Un nuovo Sud Sudan
Gli avvenimenti che interessano oggi il Mali, ex Sudan francese fino al 1960, vedono come protagonisti la popolazione locale, il popolo tuareg, i settari islamisti, l’esercito maliano ed il governo di transizione. Obiettivo comune è il controllo del territorio maliano e delle sue cospicue ricchezze. Sin dall’autunno 2012, però, altri attori non appartenenti alla regione del Sahel, ma attenti agli equilibri all’interno della stessa, hanno preso parte a tale gioco di potere.
La Francia di François Hollande ha dato vita, a partire dal gennaio scorso, ad una missione militare di appoggio alle forze governative del Mali, con l’obiettivo di contrastare l’ascesa dei ribelli islamisti, nell’ambito della ormai porosa cornice del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’ONU.
Gli interessi del governo di Parigi riguardano da un lato lo sfruttamento delle risorse energetiche e minerarie del Paese, dall’altra il monitoraggio della sicurezza nella regione e la lotta al terrorismo di matrice salafita. Non a caso, la grande maggioranza degli immigrati presenti in Francia è originaria dell’Africa settentrionale ed occidentale.
Se il Mali divenisse una base logistica del settarismo salafita, il numero degli islamisti diretti nel territorio della ex madrepatria potrebbe subire un aumento considerevole (1).
L’implosione del Mali, inoltre, mette in pericolo gli interessi di Parigi in Niger, uno Stato da cui la Francia, rappresentata dalla multinazionale dell’energia Areva, dipende per le sue forniture di uranio.
L’Italia e l’ENI in Africa
Se si tiene conto degli stretti legami che intercorrono tra le due sponde del Mare Nostrum si può comprendere l’importanza che uno Stato come il Mali può rivestire per l’Italia, ma anche per gli altri Paesi europei. La trasformazione del Paese in un santuario del terrorismo islamista internazionale può minare gli interessi economici maliani ed internazionali, creando allo stesso tempo un vantaggio strategico per alcuni soggetti piuttosto che per altri.
Il Mali è ricco di risorse, come l’oro, il petrolio, il gas, l’uranio, il coltan e il ferro; ma ciò che lo rende importante per attori quali gli Stati Uniti, la Cina ed i Paesi europei è la sua posizione geografica, dati gl’interessi geoeconomici dei suddetti Paesi nei territori limitrofi. Infatti il Mali confina a nord con l’Algeria, a est con il Niger, a sud con il Burkina Faso, la Costa d’Avorio e la Guinea e a ovest con il Senegal e la Mauritania. Il Mali si trova nella regione del Sahel, la quale si estende dall’Oceano Atlantico fino al Corno d’Africa; una fascia che sotto il deserto del Sahara salda le due facce dell’Africa, quella bianca e quella nera, ed è luogo d’incontro delle risorse energetiche degli Stati del Nord con quelle minerarie dei Paesi del Sud (2).
Gli scontri in Mali riguardano l’Italia non tanto in ragione degli interessi economici nazionali in loco, piuttosto per i rapporti italiani con la Libia e l’Algeria, il nostro primo fornitore di gas naturale.
Per l’ENI, ad esempio, l’Africa rappresenta uno dei perni centrali della strategia aziendale, poiché la compagnia è presente in diversi Stati africani, quali l’Algeria, la Libia, la Nigeria, la Tunisia. Per quel che riguarda il Mali, l’azienda, affiancata dalla Sipex, società controllata dall’algerina Sonatrach, ha rinunciato alle concessioni petrolifere nel bacino Taoudenni, nel nord del Paese, in ragione delle limitate potenzialità dell’area (3).
In relazione agli interessi italiani negli Stati della regione, il 4 febbraio l’ENI e la compagnia di Stato algerina Sonatrach hanno annunciato l’inizio della produzione di gas dal campo algerino Menzel Ledjmet Est, MLE, situato a circa 1000 chilometri a sud di Algeri. L’azienda italiana è presente nel Paese sin dal 1981: partecipa in 24 permessi di ricerca e sviluppo già in produzione e in 8 permessi in fase di sviluppo. Nel 2012, ENI è stato il primo produttore di gas in Algeria e con l’avvio della produzione nel campo di MLE e di altri progetti intende consolidare ulteriormente la sua presenza nel Paese (4).
Considerando le vicende che hanno interessato l’Africa ed il Vicino Oriente negli ultimi due anni, è possibile immaginare che nel 2011 l’obiettivo italiano fosse quello di non perdere il gas ed il petrolio libico a vantaggio della Francia, mentre nel 2012 abbiamo dovuto rinunciare al greggio iraniano e siriano a causa delle sanzioni adottate in ambito europeo. Oggi, invece, è la presenza francese in Mali a costituire una sfida per i nostri interessi strategici ed economici nei Paesi che confinano con Bamako.
Dal gas e dal petrolio proveniente dall’Algeria dipende gran parte del nostro fabbisogno energetico, per cui l’attacco terroristico del gennaio scorso nel sito di estrazione del gas di In Amenas ha fatto crollare del 17% il gas algerino in arrivo a Mazara del Vallo, nonostante l’impianto fosse ininfluente per le forniture italiane.
