“Serpenti, sete, calore e sabbia […] la Libia da sola può presentare una moltitudine di sventure che agli uomini converrebbe fuggire.”
Lucano, Farsalia
L’attuale aggressione militare alla Libia è stata motivata dalla risoluzione ONU 1973 con la necessità di proteggere civili. Le dichiarazioni del Presidente Obama, del Primo Ministro britannico Cameron, del Presidente francese Sarkozy e di altri capi di Stato hanno posto l’enfasi sulla natura umanitaria dell’intervento, che si dice avrebbe lo scopo di prevenire un massacro delle forze pro-democrazia e degli attivisti dei diritti umani da parte del regime di Gheddafi. Al tempo stesso, tuttavia, molti commentatori hanno espresso ansietà a causa del mistero che circonda il governo di transizione anti-Gheddafi, emerso all’inizio di marzo nella città di Bengasi, che si trova nella regione della Cirenaica, nell’est della Libia. Questo governo è già stato riconosciuto dalla Francia e dal Portogallo come il solo legittimo rappresentante del popolo libico. Il consiglio dei ribelli sembra composto di circa 31 delegati, molti dei quali sono avvolti nell’oscurità più totale. Inoltre, i nomi di oltre una dozzina di membri del consiglio dei ribelli vengono tenuti segreti, si dice che sia per proteggerli dalle rappresaglie di Gheddafi. Ma possono esserci altre ragioni per l’anonimato di queste figure. Nonostante molte incertezze, le Nazioni Unite e i vari paesi principali della NATO, inclusi gli Stati Uniti, sono accorsi per assistere le forze armate di questo regime ribelle, con attacchi aerei, che hanno portato alla perdita di una o due aerei della coalizione e a una prospettiva di altre perdite ancora peggiori in futuro, specie se dovesse esserci un’invasione di terra. È giunta l’ora che il pubblico americano ed europea impari qualcosa di più riguardo a questo regime di ribelli che si suppone debba rappresentare un’alternativa democratica e umanitaria a Gheddafi.
I ribelli sono chiaramente non civili, ma una forza armata. E che tipo di forza armata? Poiché molti leader ribelli sono difficili da analizzare a distanza, e poiché non si può stilare un profilo sociologico dei ribelli con una guerra in corso, forse possono venirci in aiuto i metodi tipici della storia sociale. C’è per noi un modo di ottenere una comprensione più profonda sul clima ideologico prevalente in tali città del Nordest della Libia, in città come Benghasi, Tobruk e Darnah, i principali centri urbani dei ribelli?
Si dà il caso di sì, sotto forma di uno studio condotto a West Point (sede dell’accademia militare statunitense), del dicembre 2007 che prende in esame il retroterra dei guerriglieri stranieri – jihadisti o mujaheddin, inclusi i bombaroli kamikaze – che attraversano la frontiera siriana per arrivare in Iraq nell’arco di tempo fra il 2006 e il 2007, sotto gli auspici dell’organizzazione terrorista internazionale Al Qaida. Questo studio si basa su una massa di circa 600 documenti di Al Qaida che sono stati sequestrati dalle forze statunitensi nell’autunno del 2007 e analizzati a West Point usando un metodo che discuteremo dopo aver presentato le principali scoperte. Lo studio risultante1 ci permette di fare importanti scoperte riguardo alla mentalità e alle strutture ideologiche vigenti nella popolazione del nordest della Libia e che stanno fornendo la base della ribellione, permettendoci di fare conclusioni circa la natura politica della rivolta anti-Gheddafi in queste aree.
Darnah, nordest della Libia: capitale mondiale dei jihadisti
La scoperta più sbalorditiva che emerge dallo studio di West Point è che il corridoio che va da Bengasi a Tobruk, e che passa attraverso la città di Derna è una delle principali aree ad alta densità di terroristi jihadisti che si trovano nel mondo, e in certa misura possono vedersi come la principale fonte di bombaroli suicidi nel pianeta. Derna, con un combattente terrorista inviato in Iraq per uccidere americani su ogni 1000-1500 abitanti, emerge come un paradiso dei kamikaze, superando facilmente il più vicino competitore: Ryad, in Arabia Saudita.
