostenne gli Stati Uniti in una varietà di operazioni che coinvolsero gli elementi più radicali dell’Islam, dall’armamento dei mujahidin in Afghanistan, durante l’incursione dell’esercito sovietico in quel paese, al sostegno degli insorti filoqaidisti in Pakistan. Saud aveva anche assicurato il sostegno saudita ai ribelli filowahhabiti nelle zone di crisi, dal Nord Africa alla Cecenia e al Sud-Est asiatico.
Abdulaziz rappresentava l’Arabia Saudita presso il Vertice a Teheran del Movimento dei Non Allineati (NAM), diffamato dalla NATO, in programma per il 30-31 agosto. La presenza di Abdulaziz a Teheran violava direttamente la volontà degli alleati della NATO dell’Arabia Saudita, che coordinano la rivolta, in gran parte finanziata dai sauditi e dal Qatar, contro il presidente siriano Bashar al-Assad. I sauditi hanno anche sostenuto i ribelli appoggiati dalla NATO in Libia, che hanno rovesciato e assassinato Muammar Gheddafi.
Gli Stati Uniti, Israele e l’Unione Europea hanno cercato, senza riuscirci, di convincere gli uomini di Stato mondiali a boicottare il vertice di Teheran.
L’ingresso di Abdulaziz, esperto di affari siriani e libanesi, nella gerarchia degli affari esteri dell’Arabia Saudita, potrebbe far presagire un ampio cambiamento nell’allineamento dell’Arabia Saudita agli interessi degli Stati Uniti e, per impostazione predefinita, di Israele, nel Medio Oriente. Solo pochi mesi fa, Abdulaziz era a Parigi, a una riunione dei sostenitori degli Amici della Siria, l’artificio occidentale e del Golfo Persico creato per perorare il sostegno internazionale al movimento ribelle siriano.
I sauditi come Abdulaziz sono sensibili alle transizioni internazionali della geopolitica globale unipolare, dominata dagli Stati Uniti in seguito alcrollo dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia, Il vertice del NAM include un certo numero di potenze economiche emergenti alle quali poco importano le esortazioni di Washington, Gerusalemme, Londra e Bruxelles a isolare il governo iraniano. A Teheran il ministro degli esteri saudita si troverà a fianco non solo del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, che ha appena partecipato al vertice dell’organizzazione della cooperazione islamica alla Mecca, su invito del re saudita Abdullah, ma anche del primo ministro della Siria Wael al-Halqi e del ministro degli esteri Walid Muallem, i quali rappresentano quel governo di Damasco che l’Arabia Saudita sta cercando di rovesciare.
L’Agenzia giornalistica studentesca iraniana (ISNA) ha citato Ahmadinejad, che avrebbe detto ai suoi ospiti sauditi, alla Mecca: “Una parte significativa dell’energia dei governi e dei gruppi musulmani viene spesa in conflitti interni, per danneggiarsi l’un con l’altro… Forse sarebbe un bene per i paesi musulmani consultarsi tra loro su questo tema”. Le parole di Ahmadinejad potrebbero aver avuto qualche effetto sulla dirigenza saudita. Abdulaziz ha ricambiato la visita di Ahmadinejad accettando l’invito dell’Iran al vertice del NAM di Teheran.
A differenza del principe Saud, Abdulaziz potrebbe trovarsi di fronte a una nuova realtà globale. Nazioni contrarie all’egemonia degli Stati Uniti e della NATO stanno costituendo nuove alleanze globali e regionali, come l’Organizzazione di Shanghai in Asia, l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) e l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) in America Latina e nei Caraibi, e il gruppo economico (BRICS) del Brasile (rappresentato a Teheran dal suo Vice Presidente)-Russia-India-Cina-Sud Africa (rappresentato a Teheran dal suo ministro degli Esteri). Il tentativo da parte di Iran, India e Sud Africa, tra le altre nazioni, di dare nuova vita al NAM è un riconoscimento da parte di queste nazioni che il mondo sta passando a una realtà multipolare, in cui la Russia, la Cina e l’India stanno giocando ruoli principali. Inoltre, l’Organizzazione della Conferenza Islamica, che sta acquistando importanza internazionale, avrà presto uno dei subordinati di Abdulaziz al ministero degli esteri, Nazar Madani, quale suo nuovo segretario generale. Per l’Arabia Saudita, i legami con gli Stati Uniti e Israele stanno diventando una responsabilità scomoda.
