La collocazione geopolitica della Russia: rappresentazioni e realtà, a cura di Vladimir Kolosov, Ed. Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2001
Passato un decennio dal crollo dell’Unione Sovietica e dalla fine della “guerra fredda”, il volume analizza quale sia l’attuale collocazione geopolitica e geoculturale della Russia, aprendo prospettive decisamente inedite per comprendere l’evoluzione in corso nella società russa alla ricerca di una rinnovata identità e di un nuovo ruolo strategico alle soglie del terzo millennio.
Vladimir Kolosov, curatore della raccolta di saggi presente nel testo, è direttore del Centro di studi geopolitici presso l’Istituto di geografia dell’Accademia delle Scienze della Russia e presidente della Commissione geografica internazionale per gli studi di geografia politica.
Il libro è composto da dieci relazioni stilate da altrettanti valenti studiosi, quasi tutti appartenenti all’Accademia delle Scienze della Russia; esse riguardano:
1) Le rappresentazioni geopolitiche della Russia.
2) L’Isola Russia nell’economia mondiale alle soglie del XXI secolo.
3) Gli investimenti esteri in Russia: il centro e la periferia.
4) La scoperta del mondo: geografia delle comunicazioni esterne della Russia.
5) I russi all’estero: semplice minoranza etnica o autentica diaspora?
6) La Russia nella sua dimensione religiosa.
7) La carta geopolitica del mondo nei mass media russi.
8) La Russia nelle immagini artistiche di poeti e compositori russi e sovietici.
9) Struttura e carattere dell’identità nazionale in Russia.
10) Un fosco mattino: prospettive geopolitiche della Russia alle soglie del XXI secolo
Inutile dire che tutti gli argomenti trattati meriterebbero forte attenzione, ma data la vastità dell’argomento è necessario concentrarsi sul primo capitolo.
Dopo un breve excursus storico e politico, Kolosov e Turovskij affrontano il tema delle moderne concezioni geopolitiche della Russia, precisando che la scienza geopolitica si è sviluppata ufficialmente a Mosca soltanto negli anni Ottanta e Novanta, benche fossè esistita de facto anche nell’Unione Sovietica (essendo la geopolitica associata all’ideologia fascista, le sue applicazioni – come ad esempio nella “Dottrina Breznev” – venivano mascherate da una terminologia geografica). Disgregatasi l’URSS, invece, il rinato pensiero geopolitico russo si è trovato a dover affrontare un nuovo compito: comprendere quale fosse il posto della Russia nel mondo in seguito al crollo del Muro di Berlino. La prima tesi proposta si è richiamata esplicitamente al famoso enunciato mackinderiano dell’Heartland (1), in base al quale la Russia rappresenta un paese chiave per la stabilità del pianeta e dev’essere perciò considerata il centro geografico della politica mondiale. Portavoce principale di questo orientamento è stata la stampa di orientamento nazionalistico, soprattutto il quotidiano “Den”, fondato agli inizi degli anni Novanta.
All’interno di questa scuola definitasi neoeurasiatica spiccano – tra gli altri – il fondatore, Aleksandr Dugin, il cui “Fondamenti di geopolitica. Il futuro geopolitico della Russia” è oggi giunto alla quarta edizione, A. Glivakovskij, A. Fomenko e il colonnello E. Morozov. Essi hanno rivisitato in maniera sostanziale la dottrina eurasiatica(2) della prima metà del XX secolo, ponendo alla base delle loro tesi una comprensione dogmatica delle teorie di H.J. Mackinder, K. Haushofer . e assolutizzando la contrapposizione tra potenze marittime e potenze continentali, l'”eterna Cartagine” contro l'”eterna Roma”.
La scuola neoeurasiatica ha così cercato di giustificare sotto il profilo teorico il conflitto tra la Russia e l’Occidente, trasformando la geopolitica nella base stessa del nazionalismo post-sovietico e sottolineando le intramontabili diversità tra i loro modelli economici e politici: il modello commerciale-mercantile e liberal-democratico delle talassocrazie contro quello autarchico-protezionista e tradizionalista-imperiale della maggiore potenza continentale eurasiatica. Essa auspica alla base del progetto neoeurasiatico una serie di alleanze paritarie slavo-turche e musulmano-ortodosse, al fine di sfuggire alla contrapposizione alimentata dalla cospirazione statunitense nel Caucaso e nei Balcani (Cecenia, Bosnia, Kosovo-Metohija .).