Secondo gli autori di West Point, Joseph Felter e Brian Fishman, l’Arabia Saudita è al primo posto per numero assoluto di jihadisti inviati a combattere gli Stati Uniti e altri membri della coalizione in Iraq durante il primo arco temporale in questione. Al secondo posto si trova la Libia, paese che conta meno di un quarto della popolazione rispetto all’Arabia Saudita. L’Arabia Saudita ha inviato il 41% dei combattenti. Secondo Felter e Fishman, “La Libia era il secondo paese d’origine dei combattenti, con il 18,8% dei combattenti che aveva dichiarato di provenire dalla Libia”. Altri paesi molto più grandi si trovano molto più indietro: “Siria, Yemen e Algeria erano i paesi che seguirono, contando rispettivamente l’8,2% (49), l’8,1% (48) e il 7,2% (43). I marocchini costituivano il 6,1% (36) di quelli e i Giordani l’1,9% (11).”2
Ciò significa che quasi un quinto dei combattenti stranieri entrati in Iraq attraverso il confine siriano provenivano dalla Libia, un paese con appena 6 milioni di abitanti. Era interessata a combattere in Iraq una proporzione di libici più alta rispetto a qualunque altro paese fornitore di mujaheddin.
Felter e Fishman hanno rilevato: “Quasi il 19 percento dei combattenti nei Sinjar Records proveniva dalla sola Libia. Inoltre, la Libia ha contribuito con molti più combattenti pro capite rispetto a qualunque altra nazione nei Sinjar Records, inclusa l’Arabia Saudita.” (Si veda il grafico del rapporto di West Point, p. 9)3
Ma poiché gli schedari del personale di Al Qaida contiene l’indirizzo di residenza e la città di provenienza dei combattenti stranieri in questione, possiamo stabilire che il desiderio di viaggiare in Iraq e di uccidere gli americani non era distribuito in modo omogeneo in tutta la Libia, ma era altamente concentrato precisamente in quelle aree intorno a Bengasi che sono oggi gli epicentri della rivolta contro il colonnello Gheddafi, che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e altre nazioni stanno oggi appoggiando con tanto entusiasmo. Come commenta Daya Gamage di “Asia Tribune” in un recente articolo sullo studio di West Point, “… cosa allarmante per i politici occidentali, molti combattenti provenivano dalla Libia orientale, il centro delle attuali rivolte contro Muammar Gheddafi. La città orientale di Derna ha inviato più combattenti in Iraq rispetto a qualunque altra città o cittadina, secondo il rapporto di West Point. Ha fatto notare che 52 militanti erano arrivati in Iraq da Derna, città di soli 80.000 abitanti (la seconda maggiore fonte di combattenti era Riad, in Arabia Saudita, che ha una popolazione di oltre 4 milioni). Bengasi, capitale del governo provvisorio libico dichiarato dai ribelli anti-Gheddafi, ha inviato 21 combattenti, ancora una volta un numero sproporzionato nel complesso.”4 La sconosciuta Derna ha superato la metropoli Riyadh con 52 combattenti rispetto a 51. Tripoli, la roccaforte di Gheddafi, per contrasto, non esiste neanche nelle statistiche (v. grafico nel rapporto di West Point report, p. 12).
Che cosa spiega questa straordinaria concentrazione di combattenti antiamericani a Bengasi e a Derna? La risposta sembra legata alle scuole estremiste di teologia e politica fiorite in queste aree. Come fa notare il rapporto di West Point: “Sia Derna sia Bengasi per lungo tempo sono state associate alla militanza islamista in Libia”.
Queste aree si trovano in un conflitto teologico e tribale con il governo centrale del Colonnello Gheddafi, oltre a essere opposte a lui politicamente. Se tale conflitto teologico valga le morti di altri soldati americani ed europei è una questione che necessita di una risposta urgente.
