Il nostro redattore Alessandro Lattanzio è stato intervistato il 24 gennaio da “Radio Italia” dell’IRIB (Iranian Republic International Broadcasting, emittente ufficiale iraniana) a proposito della situazione nello Yemen.
L’audio può essere ascoltato cliccando qui.
Riportiamo di seguito la trascrizione dell’intervista, tratta dal sito di “Radio Italia”.
Qual’è il vero obiettivo americano nello Yemen?
Il vero obiettivo si sta svelando in questi momenti, il governo statunitense ha di recente chiesto allo Yemen, al governo di Sana’a, la concessione di una base nell’isola di Socotra che si trova al largo di Somalia e l’Oceano Indiano. In pratica tra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano, quindi al centro delle rotte commerciali tra Asia, India, Cina e Europa, Mediterraneo. Questa base era stata utilizzata dai sovietici negli anni settanta-ottanta, e gli americani la vogliono recuperare ed installare una loro base aeronavale, aerei da ricognizione, magari anche col pretesto di combattere la pirateria somala.
Il presidente yemenita ha dichiarato recentemente che non ha bisogno delle forze straniere per portare la pace e la stabilità nel paese, questo nonostante l’intervento militare dell’Arabia Saudita e adesso anche quello statunitense. Cosa si fà? Questi interventi finiranno?
Dipende. Il governo yemenita intanto ha interesse ad avere la tecnologia e l’esperienza degli statunitensi, quindi addestratori, consiglieri militari, equipaggiamenti, ovviamente non vuole la presenza dei militari anche per le pressioni che loro staranno subendo in questo momento, anche da parte delle altre capitali arabe della regione, la stessa Arabia Saudita. Tra l’altro avevano già utilizzato dei reparti speciali giordani che, a quanto pare, hanno fallito. Quindi il problema in questo momento è quello di evitare una eccessiva presenza degli statunitensi, visto anche i risultati, tra l’altro, in Iraq, Afghanistan; quindi ci sarà anche questo tipo di preoccupazione da parte dell’Arabia Saudita, anche perché tra l’altro non è da escludere l’intervento statunitense che sia collegata da nascita dell’Unione monetaria del Golfo Persico, che appunto qualche settimana fa aveva avviato il processo di costituzione di una moneta unica dell’area, il ‘Gulfo’, che dovrebbe gestire le transizioni petrofilere nella regione, quindi un intervento Americano può anche avere un obiettivo di destabilizzare e creare problemi anche su quest’aspetto della regione, dell’aspetto economico.
Forse anche per l’aspetto pubblicitario della questione andrebbe evitato una troppa presenza americana, non crede?
La presenza americana sì, ma ormai penso che a loro a Washington non interessi più di tanto la pubblicità, non hanno più tanto tempo da perdere su questi aspetti, visto che ormai sono in ritirata da vari settori e regioni strategiche molto importanti, ad esempio l’area russa, della comunità di Stati indipendenti in pratica sono in ritirata; hanno solo potuto raccogliere ultimamente solo sconfitte, quindi stanno cercando di riorientarsi, e l’isola di Socotra, questa presenza nel Golfo di Aden, può essere collegato non solo alla destabilizzazione eventuale dell’area del Golfo Persico, del Medioriente, ma anche un incremento della presenza statunitense in Africa, a controllare non solo le rotte commerciali, ma anche le aree economiche, energetiche, le risorse energetiche e minerarie dell’Africa, nel Sudan che è lì vicino, in fondo. L’Etiopia è un alleato nella guerra contro i somali che cercano di costruire un’entità autonoma, indipendente in Somalia, ecc. C’è anche l’aspetto del Congo da collegare, dove è ricominciata la guerra civile in pratica, con centinaia di migliaia di profughi civili, e ovviamente saranno interessi anche lì, di carattere economico-strategico.
L’Arabia Saudita dal canto suo aiuta e ha aiutato il governo di Sana’a per sopprimere gli sciiti zaiditi. Qual’è l’obiettivo di Riyadh? Un obiettivo di tipo tribale, religioso oppure c’è qualcos’altro?