Un fine gioco diplomatico dovrebbe perciò consentire di sottrarre la Turchia al condizionamento atlantista (sempre più mal sopportato dalla popolazione, come dimostra la totale ostilità all’aggressione anglo-americana all’Iraq), mentre centrale rimarrebbe l’alleanza tra Russia e Iran. In Estremo Oriente, un forte legame con il Giappone non dovrebbe però compromettere i rapporti russo-cinesi.
In Occidente, se gli Stati Uniti continuano ad essere considerati il nemico principale, bisogna invece sviluppare un atteggiamento diversificato verso quelle nazioni europee che dimostrino la volontà di non farsi risucchiare dall’egemonismo di Washington. La prospettiva più realistica è rappresentata da un futuro asse geopolitico Mosca-Parigi-Berlino, accreditato dalla dipendenza dell’economia russa dalle banche tedesche e dal tradizionale antiamericanismo della Francia, eredità delle posizioni geostrategiche di De Gaulle.
Ma al rettangolo disegnato da Dugin – Parigi-Berlino-Mosca-Tokyo-Teheran – altri neoeurasisti preferiscono sostituire il Giappone con la Cina, mentre inseriscono tra le alleanze naturali della Russia quella con l’India. Queste teorie hanno esercitato negli anni Novanta una notevole influenza sia sulle posizioni del Partito Comunista Russo sia su quelle degli ambienti nazional-patriottici, anche grazie ai rapporti coltivati con figure di spicco dell’area nazionalrivoluzionaria europea, quali il belga Jean Thiriart (<>), A. De Benoist, R. Steuckers, J. Parvulescu e gli italiani C. Mutti e C. Terraciano.
Tra le critiche apportate da Kolosov alla scuola neoeurasiatista (non dimentichiamo per quale casa editrice è uscito il volume), spiccano le accuse di “determinismo geografico”, di scarsa attenzione al fenomeno della globalizzazione e del progresso teconologico, di prospettive troppo basate sui “classici” della geopolitica mondiale, di scarsa attenzione a importanti lavori basati su vedute e approcci assai diversi.
Probabilmente la sua critica risente anche del periodo nel quale è stato scritto il libro, antecedente agli avvenimenti dell’11 settembre 2001, a seguito dei quali è stata riconfermata con le aggressioni statunitensi all’Afghanistan e all’Iraq, la volontà delle talassocrazie atlantiste di circondare l’Eurasia e i suoi possibili alleati cinesi.
La stessa strategia adottata dall’Amministrazione Bush, non dimostra certo di accogliere le possibili alternative geopolitiche radicali o liberali alle quali probabilmente Kolosov fa riferimento, trattandosi di un compromesso tra la vecchia dottrina realista incarnata dalla Rice e da Rumsfeld e l’unilateralismo imperialistico dei “neocons” – sostenitori della necessità di una “rivoluzione permanente” di trockiana memoria – impersonato dai vari Cheney, Perle, Wolfowitz, Kagan . La realtà di un mondo multipolare, descritta dal curatore a p. 16, è oggi sconfessata dai fatti.
Non tutti gli avversari dell’Occidente e degli ideali liberali hanno tuttavia aderito alla scuola neoeurasiatica. I rappresentanti della dottrina geopolitica nazionalista, di carattere sostanzialmente isolazionistico, propongono non un’alleanza con etnie turche e popoli musulmani ma: – la creazione di uno Stato nazionale russo con il predominio della Chiesa ortodossa; – la riunificazione all’Ucraina e alla Bielorussia; – l’abbandono da parte della Russia di Caucaso e Asia centrale; – l’attenzione sui problemi della rinascita nazionale del popolo russo e una contrapposizione ideologica agli eurasiatici e ai comunisti, visti come forze associate alle tendenze antinazionali volte a disgregare l’identità russa. Poiché vengono riconosciuti come alleati naturali della Russia le genti slave e gli altri popoli cristiani d’Oriente, si avvertono chiaramente in questa geostrategia elementi tipici del panslavismo e della panortodossia del XIX – inizi XX secolo.
La concezione neoisolazionista, proposta invece da Vladimir Cymburskij, presuppone un preciso distanziamento della Russia dagli eventi internazionali, un pieno riconoscimento delle attuali frontiere della Russia, la valorizzazione dei territori esistenti e la rinuncia ad ogni sua espansione esterna e “missione mondiale”. Esso non è però riuscito a porsi come corrente dominante, perché la Russia non è in grado di rinunciare del tutto a una forma di presenzialismo globale, dovuto anche ai forti interessi russi nella fascia che va dal Baltico al Mar Nero, alla Transcaucasia e all’Asia Centrale. Oggi bisogna piuttosto parlare della nascita di un modello geopolitico del consenso, partorito nell’ambiente dell’intelligencija nella seconda metà degli anni Novanta.
