Il 15 novembre scorso è calato il sipario sul XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese. A pochi giorni di distanza dalle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, l’evento ha senza dubbio catalizzato l’attenzione degli osservatori internazionali intenti a cercare di capire le configurazione politica della futura dirigenza che, a partire dall’anno prossimo, prenderà in mano le redini della nazione asiatica. Nella fretta di fornire quante più indiscrezioni e indicazioni possibili, molta parte della stampa europea si è dimenticata di sottolineare e sintetizzare in modo esaustivo il discorso inaugurale del presidente uscente Hu Jintao. A dieci anni di distanza dalla sua elezione a segretario generale e a quasi dieci dalla sua ascesa alla più alta carica istituzionale della Repubblica Popolare, Hu Jintao ha specificato con una lunga e complessa analisi i sentieri del Partito, le vie politiche, economiche e difensive attraverso cui il governo dovrà necessariamente transitare per raggiungere gli obiettivi fissati.

 

 

 

LE DIRETTRICI GENERALI

La relazione di Hu Jintao può essere suddivisa in almeno dodici parti, ad ognuna delle quali corrisponde una serie di indicazioni e di traguardi di grande importanza per le sorti della Cina[1]:

1. Nel bilancio dei cinque anni trascorsi dal XVII Congresso (2007), Hu Jintao ha riassunto in breve tutti i risultati raggiunti dal grande lavoro svolto.

  • Lo stato delle politiche di riforma e apertura alla luce della rapida crescita economica ottenuta grazie al XII Piano Quinquennale
  • Il potenziamento dello sviluppo industriale ed agricolo
  • La crescita qualitativa del livello di vita della popolazione
  • Lo sviluppo di un sistema legislativo moderno e coerente con l’opera di costruzione della democrazia popolare nel quadro dell’edificazione del socialismo con caratteristiche cinesi
  • Lo sviluppo della cultura a tutti i livelli e della ricerca scientifica
  • L’estensione all’intera popolazione dei fondamentali piani assicurativi e assistenziali
  • La modernizzazione delle Forze Armate nel contesto delle nuove condizioni di confronto militare e nel quadro della missione storica che detengono
  • L’intensificazione della cooperazione politica ed economica con i territori ad amministrazione speciale (Hong Kong e Macao) e con Taiwan, finalizzata alla loro progressiva e completa reintegrazione nella nazione cinese
  • La crescita della capacità diplomatica internazionale della Repubblica Popolare Cinese
  • L’importanza della concezione scientifica nello sviluppo teoretico del paradigma del Partito, identificato dalla continuità tra il marxismo-leninismo, il pensiero di Mao Zedong, la teoria di Deng Xiaoping e la tesi della triplice rappresentanza (Jiang Zemin)

2. Rafforzare le conquiste del socialismo con caratteristiche cinesi nelle nuove condizioni storiche e politiche, attraverso:

  • La conservazione del popolo nel ruolo di motore e attore della nazione
  • La prosecuzione dell’edificazione e dello sviluppo delle forze produttive, secondo un piano di razionalizzazione (armoniosa) e diversificazione della crescita economica
  • Il rafforzamento delle politiche di riforma a tutti i livelli, della sperimentazione e dell’innovazione sul piano economico, politico e tecnologico
  • La salvaguardia della giustizia sociale e del benessere generale attraverso il rafforzamento del concetto di uguaglianza di tutti i cittadini per quanto riguarda diritti e doveri
  • Lo sviluppo di un equo sistema di redistribuzione della ricchezza nazionale verso tutte le fasce sociali
  • La crescita dell’armonia sociale e dei meccanismi volti alla soddisfazione delle esigenze generali al fine di costruire una società stabile e ordinata
  • Il perseguimento di una politica di sviluppo pacifico attraverso le linee di una cooperazione internazionale dal mutuo vantaggio
  • La continua e incessante riaffermazione del principio in base al quale il Partito rappresenta il popolo e l’autorità ne è emanazione diretta

3. Completare la costruzione di una società moderatamente prospera in tutti gli aspetti e approfondire i nuovi margini per le riforme di apertura a tutti i livelli.