Felter e Fishman osservano che “La stragrande maggioranza dei combattenti libici che includevano la loro città di provenienza nei Sinjar Records risiedeva nel nordest di quel paese, in particolare nelle città costiere di Derna, il 60,2% (52) e Bengasi 23,9% (21). Sia Derna sia Bengasi sono a lungo state associate alla militanza islamista in Libia, in particolare per una rivolta da parte di organizzazioni islamiste a metà degli anni 90. Il governo libico ha fatto ricadere la colpa delle rivolte sugli «infiltrati dal Sudan e dall’Egitto» e un gruppo – il Lybian Fighting Group (jama-ah al-libiyah al-muqatilah) – ha affermato di avere veterani afgani fra le sue fila. Le rivolte libiche sono divenute straordinariamente violente.”5
Nordest della Libia: l’area a più alta densità di kamikaze
Un altro notevole tratto caratteristico del contributo libico alla guerra contro le forze statunitensi all’interno dell’Iraq è la marcata propensità dei libici del nordest a scegliere il ruolo di kamikaze come il metodo di lotta preferito. Come si afferma nello studio di West Point, “Dei 112 libici documentati, il 54,4% (61) ha dichiara to il proprio ‘lavoro.’ L’85.2% (51) di questi ha dichiarato che il proprio lavoro in Iraq era quello di «bombarolo suicida».”6 Ciò significa che i libici del Nordest erano molto più propensi al ruolo di kamikaze rispetto a qualunque altro paese: “I combattenti libici erano avevano una più alta probabilità rispetto a qualunque altra nazionalità di entrare in lista come bombaroli suicidi (l’85% per i libici, il 56% per tutti gli altri).”7
I combattenti anti-Gheddafi del Libyan Islamic Fighting Group (LIFG) si uniscono ad al Qaida, 2007
La base istituzionale specifica per il reclutamento di guerriglieri nel Nordest della Libia è associato con un’organizzazione che prima si chiamava Libyan Islamic Fighting Group (LIFG). Nel corso del 2007, il LIFG si è dichiarato una filiale ufficiale di al Qaida, assumendo poi il nome di Al Qaida in the Islamic Maghreb (AQIM). A seguito di tale processo di fusione, in Iraq è arrivato dalla Libia un numero crescente di guerriglieri. Secondo Felter e Fishman, “l’apparente crescita di reclute libiche che si spostano in Iraq potrebbe essere legato ai sempre più stretti rapporti di cooperazione fra il Libyan Islamic Fighting Group (LIFG) e al Qaida, culminati nell’entrata ufficiale del LIFG in al-Qaida, il 3 novembre 2007.”8 Tale fusione è confermata da altre fonti: secondo una dichiarazione del 2008 attribuita ad Ayman al-Zawahiri, il Libyan Islamic Fighting Group si era unito ad al Qaida.9
Per l’“Emiro” terrorista, Bengasi e Derna svolgono un ruolo chiave per al Qaida
Lo studio di West Point chiarisce che i principali bastioni del LIFG e del successivo gruppo AQIM erano le città gemelle di Bengasi e Derna. Questo è documentato in una dichiarazione di Abu Layth al-Libi, sedicente “Emiro” del LIFG, il quale è poi divenuto un funzionario di alto livello di al Qaida. Al tempo della fusione del 2007, “Abu Layth al-Libi, l’emiro del LIFG, ha posto l’enfasi sull’importanza di Bengasi e Derna per i jihadisti libici nel suo annuncio secondo cui il LIFG si era unito ad al Qaida, dicendo: ‘È con a grazia di Dio che stavamo issando la bandiera della jihad contro questo regime di apostati, sotto la leadership del Gruppo dei Combattenti Islamici Libici (LIFG), che ha sacrificato l’elite dei suoi migliori figli e comandanti nella lotta contro questo regime, il cui sangue è stato versato sui monti di Derna, nelle strade di Bengasi, nei sobborghi di Tripoli, nel deserto di Sabha e sulle sabbie dei litorali.’”10
Questa fusione del 2007 significava che le reclute libiche per al Qaida diventavano una parte sempre più importante dell’attività di al Qaida nel suo complesso, allontanando in certa misura il centro di gravità dai sauditi e dagli egiziani, i quali erano già stati in numero cospicuo. Come commentano Felter e Fishman, “le fazioni libiche (in primo luogo il Lybian Islamic Fighting Group) sono sempre più importanti per al Qaida. I Sinjar Records offrono alcune prove secondo cui i libici hanno iniziato a crescere di numero in Iraq, dal maggio 2007. La maggior parte delle reclute libiche proveniva da città del nordest della Libia, un’area a lungo conosciuta come legata alla militanza jihadista.”11