Probabilmente, tra gli obiettivi molto più ampi, vi è quello di avere un’egemonia anche di carattere politico e militare su questa regione, non solo economico, quindi anche quella di imporre una sua forma di controllo sugli stati adiacenti e confinanti, quindi estendere la capacità di controllare e gestire la realtà esterne da Riadh, anche perché ci sono, in queste fasi, in questi mesi, ci sono mutamenti ovviamente, a livello strategico, regionale, che devono essere gestiti da qualcuno, e quindi Riadh si inserisce di questo processo, cercando anche di contrastare l’ascesa dell’Iran stesso, perché grazie ai successi di Hezbollah in Libano, e il processo di consolidamento dello stato in Iraq, ovviamente, viene percepito l’Iran come un concorrente vincente in questo momento, visto appunto i successi registrati che, comunque, la resistenza libanese è riuscita a battere l’aggressione israeliana, e Hezbollah viene sempre vista come un alleato importante dell’Iran; la cosa ovviamente suscita preoccupazione in Arabia Saudita, possiamo vedere in Arabia Saudita il tentativo di controbilanciare questa ascesa regionale dell’Iran, intervenendo anche nello Yemen, sostenendo, tra l’altro, la corrente sua sunnita wahabita, che stava penetrando nello Yemen e che aveva suscitato preoccupazione anche allo stesso attuale presidente Saleh. Infatti Saleh aveva finanziato il movimento al-Houthi per contrastare l’espansione dell’influenza wahabita nello Yemen, quindi c’è anche quest’aspetto, ma è comunque secondario rispetto alla concorrenza geopolitica, geoeconomica della regione.
Gli al-Houthi minacciano in certo senso questo controllo, questa egemonia saudita nell’area?
Il tentativo di fare lo stesso, era appunto, di contrastare l’espansione delle scuole di carattere wahabita nello Yemen del nord soprattutto e quindi aveva finanziato, aveva chiesto l’aiuto del movimento di al-Houthi per contrastare questa espansione. Quindi preoccupa, e penso che continui a preoccupare, Sana, ugualmente questa espansione, e in questo momento, in seguito anche alla rottura degli equilibri interni allo Yemen, viene percepito, gli al-Houthi, come un pericolo. Ovviamente non possiamo sapere completamente quali siano i contrasti interni a Sana anche perché lo Yemen attraverso i vari problemi interni, contrasti soprattutto nello Yemen ci sono dei movimenti separatisti dallo ex Yemen Democratico Popolare, che è un movimento essenzialmente socialista, e poi ci sono contrasti vari tra tribù all’interno dello Yemen del nord, varie tendenze a separarsi dalla gestione centrale di Sana’a.
Dopo mesi di duri scontri tra le milizie zaidite ed il governo yemenita che viene aiutato sia dall’Arabia Saudita che dagli USA, i combattenti sciiti non hanno subito un grande fallimento.
Infatti il fallimento è del governo centrale che sta chiedendo aiuto dappertutto, senza riuscire a risolvere la situazione, anche perché probabilmente all’interno dello stesso esercito, ci sono molti dubbi su questo tipo di prova di forza, su questa guerra l’attuazione dell’operazione ‘Terra Bruciata’, rivolta contro movimenti al-Houthi nella regione di Saada, soprattutto, anche perché parecchi sono i zaiditi nell’esercito, non è una corrente minoritaria, ma ha una sua presenza importante, tra l’altro.
A questo punto si parla tanto di accordi di pace. Secondo Lei si farà?
Se l’interesse delle capitali regionali direttamente coinvolte, è quello di evitare di un’espansione della presenza statunitense, e un processo di destabilizzazione regionale, comunque collegato, come ho detto prima, a questa nascita dell’unione monetaria locale, regionale e penso che spingeranno per una soluzione di tipo non militare, ma politica e diplomatica, altrimenti sarà l’agenda statunitense di Washington ad andare avanti, perché avranno la possibilità d’inserirsi ulteriormente nella regione.
E questo peggiorerebbe la situazione?
È probabile, perché gli Stati Uniti sono in affanno, e quindi non è detto che siano cauti nelle loro politiche; non lo sono stati negli ultimi 10 anni, 15 anni, e nulla fa presumere che siano cauti nei prossimi 10, 15 anni.
A cura di Amani
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