Questo modello può essere definito come moderatamente patriottico, in quanto il suo scopo è quello di rafforzare la statalità russa e la posizione del paese nell’arena mondiale, combinando realismo e pragmatismo in politica estera ed evitando i rischi delle posizioni estremiste, sia nazionaliste sia occidentaliste. Secondo questa posizione, la Russia appare intenzionata ad inserirsi nell’equilibrio delle forze mondiali come un centro pienamente autonomo, operante in un mondo multipolare e pronto a difendere la propria particolare posizione qualora gli eventi lo richiedano.
Una strategia di equilibrio tra quelli che sono i maggiori centri di forze del pianeta, in grado di permettere alla Russia di inserirsi a pieno titolo nel processo di formazione del nuovo ordine mondiale e giocarvi un ruolo importante. In particolare K. Sorokin ha definito i principi geostrategici chiamati a sostituire quelli neoeurasiatici – che lo stesso definisce <> e perciò evidentemente non così datati come lo stesso Kolosov voleva far intendere – : a) il massimo utilizzo di quelle leve ancora esistenti in Russia per dare un contributo al processo politico mondiale; b) la ferma opposizione ad un eccessivo rafforzamento di singoli centri geopolitici; c) la capacità di sfruttare le contraddizioni in atto tra le potenze mondiali; d) il ricorso in politica estera al criterio del “pieno coordinamento”, vale a dire al rigido condizionamento di concessioni da parte russa soltanto in presenza di azioni di analogo significato da parte degli altri paesi. Una strategia che assomiglia molto a quella portata avanti fino ad oggi dal Presidente V. Putin (3) , ma che tuttavia è soltanto in via di formazione. Risulta interessante, al proposito, l’azione di lobby condotta da A. Dugin e il suo movimento “Eurasia” nei confronti di Putin e la nascita di partiti politici manifestatamente eurasisti quali “Rodina” dell’economista S. Glaziev (9,1% nelle recenti elezioni per la Duma), quali indici del tentativo d’ influenzare l’azione del Cremlino in senso pìù rivoluzionario. La stessa crisi jugoslava, con la presa russa dell’aeroporto di Pristina, aveva peraltro già fatto capire quanto difficile fosse il raggiungimento di un accordo stabile con gli Stati Uniti.
L’idea fondamentale della massiccia campagna di stampa occidentale dopo quell’avvenimento è stata tutta ispirata alla nota tesi avanzata da H. Kissinger, secondo la quale l’Occidente non può credere per principio alla buona fede della Russia, in quanto caratteristica immanente di questa nazione è l’imperialismo e la refrattarietà ai valori della democrazia liberale. Secondo l’idea kissingeriana, perciò, l’Occidente dovrebbe contrapporsi alla Russia con lo stesso impegno con il quale si era opposto all’Unione Sovietica, indipendentemente da qualsivolgia regime sia al potere a Mosca. Malgrado tutto, Kolosov rimane ottimista riguardo le relazioni Russia-Occidente, in quanto <>.
Una posizione – la sua – fortemente influenzata da una visione economicista e tecnocratica, sicuramente giustificata dalla situazione economico-finanziaria della Russia negli anni Novanta.
Bisognerà però verificare se l’attuale politica del presidente V. Putin, volta a sottrarre il controllo dell’economia dalle mani degli oligarchi per riportarlo sotto quelle dello Stato, non stia per realizzare una clamorosa inversione di tendenza, consentendo alla Russia di tornare a svolgere quella “missione provvidenziale” che tanti ancora oggi auspicano.
Note
(1) Secondo questa teoria sorta in Gran Bretagna agli inizi del XX secolo, il sistema mondiale è costituito da tre cerchi concentrici: l’Heartland (lo spazio continentale dell’Eurasia, il suo nucleo); la mezzaluna interna (territori eurasiatici che si affacciano sul mare); mezzaluna esterna (America, Africa, isole del Pacifico incluso il Giappone, Gran Bretagna).
(2) Fondamentale al proposito il testo di Aldo Ferrari, “La foresta e la steppa: il mito dell’Eurasia nella cultura russa”, Milano, 2003. (3) Interessante per capire le dinamiche della geopolitica russa l’articolo di Giacomo Catrame “Missione incompiuta. Georgia: giochi di potenza tra USA e Russia”, su “Umanità Nova” e ripreso dal bollettino telematico “La Nazione Eurasia”, importante soprattutto perchè spiega il cambiamento intercorso nei rapporti USA-Russia tra l’aggressione atlantista all’Afghanistan e quella all’Iraq.
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