Nel caso di un concreto coinvolgimento italiano nella guerra maliana, l’obiettivo più facile da colpire sarebbe il gasdotto gestito dall’ENI e dalla Sonatrach, Transmed. Si tratta di un’immensa tubatura che parte dal campo di Hassi R’Mel, uno dei più importanti giacimenti di gas al mondo situato a 550 chilometri a sud di Algeri. La condotta si dirige ad est verso il deserto tunisino per poi tuffarsi nel Mediterraneo e giungere in Sicilia (5).
Le altre attività di esplorazione e produzione dell’ENI in Algeria si concentrano nell’area di Bir Rebaa, nel deserto sahariano sud-orientale, e nel sito di Kerzaz, nel Bacino del Timimoun nell’Algeria sud occidentale.
Corsi e ricorsi storici
Attraverso il Sahel e l’Africa del nord non transitano solo il gas ed il petrolio, ma anche la droga proveniente dall’America Latina, diretta poi in Europa. Il traffico delle sostanze stupefacenti costituisce oggi una cospicua fonte di finanziamento per i gruppi terroristici della regione. La minaccia determinata dalla possibile destabilizzazione dell’area presenta, quindi, diverse sfaccettature e vede in campo attori disparati.
Per quel che concerne l’Italia, la nomina di Romano Prodi come inviato speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il Sahel denota la centralità del ruolo che il Paese è chiamato a ricoprire. La frontiera maliana può essere considerata la nuova frontiera italiana, se si considera che sulla sponda Sud abbiamo un interscambio di 57 miliardi di euro l’anno e l’Italia è sempre tra i primi tre interlocutori economici dei Paesi che si affacciano sul Maghreb.
Qual è la posizione dei rappresentanti delle istituzioni italiane? L’intervento dell’Italia deve essere inserito all’interno della missione internazionale “multidisciplinare” predisposta dalla risoluzione 2085 del Consiglio di sicurezza dell’ONU e della missione europea EUTM (European Union Training Mission), la quale porterà in Mali fino a 450 uomini, di cui 200 addestratori (6).
La questione maliana ha un’importanza vitale per il nostro Paese, nonostante l’intervento si riveli come l’ennesima missione neocolonialista dell’Occidente. Gli interessi strategici italiani guardano oggi anche verso Bamako, in un Mali che ha subito la disgregazione della Libia e che rischia di trasformarsi, insieme alla Siria, in una nuova Libia.
Potremmo dunque affermare che la scelta geostrategica della “comunità internazionale” cade oggi sul Mali? Quale momento migliore se non l’inizio di una nuova guerra per applicare ancora una volta nel continente africano quello che è l’ormai noto principio del divide et impera? Disgregare uno Stato in tante sfere di influenza, economiche e sociali, quanti sono gli attori coinvolti nel gioco di potere.
In un tale scenario, quale ruolo può avere oggi l’Italia? In un primo momento Roma ha promesso alla Francia il proprio appoggio logistico nell’intervento in Mali attraverso l’invio di due aerei per il trasporto di truppe e attrezzature, un’autocisterna per i rifornimenti in volo ed alcuni addestratori, nella cornice della missione europea per l’addestramento delle truppe del Mali.
In realtà, a causa delle eminenti elezioni politiche, l’Italia rimane oggi fuori dal gioco maliano e solamente nei prossimi mesi sarà possibile analizzare gli effetti del mancato intervento, in quella che la Francia presenta come una “guerra lampo”. Historia se repetit, scriveva Giambattista Vico. La storia è sempre uguale e sempre nuova, e a partire dal primo conflitto mondialeci insegna che la guerra è un’incognita. Nel mondo contemporaneo, troppi sono i fattori e gli attori che entrano in gioco e che fanno sì che una regione semidesertica si trasformi nell’oggetto del desiderio di buona parte della “comunità internazionale”, almeno di quella che conta.
* Marzia Nobile, Laurea Magistrale in “Relazioni internazionali” presso l’Università “La Sapienza” di Roma
(1) Di Liddo M., La crisi maliana ed i rischi di destabilizzazione del Sahel, in Osservatorio di politica internazionale, Ce.S.I., 2012, n.65.
(2) Negri A., La guerra in Mali riguarda anche l’Italia (e i rapporti di Roma con la Libia e l’Algeria), 2013, www.ilsole24ore.com.
(3) Eni pulls out of Mali on poor prospecting outlook, 15.01.2013, www.reuters.com.
(4) Eni annuncia l’inizio della produzione di gas dal campo di MLE in Algeria, 4.02.2013, www.eni.com.
(5) Micalessin G., La guerra nel Mali può chiuderci il gas, 20.01.2013, www.ilgiornale.it; Algeria. Exploration & Production, www.eni.com.
(6) La crisi nel Mali, Camera dei Deputati, Dossier di documentazione n.399, 22.01.2013, www.documenti.camera.it.
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