Lo studio di West Point del dicembre 2007 conclude formulando alcune opzioni politiche per il governo degli Stati Uniti. Un approccio, come suggeriscono gli autori, sarebbe quello di iniziare una cooperazione fra Stati Uniti e governi arabi esistenti contro i terroristi. Come scrivono Felter e Fishman, “i governi siriano e libico condividono le stesse preoccupazioni degli Stati Uniti riguardo alla violenta ideologia salafita-jihadista e riguardo alla violenza perpetrata dai suoi aderenti. Questi governi, come altri in Medioriente, temono la violenza dentro i loro confini e preferirebbero che quegli elementi integralisti andassero in Iraq piuttosto che causare destabilizzazioni nel Paese. Gli sforzi degli Stati Uniti e della Coalizione per bloccare il flusso di combattenti in Iraq saranno più efficaci se si rivolgeranno all’intera catena logistica che supporta gli spostamenti di questi individui – a partire dai loro Paesi d’origine – piuttosto che rivolgersi ai soli punti d’accesos siriani. Gli Stati Uniti potrebbe riuscire a intensificare la cooperazione dei governi per bloccare il flusso di combattenti in Iraq rivolgendo le loro attenzioni alla violenza jihadista domestica.”12
Considerato il corso degli eventi seguenti, possiamo concludere su solide basi che quest’opzione non è quella che è stata scelta, né negli anni conclusivi dell’amministrazione Bush, né nella prima metà dell’amministrazione Obama. Lo studio di West Point offre anche un’altra prospettiva più sinistra. Felter e Fishman suggeriscono che sarebbe possibile usare gli ex componenti del LIFG, ora di Al Qaida, contro il governo del Colonnello Gheddafi in Libia, in sostanza creando un’alleanza fra gli Stati Uniti e un segmento di tale organizzazione terroristica. Il rapporto di West Point nota: “L’unificazione del Libyan Islamic Fighting Group con al-Qa’ida e la sua apparente decisione di rendere prioritaria la fornitura di supporto logistico allo Stati islamico dell’Iraq è probabilmente controverso all’interno dell’organizzazione. È probabile che alcune fazioni del LIFG vogliano ancora rendere prioritaria la lotta contro il regime libico, piuttosto che combattere in Iraq. È possibile esacerbare le divisioni fra i capi del LIFG e la tradizionale base di potere egiziana e saudita di al Qaida.”13 Questo suggerisce che le politiche statunitensi che vediamo oggi, quelle consistenti nell’allearsi a fanatici oscurantisti e reazionari di al Qaida contro il modernizzatore nasserista Gheddafi.
Armare i ribelli: l’esperienza dell’Afghanistan
In retrospettiva, dalla tragica esperienza degli sforzi statunitensi d’incitare al popolazione dell’Afghanistan contro l’occupazione sovietica negli anni successivi al 1979, dovrebbe essere chiaro che le politiche della Casa Bianca di Reagan per armare i mujaheddin afgani con missili Stinger e altre armi moderni si sono rivelate assai distruttive per gli Stati Uniti. Come aveva ormai quasi ammesso nel suo memoriale l’attuale Segretario alla Difesa Robert Gates, al Qaida era stata creata in quegli anni dagli Stati Uniti come una forma di Legione Araba contro la presenza sovietica, con risultati a lungo termine che hanno suscitato molte lamentele.
Oggi è chiaro che gli Stati Uniti stanno fornendo armi moderne ai ribelli libici tramite l’Arabia Saudita e attraverso il confine egiziano, con l’assistenza attiva dell’esercito egiziano e della nuova giunta militare egiziano pro-Stati Uniti.14 Questa è una violazione diretta della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che richiede un completo embargo sulla Libia relativo agli armamenti. L’assunto è che queste armi saranno usate contro Gheddafi nelle prossime settimane. Tuttavia, considerata la natura violentemente antiamericana della popolazione del Nordest della Libia che viene attualmente armata, non vi è alcuna certezza che queste armi non saranno presto rivolte contro coloro che le hanno prodotte e fornite.