4. Accelerare il miglioramento dell’economia socialista di mercato e il cambiamento del modello di sviluppo, attraverso un’attenta regolazione in ambito economico e produttivo tra il ruolo (fondamentale) del settore statale e quello (complementare) del settore privato.

5. Estendere la democrazia popolare e sviluppare un sistema assembleare sempre più partecipativo a tutti i livelli, sulla via del socialismo con caratteristiche cinesi.

6. Sviluppare un sistema educativo ed etico in linea coi principi-guida del socialismo con caratteristiche cinesi:benessere, civiltà, armonia, indipendenza, uguaglianza, giustizia, legalismo, patriottismo, impegno, integrità e solidarietà.

7. Rafforzare lo sviluppo sociale e migliorare il benessere della popolazione attraverso riforme e miglioramenti nelle politiche di gestione economica.

8. Migliorare le politiche ambientali, per difendere i tratti geografici e geologici della nazione.

9. Accelerare il processo di modernizzazione e informatizzazione delle Forze Armate e delle strutture difensive nel loro complesso.

10. Arricchire l’esperienza accumulata durante l’applicazione della linea “un Paese, due sistemi” per quel che riguarda la riunificazione progressiva e definitiva dei territori di Hong Kong, Macao e Taiwan con la Repubblica Popolare Cinese.

11. Procedere nella promozione della nobile causa della pace internazionale e dello sviluppo umano, seguendo incessantemente i “Cinque Principi della Coesistenza Pacifica” (Zhou Enlai), al fine di contribuire allo sviluppo e al miglioramento delle capacità di mediazione e di dialogo nel contesto delle Nazioni Unite.

12. Rendere il lavoro del Partito ancora più scientifico sotto tutti gli aspetti.

 

La relazione di Hu Jintao ha ribadito tutti i punti fondamentali espressi già durante lo scorso anno, in occasione delle celebrazioni per il 90° anniversario dalla fondazione del Partito Comunista Cinese (1 luglio 1921), e costituisce un documento importantissimo per comprendere l’eredità politica con la quale dovrà necessariamente rapportarsi il neoeletto segretario generale Xi Jinping non appena entrerà effettivamente in possesso della carica presidenziale all’inizio dell’anno prossimo. Da parte sua, il discorso di presentazione alla stampa di Xi Jinping, è stato molto più sintetico e si è limitato alle formalità imposte dal cerimoniale. Tuttavia, dopo aver presentato i nuovi sei membri che lo affiancheranno nella composizione del Comitato Centrale del Partito (Li Keqiang, Zhang Deijiang, Yu Zhengsheng, Liu Yunshan, Wang Qishan e Zhang Gaoli), Xi ha ricordato il fondamentale contributo internazionale della Cina negli oltre 5.000 anni della sua civiltà e ha sottolineato le sofferenze più recenti patite dal popolo cinese[2], con un implicito riferimento al “secolo delle umiliazioni” (1839-1949). Ha infine elencato in sintesi le speranze e le aspirazioni sociali ed economiche del popolo cinese, paragonando la cifra delle responsabilità e degli oneri di cui il Partito dovrà farsi carico, alla pesantezza del Monte Tai[3], secondo la celebre usanza dei leader politici di ricorrere ad efficaci figure retoriche riferite ai più antichi luoghi naturali del Paese.

 

 

 

LE DIRETTRICI STRATEGICHE

Se Hu Jintao ribadisce l’importanza dei “Cinque Principi di Coesistenza Pacifica” quale guida per la Repubblica Popolare Cinese lungo i numerosi e promettenti sentieri della sua politica estera, Xi Jinping non potrà esimersi dall’adozione di una strategia globale che consenta di proiettare, in modo pacifico e sostenibile, l’emergente potenza economica cinese. L’ascesa pacifica del Paese, rimarcata da Hu Jintao nella sua relazione, dovrà dunque bilanciarsi con un’attenta ricerca di spazi di cooperazione sempre più vasti, senza preclusioni e senza limitazioni di natura pregiudiziale o politica, proprio come indicato da Deng Xiaoping trent’anni fa. Le basi costruite da Jiang Zemin e Zhu Rongji nell’opera di pacificazione e normalizzazione dei rapporti con la Repubblica Socialista del Vietnam e con gli altri Paesi dell’ASEAN e nello sviluppo di solide relazioni con i Paesi Africani (FOCAC), sono state chiaramente cementate negli ultimi anni dal lavoro del presidente Hu Jintao e del primo ministro Wen Jiabao. I lodevoli risultati raggiunti grazie ai piani di cooperazione con il Sud del Mondo hanno permesso a Pechino di presentare la sua win-win strategy come un biglietto da visita decisivo nella capacità di attrarre le dirigenze politiche indigene, gran parte delle quali ormai disilluse dai fallimenti della fase unipolare, che ha contrassegnato gli ultimi vent’anni di storia.