Durante la Guerra Fredda, il NAM, ideato da capi di Stato nazionalisti e antimperialisti come Sukarno dell’Indonesia, Kwame Nkrumah del Ghana, Josip Broz Tito di Jugoslavia e Jawaharlal Nehru dell’India, era visto come un contrappeso ai blocchi occidentale e sovietico. Dopo la fine della Guerra Fredda, il NAM è diventato in gran parte irrilevante. Tuttavia, come si può vedere dalla presenza dei capi mondiali a Teheran, i dettami dell’Occidente e dei neo-conservatori sono caduti nel vuoto. Il messaggio è stato sentito forte e chiaro nei palazzi reali degli stati del Golfo. Assieme a Abdulaziz dell’Arabia Saudita, si sono presentati a Teheran gli emiri del Qatar e del Kuwait, il sultano dell’Oman e il ministri degli esteri del Bahrain.
L’Arabia Saudita è stata fatta oggetto di critiche da parte di paesi islamici, come pure dei paesi non allineati, per la sua politica di continuo sostegno a Stati Uniti e Israele su questioni che vanno dall’intervento occidentale in Iraq, Libia e Siria al sostegno dato al regime monarchico in Bahrain. Sempre più spesso, i mezzi di comunicazione del Vicino Oriente e del mondo islamico riferiscono che la Casa dei Saud discende da una famiglia di commercianti ebrei che, un tempo, viveva in quello che oggi è il Kuwait. Re Faisal, che probabilmente era anche irritato da queste voci, ebbe sempre cura di presentarsi alle visite dei capi di Stato con una copia riccamente rilegata dei Protocolli dei Savi di Sion.
I membri del NAM rappresentano il 14 per cento del prodotto interno lordo del mondo, qualcosa che non si perde sul petrolio e gas naturale esportati dai sauditi. L’Arabia Saudita è anche ben consapevole che la Cina ha partecipato al vertice di Teheran in qualità di osservatore e la Russia come ospite speciale. Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che è stato oggetto di una raffica di critiche dai centri di potere neo-conservatori in Occidente, partecipava al vertice di Teheran. Il portavoce del ministero degli esteri israeliano ha detto del vertice NAM, “Questa conferenza sarà senza dubbio sfruttata dal regime iraniano a fini di propaganda, e cercherà di creare l’impressione di una legittimità della sua politica”. L’ex primo ministro della Malesia, Mahathir Mohamed, ha dato una buona risposta a Stati Uniti e Israele, quando disse: “Alcuni paesi del NAM hanno fin troppo sostenuto le sanzioni contro l’Iran, una mossa del tutto sconsigliabile, perché le sanzioni non sono volute dalle Nazioni Unite, ma attuate unilateralmente dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti possono emettere qualsiasi tipo di sanzioni vogliano contro l’Iran, ma non c’è motivo che gli altri paesi facciano lo stesso.” Era chiaro che Mahathir aveva i sauditi e i loro alleati del Golfo in mente, quando ha fatto questa sua dichiarazione.
Ci sono stati tentativi da parte dell’oligarchia neoconservatrice di Washington, rappresentata in particolare da Robert Kagan dell’elitaria Brookings Institution e da sua moglie, la portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland, per convincere Ban, il presidente egiziano Mohammed Morsi, e altri destinatari degli aiuti statunitensi, a boicottare Teheran.
Tuttavia, era presente a Teheran una collezione di capi sostenuti dagli Stati Uniti: il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki, il presidente afgano Hamid Karzai, il primo ministro indiano Manmohan Singh, il presidente pakistano Asif Ali Zaradari, il primo ministro marocchino Abdelillah Benkirane, il presidente della Mauritania Mohamed Ould Abdul Aziz, il Vicepresidente delle Filippine Jejomar Binay, il presidente del Senegal Macky Sall, il presidente del Benin Yayi Boni e il primo ministro cambogiano Hun Sen. Il principe Abdulaziz è probabilmente più abile del precedente ministro degli esteri saudita, nel percepire le sabbie mobili geo-politiche del Medio Oriente. La politica estera saudita potrebbe anche cambiare, dato lo spirare di questi venti politici.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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