Un problema di portata ancora più ampia è rappresentato dalla condotta del futuro governo libico dominato dall’attuale consiglio dei ribelli con una larga maggioranza di islamisti del Nordest, o di un simile governo di un futuro Staterello indipendente della Cirenaica. Nella misura in cui tali regimi avranno accesso ai proventi del petrolio, vi saranno ovvi problemi di sicurezza internazionale. Gamage si chiede: “Se la ribellione riesce nell’intento di rovesciare il regime di Gheddafi, avrà accesso diretto alle decine di miliardi di dollari che si ritiene Gheddafi abbia messo via in conti esteri nei suoi quarant’anni di governo.”15 Considerata la mentalità della Libia del Nordest, possiamo immaginare per cosa potrebbero essere usati tali tesori miliardari.
Che cos’è al Qaida e perché la CIA l’ha usata
Al Qaida non è un’organizzazione accentrata, ma piuttosto una congerie di fanatici, gonzi, psicotici, disadattati, doppi agenti, provocatori, mercenari, delinquenti, e altri elementi. Come è stato appena notato, al Qaida è stata fondata dagli Stati Uniti e dai britannici durante la lotta contro i sovietici in Afghanistan. Molti suoi capi, come colui che ha la reputazione di secondo comandante in capo di al Qaida, Ayman Zawahiri, e l’attuale stella nascente Anwar Awlaki (detto Awlaki the CIA lackey, Awlaki il lacché della CIA), sono evidentemente doppi agenti del MI-6 e/o della CIA. La struttura ideologica fondamentale di al Qaida è incentrata sull’idea per cui tutti i governi esistenti nei mondi arabo e musulmano sono illegittimi e dovrebbero essere distrutti, poiché non rappresentano il califfato che, secondo al Qaida, sarebbe prescritto nel Corano.
Ciò significa che l’ideologia di al Qaida offre una facile scorciatoia, per le agenzie d’intelligence segrete angloamericane, al fine di attaccare e destabilizzare i governi arabi e musulmani esistenti nell’ambito di un incessante necessità di politiche imperialiste e colonialiste che contemplano attacchi e saccheggi a nazioni in via di sviluppo. Questo è esattamente ciò che sta accadendo in Libia oggi.
Al Qaida è emersa dall’ambiente culturale e politico della Fratellanza Musulmana o Ikhwan, essa stessa creazione dell’intelligence britannica in Egitto verso la fine del 1920. Gli Stati Uniti e i britannici usavano la Fratellanza Musulmana per opporsi alle riuscite politiche anti-imperialiste del Presidente egiziano Nasser, il quale era riuscito a mettere a segno grandissime vittorie per il suo Paese nazionalizzando il Canale di Suez e costruendo la diga di Assuan, senza la quale l’Egitto moderno sarebbe semplicemente impensabile. La Fratellanza Musulmana ha fornito una quinta colonna attiva e capace agli agenti stranieri contrari a Nasser, nello stesso modo in cui il sito ufficiale di al Qaida nel Maghreb islamico sta strombazzando il suo appoggio alla ribellione contro il colonnello Gheddafi. Ho discusso la natura di al Qaida in certa misura nel mio recente libro intitolato La fabbrica del terrore: Made in Usa (Arianna, 2007) e non posso ripetere qui tale analisi. Basterà dire che non abbiamo bisogno di credere nella mitologia fantastica che il governo degli Stati Uniti ha sparso per il mondo sotto il nome di al Qaida al fine di riconoscere il fatto elementare che i militanti e gli zimbelli che si uniscono spontaneamente ad al Qaida sono spesso motivati da un profondo odio nei confronti degli Stati Uniti e da un desiderio bruciante di uccidere tanto gli americani quanto gli europei. Le politiche dell’amministrazione Bush si sono servite della presunta presenza di al Qaida come pretesto per attacchi militari diretti in Afghanistan e in Iraq. L’amministrazione Obama sta ora facendo qualcosa di differente, intervenendo al fianco di ribelli fra i quali al Qaida e i suoi ideologhi sono ampiamente rappresentati e stanno attaccando il governo autoritario secolare del colonnello Gheddafi. Queste politiche sono entrambe disgraziate e devono essere abbandonare.