Da almeno due anni, nei principali documenti strategici della Repubblica Popolare Cinese, il concetto di globalizzazione economica viene affiancato a quello di multipolarizzazione del mondo, con l’evidente scopo di sottolinearne il rapporto di reciproca corrispondenza. Hu Jintao afferma in tal senso: “Oggigiorno il mondo sta subendo profondi e complessi mutamenti, ma la pace e lo sviluppo restano le principali istanze dei nostri tempi. Le tendenze globali verso il multipolarismo e la globalizzazione economica si stanno espandendo. Il cambiamento culturale sta aumentando, e la società informatica sta emergendo rapidamente. Sono in atto nuove svolte importanti nel quadro della rivoluzione scientifica e tecnologica. La cooperazione globale si sta espandendo su vari livelli e su tutti i fronti. Le economie emergenti e i Paesi in via di sviluppo stanno acquistando una forza sempre più grande, orientando il bilanciamento dei rapporti di forza internazionali nella direzione di una stabilizzazione della pace mondiale”[4]. Questa lettura ribalta completamente la prospettiva teorica occidentale più recente che, soprattutto negli anni Novanta, aveva frettolosamente (e opportunisticamente) interpretato la fine della Guerra Fredda (ed il crollo del blocco sovietico) come la diretta emersione di una necessità in base alla quale il modello politico ed economico degli Stati Uniti si sarebbe dovuto riprodurre ed espandere nell’intero pianeta. All’epoca, Bill Clinton ricorse alla mitologia della globalizzazione, concepita alla stregua di un “dogma” politico, di un meccanismo che, come sottolinea Zbigniew Brzezinski, risentì chiaramente di una concezione storica deterministica, perfettamente compatibile con la (auto)convinzione statunitense di essere una nazione indispensabile per il mondo, una nazione in cui la politica estera poté essere pensata come una vera e propria estensione della politica interna[5].

Hu Jintao, tuttavia, ribadisce che alle grandi opportunità multipolari che il processo di “mondializzazione” dei commerci e delle tecnologie presenta, si affianca anche una pericolosissima moltiplicazione dei fattori di rischio presenti nel pianeta: “Il mondo è ancora lontano dall’essere pacificato. La crisi finanziaria mondiale sta imprimendo un impatto devastante sul pianeta. Lo sviluppo economico mondiale è oscurato da crescenti fattori di instabilità e incertezza […] Ci sono ancora segnali di un egemonismo in aumento, di politiche aggressive e di neo-interventismo […] Istanze di livello internazionale come la sicurezza alimentare, la sicurezza energetica e industriale e la sicurezza informatica stanno diventando sempre più pressanti”[6].

Le minacce costituite da un egemonismo praticato in modo sempre più sofisticato ma non meno aggressivo del passato, da un rinnovato interventismo militare da parte delle principali potenze della NATO e dalla forza logistica, tecnologica ed informatica conseguita dalle reti del terrorismo transnazionale – tutt’altro che tramontato dopo la (presunta) cattura ed uccisione di Osama bin Laden – emergono come priorità basilari nella lettura del presidente Hu Jintao. È comprensibile, dunque, il quadro generale delle motivazioni che spingono il Ministero della Difesa della Repubblica Popolare ad intensificare le sue attività, a modernizzare le sue strutture strategiche e ad espandere il suo raggio di sorveglianza.