I capi dei ribelli, Jalil e Younis, e la maggior parte del consiglio dei ribelli sono membri della tribù Harabi, collegata ad al Qaida
Il risultato del presente studio è che il braccio libico di al Qaida rappresenta un continuum con il LIFG (Libyan Islamic Fighting Group), che ha il suo centro a Derna e Bengasi. La base etnica del LIFG è apparentemente da trovare nella tribù Harabi, anti-Gheddafi. Tale tribù comprende la stragrande maggioranza del consiglio dei ribelli, inclusi i due capi ribelli dominanti, Abdul Fatah Younis e Mustafa Abdul Jalil. Tutto ciò dunque suggerisce che il Libyan Islamic Fighting Group, l’élite della tribù Harabi e il consiglio dei ribelli, supportato da Obama, si accavallano. Come molti anni or sono mi ha insegnato il fu Ministro degli Esteri della Guyana Fred Willis, un vero combattente contro l’imperialismo e il neocolonialismo, le formazioni politiche nei paesi in via di sviluppo (e non solo lì) sono spesso una maschera delle rivalità etniche e religiose; così è in Libia. La ribellione contro Gheddafi è un intruglio tossico composto di odio nei confronti di Gheddafi da parte di fanatici, Islamismo, tribalismo e localismo. Da questo punto di vista, Obama ha follemente scelto di stare dalla parte della guerra tribale. Quando Hillary Clinton è andata a Parigi per farsi presentare i ribelli libici dal Presidente Sarkozy, ha incontrato il capo dell’opposizione libica, Mahmoud Jibril, formatosi negli Stati Uniti e già noto ai lettori di Wikileaks come un beneamato degli Stati Uniti.16
Se Jibril si potrebbe considerare presentabile a Parigi, i veri leader dell’insurrezione libica sembrerebbero essere Jalil e Younis, entrambi ex ministri con Gheddafi. Jalil sembra il primus inter pares, almeno per ora: “Mustafa Abdul Jalil or Abdul-Jalil (in arabo: مصطفى عبد الجليل, anche trascritto come Abdul-Jelil, Abd-al-Jalil, Abdel-Jalil or Abdeljalil; e spesso ma erroneamente come Abud Al Jeleil) (nato nel 1952) è un politico libico. È stato Ministro della Giustizia (in via non ufficiale, Segretario del Comitato Generale del Popolo) sotto il colonnello Muammar al-Gheddafi […] Abdul Jalil è stato identificato come presidente del Consiglio Nazionale di Transizione, con sede a Bengasi […] sebbene questa posizione sia contestata da altri nella rivolta, per via delle sue passate connessioni con il regime di Gheddafi.”17
Quanto a Younis, egli è stato strettamente associato a Gheddafi sin dalla presa del potere, nel 1968-9: “Abdul Fatah Younis (Arabic: عبد الفتاح يونس) è un funzionare militare di lunga esperienza in Libia. Ha rivestito la carica di Generale e di Ministro degli Interni, ma si è dimesso il 22 febbraio 2011…”18
Quel che più dovrebbe preoccuparci è che sia Jalil sia Younis provengono dalla tribù Haribi, la tribù dominante nel Nordest della Libia, e quella che ha collegamenti con al Qaida. Secondo Stratfor, “la tribù Harabi è un insieme di tribù che storicamente rivestono un cospicuo potere nell’Est della Libia, e che ha visto la propria influenza scemare sotto il colonnello Gheddafi. Il capo libico ha confiscato intere strisce di terra dei membri della tribù e le ha redistribuite a tribù più deboli e più leali. […] Molti leader oggi emergenti nell’Est della Libia provengono dalla tribù Harabi, incluso il capo del governo provvisorio stabilito a Bengasi, Abdel Mustafa Jalil, e Abdel Fatah Younis, i quali hanno assunto un ruolo di comando chiave nei confronti delle file dell’esercito passate all’opposizione, già all’inizio delle rivolte.”19
Il Consiglio dei ribelli: metà dei nomi sono mantenuti segreti: perché?
Quest’immagine di una base settaria, tribale e regionale non migliora quando si guarda al consiglio dei ribelli come a un tutt’uno. Secondo una versione recente, il consiglio dei ribelli è “presieduto dall’eloquente ex Ministro della Giustizia libico, Mustafa Abdul Jalil, [e] consiste di 31 membri, i quali in apparenza rappresentano tutte le regioni libiche, i cui nomi, in molti casi, non possono essere rivelati per ’motivi di sicurezza’” […] “Gli attori-chiave nel Consiglio, per lo meno coloro che ci sono noti, provengono tutti dalla confederazione Harabi di tribù del Nordest. Tali tribù hanno forti affiliazioni con Bengasi, risalenti al periodo precedente la rivoluzione del 1969 che portò Gheddafi al potere.”20
Altri resoconti convergono per quanto riguarda il numero di rappresentanti: “Il consiglio ha 31 membri; le identità di molti membri non possono essere rese pubbliche per proteggere la loro sicurezza.”21 Considerato ciò che sappiamo circa la straordinaria densità del LIFG e dei fanatici di al Qaida nel Nordest della Libia, siamo autorizzati a chiederci se i nomi di tutti quei membri del Consiglio siano tenuti segreti al fine di proteggerli da Gheddafi oppure se l’obiettivo sia di impedire che essi siano riconosciuti in Occidente come terroristi o simpatizzanti di al Qaida. L’ultima ipotesi sembra riassumere in modo più accurato la realtà delle cose. I nomi finora resi pubblici includono: Mustafa Abduljaleel; Ashour Hamed Bourashed per Derna; Othman Suleiman El-Megyrahi per l’area di Butnan; Al Butnan, per l’area confinante con l’Egitto e Tobruk; Ahmed Abduraba Al-Abaar per Bengasi; Fathi Mohamed Baja per Bengasi; Abdelhafed Abdelkader Ghoga per Bengasi; Omar El-Hariri per gli affari militari; e il dottor Mahmoud Jibril, Ibrahim El-Werfali e Dr. Ali Aziz Al-Eisawi per gli affari esteri.22
Il dipartimento di Stato dovrebbe interrogare queste figure a partire forse da Ashour Hamed Bourashed, il delegato di quella roccaforte di terroristi e kamikaze che è Derna.
Quanti membri, veterani o simpatizzanti di al Qaida ci sono nel Consiglio dei ribelli?
Cercando di vedere per quanto possibile i fatti nella nebbia della guerra, sembra che sia stato pubblicato ufficialmente il nome di poco più d’una dozzina di membri del consiglio dei ribelli, di certo non più della metà di quei 31 membri di cui hanno parlato i media. I media statunitensi ed europei non si sono presi la briga di identificare per noi i nomi oggi noti, e soprattutto, non hanno richiamato l’attenzione sul fatto che la maggioranza dei ribelli del consiglio che sono ancora nascosti nell’ombra della segretezza più totale. Dobbiamo dunque chiedere di sapere quanti membri del LIFG e/o di al Qaida, quanti veterani o simpatizzanti di al Qaida siedono oggi nel Consiglio dei ribelli. Stiamo così assistendo a un tentativo da parte della tribù Harabi di esercitare il proprio dominio sulle 140 tribù della Libia. Gli Harabi esercitano ormai un potere egemonico fra le tribù della Cirenaica. Al centro della confederazione degli Harabi sta la tribù Obeidat, che è divisa in 15 sottotribù.23 Tutte queste potrebbero essere osservazioni di interesse puramente accademico ed etnografico, se non fosse per il fatto delle sconcertanti sovrapposizioni esistenti fra Haribi, LIFG e al Qaida.
Il movimento libico dei Senussi: una democrazia monarchica?
La tradizione politico-religiosa del Nordest della Libia rende quest’area un terreno fertile per le sette musulmane più radicali e le predispone alla monarchia piuttosto che a forme di governo più moderne, come quelle favorite da Gheddafi. La tradizione regionale in questo caso è quella dei Senussi, una setta musulmana antioccidentale. In Libia, l’ordine dei Senussi è strettamente associato ai monarchici, poiché il re Idris I, capo installato dai britannici nel 1951 e poi rovesciato da Gheddafi nel 1969, era anche il capo dell’ordine dei Senussi. I Senussi hanno diretto la ribellione contro il colonialismo italiano impersonato dal maresciallo Rodolfo Graziani e dalla sua armata negli anni 30. Oggi, i ribelli usano la bandiera monarchica e potrebbero invocare il ritorno al trono di uno dei due pretendenti alla discendenza di re Idris. Essi sono molto più vicini alla monarchia che alla democrazia.