Anche in questo caso, i compiti cui Xi Jinping dovrà assolvere sembrano già segnati dal corso politico degli ultimi dieci anni: “Costruire una forte difesa nazionale e un potente esercito, commisurato al peso internazionale della Cina e capace di rispondere alle richieste della sua sicurezza e dello sviluppo dei suoi interessi, è un compito strategico nel cammino di modernizzazione del Paese […] Dobbiamo instancabilmente adempiere al principio in base al quale il Partito esercita il comando assoluto sulle Forze Armate e continuare ad educare il nostro Esercito attraverso il sistema teorico del socialismo con caratteristiche cinesi”[7]. L’importanza attribuita all’integrazione tra il settore delle tecnologie informatiche (IT) e il settore militare, mostra come l’Esercito Popolare di Liberazione sia pienamente in grado di proiettarsi nel contesto del XXI secolo, aumentando le sue capacità tattico-operative ed innovandole in linea con il paradigma delle caratteristiche cinesi. In tal senso, sarà fondamentale per il governo centrale mantenere un accorto criterio di proporzione tra le spese militari e le spese sociali.

A partire dal 2001, la Repubblica Popolare Cinese ha destinato alla Difesa fondi sempre più consistenti, chiaramente commisurati alla crescente richiesta di sicurezza collettiva dopo i tragici avvenimenti dell’Undici Settembre. In soli dieci anni, il budget militare cinese è aumentato del 214%, passando da 41,176 miliardi di dollari a 129,272[8], mostrando dunque di poter assumere numerosi impegni ed oneri anche nel quadro dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai: ogni anno, infatti gli stati maggiori di Russia, Cina, Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan conducono addestramenti congiunti per migliorare reciprocamente le rispettive capacità tattico-operative nella lotta al terrorismo, al separatismo, all’estremismo, al contrabbando e al narcotraffico.

 

 

 

GLI SVILUPPI MILITARI RECENTI

La Cina lancia la sua prima portaerei. A settembre di quest’anno, ha ufficialmente fatto il suo ingresso in servizio la prima portaerei cinese della storia. Si tratta della Liaoning, ossia l’ex portaerei sovietica Varjag, acquistata dall’Ucraina nel 1998 e rimessa a nuovo dal comparto militar-industriale cinese. Si tratta di una volontà espressa dalla Commissione Militare Centrale sin dal 1987 ed inseguita con forza al fine di difendere non solo gli interessi marittimi regionali ma anche quelli oceanici. Classe Kuznetsov, la Liaoning potrà ospitare un numero elevato di cacciabombardieri J-15, Su-33 (fabbricazione russa) e, pare, anche un prototipo del nuovo velivolo stealth J-31.

Il caccia “invisibile” J-31. Per alcuni noto anche come J-21, è stato recentemente fotografato nell’aeroporto militare di Shenyang in fase di sperimentazione. Si tratta di un caccia monoposto con caratteristiche stealth, che potrebbe essere stato pensato dagli ingegneri cinesi come un oggetto destinato al mercato, vista la sua capacità di sostituire i vecchi MiG-29 sovietici[9], ancora in dotazione a molti eserciti dei Paesi arabi.

Il missile balistico DF-21D come potenziale arma letale nel sea-denial. Lo sviluppo della sua prima portaerei e la volontà espressa dal presidente Hu Jintao di potenziare le capacità navali delle Forze Armate, non sono fattori che possono modificare radicalmente la natura tellurocratica della potenza cinese. Inoltre, l’odierno strapotere navale degli Stati Uniti (11 portaerei in servizio, 3 in costruzione) sarà pressoché irraggiungibile, almeno per i prossimi trenta o quaranta anni. Perciò lo sviluppo marittimo della Cina va al momento inquadrato in una quasi esclusiva logica di sea-denial. Rientra in questo quadro il missile Dong-Feng  21D, che si ritiene sia capace di una gittata superiore a 2.000 km e dotato di una testata MARV a guida terminale, in grado di evitare i potenziali intercettori nemici, “verosimilmente dotata di carica perforante (per penetrare i ponti corazzati delle portaerei)”[10]. Se le capacità che molti analisti occidentali temono, fossero confermate dai fatti, la sua capacità antinave sarebbe devastante per qualunque portaerei nemica.

Il tunnel segreto dei missili e la Cina come terza potenza nucleare. A dire il vero è ancora un’ipotesi, eppure le numerose foto satellitari scattate negli ultimi anni hanno indotto diversi analisti occidentali a pensare che in alcune aree della Cina vi siano reticoli formati da enormi gallerie sotterranee, che costituirebbero una specie di grande “metropolitana” per testate missilistiche, realizzata addirittura a partire dal 1967 quando avrebbe avuto lo scopo di trasferire rapidamente truppe e armi da una parte all’altra delle aree coinvolte. In questi sotterranei, i missili a testata nucleare scorrerebbero attraverso una vera e propria tela di binari: l’ipotesi verosimile è che, nel suo “arsenale segreto” sotterraneo, l’Esercito Popolare di Liberazione disponga, attualmente, di un numero elevato ma imprecisato di missili, che varia dai 100 agli 818, secondo quanto stabilito dalla DIA statunitense[11]. In base ad altri studi, tuttavia, si stima che la Cina possa disporre addirittura di 3.000 testate: qualunque sia il numero esatto, è ormai dato quasi per certo il sorpasso cinese ai danni di Francia e Gran Bretagna per quanto concerne il numero di testate nucleari in dotazione, confermandosi al terzo posto mondiale dopo Russia e Stati Uniti.

 

 

 

CONCLUSIONI

È presumibile che le priorità di breve e medio termine di Pechino siano tutte finalizzate a riconquistare, attraverso una sapiente miscela di soft e hard power, la sovranità perduta nei suoi scenari marittimi: Taiwan, le Isole Penghu, le Isole Diaoyu e le Isole Spratly. Tra le opzioni soft rientrano la cooperazione economica (Consensus 1992 con Taiwan, Accordi delle 16 Parole d’Oro con il Vietnam, CAFTA con i Paesi dell’ASEAN, ASEAN+3 con Giappone e Corea del Sud), l’interscambio tecnologico e la condivisione bilaterale nell’ambito del know-how in genere; tra le opzioni hard gli interventi militari diretti (che Pechino tende a voler evitare e a considerare solo in extrema ratio) e indiretti quali, ad esempio, la deterrenza, il sea-denial o la semplice pressione, come già tentato nei confronti di Taiwan in occasione delle tesissime esercitazioni aeronavali del 1995-1996.

 

 

*Andrea Fais è giornalista e saggista, e si occupa di geopolitica, geostrategia e questioni internazionali, principalmente in riferimento alle aree della Russia, della Cina, dell’India e dell’Asia Centrale. E’ autore del libro “L’Aquila della Steppa. Volti e prospettive del Kazakistan” (Edizioni All’Insegna del Veltro, 2012); coautore, assieme a Marco Costa ed Alessandro Lattanzio, del libro “La Grande Muraglia. Pensiero Politico, Territorio e Strategia della Cina Popolare” (Anteo Edizioni, 2012); e coautore, assieme a Diego Angelo Bertozzi, del libro “Il Risveglio del Drago – Politica e Strategie della Rinascita Cinese” (Edizioni All’Insegna del Veltro, 2011).

 

 

 

Note

1. (cfr.) Xinhua, Full text of Hu Jintao’s report at 18th Party Congress, 17 novembre 2012.

2. CNN, Xi Jinping’s first public address, 15 novembre 2012.

3. Ibidem.

4. Xinhua, Full text of Hu Jintao’s report at 18th Party Congress, XI. Continuing to Promote the Noble Cause of Peace and Development of Mankind, 17 novembre 2012.

5. Z. Brzezinski, L’Ultima Chance, Salerno Editore, Roma, 2008, p. 67.

6. Xinhua, Full text of Hu Jintao’s report at 18th Party Congress, XI. Continuing to Promote the Noble Cause of Peace and Development of Mankind, 17 novembre 2012.

7. Xinhua, Full text of Hu Jintao’s report at 18th Party Congress, IX. Accelerating the Modernization of National Defense and the Armed Forces, 17 novembre 2012.

8. SIPRI database, China military expenditures, 2011.

9. N. Sgarlato, Nuovo caccia da Shenyang, “Aeronautica&Difesa” n. 313, novembre 2012, p. 30.

10. E. De Gaetano, Dong-Feng DF-21D, il primo missile balistico antinave, “Aeronautica&Difesa” n.311, settembre 2012, pp. 60-61.

11. A.E. Cesarano, Cina terza potenza nucleare?, “Aeronautica&Difesa” n. 313, novembre 2012, p. 54.


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