L’idolo dei ribelli libici oggi: re Idris
Ecco cosa scrive Stratfor del re libico Idris e dei Senussi: “Il re Idris proviene da una stirpe di dominatori dell’ordine dei Senussi, un ordine religioso sufista fondato nel 1842 ad Al Bayda, dove si pratica una forma di Islam conservatrice e austera. Nella Cirenaica la Senussya rappresentava una forza politica che precedeva la creazione del moderno Stato libico, e i cui riverberi continuano a farsi sentire ancor oggi. Non è un caso che questa regione sia la sede del jihadismo libico, con gruppi come il LIFG, il Libyan Islamic Fighting Group. La famiglia di Gheddafi ha così definito l’attuale rivolta come un elaborato complotto islamista […].”24
Sotto la monarchia, la Libia è stata, secondo alcune stime, il paese in assoluto più povero del mondo. Oggi, la Libia si trova al 53° posto nell’Indice di Sviluppo Umano dell’ONU e si qualifica come il paese più sviluppato dell’Africa, davanti a Russia, Brasile, Ucraina e Venezuela. La dirigenza di Gheddafi ha meriti oggettivi e innegabili.
Il sito Black Agenda Report di Glen Ford ha correttamente cercato di mostrare il carattere razzista e reazionario dell’insurrezione libica. Le tribù della Libia meridionale, note come Fezzan, sono di pelle scura. Il regime di Gheddafi è stato puntellato da un’alleanza di tribù dell’Ovest, del centro e dalle tribù meridionali dei Fezzan, contro gli Harabi e gli Obeidat, i quali s’identificano con l’ex classe dirigente monarchica. Gli Harabi e gli Obeidat sono noti per il loro profondo odio razziale nei confronti dei Fezzan. Questo è stato espresso in frequenti notizie da parte dei media pro-imperialisti all’inizio della ribellione, evidentemente ispirati dai resoconti degli Harabi, secondo i quali i neri libici dovevano essere trattati come mercenari che lavoravano per Gheddafi. La chiara implicazione era che questi avrebbero dovuto essere sterminati. Queste invenzioni razziste vengono ancora ripetute da trombetti accademici come Dean Slaughter, della Woodrow Wilson School, a Princeton. E, difatti, un gran numero di africani neri provenienti dal Ciad e da altri paesi ed emigrati in Libia per lavorare sono stati sistematicamente linciati e massacrati dalle forze anti-Gheddafi. La Casa Bianca di Obama, nonostante tutto il suo vuoto ciarlare sul non voler ripetere il massacro del Rwanda, ha convenientemente ignorato questa sconcertante storia di genocidio reale fra le mani dei nuovi amici razzisti della Cirenaica.
Contro l’oscurantismo dei Senussi, Gheddafi ha proposto l’equivalente musulmano del sacerdozio universale luterano, argomentando che non è necessario alcun califfato per scoprire il significato del Corano. Egli ha integrato questo con una prospettiva pan-Africana. Gerald A. Perreira, di Black Agenda Report, scrive quanto segue riguardo alle divisioni teologiche fra Gheddafi e i neo-Senussi del Nordest della Libia, così come a proposito di altri oscurantisti: “Al Qaida si trova nel Sahara, minacciando i sui suoi confini e l’Unione Internazionale degli Studiosi Musulmani sta chiedendo cheGheddafi] sia processata […] [Gheddafi] ha messo in questione l’Islam della Fratellanza Musulmana e di al Qaida da una prospettiva Coranica e teologica ed è uno dei pochi leader politici che abbia gli strumenti per farlo […] Bengasi è sempre stata il cuore della controrivoluzione in Libia, avendo fomentato movimenti reazionari islamisti come i Wahabiti e i Salafiti. È questa la gente che ha fondato il Libyan Islamic Fighting Group con sede a Benghazi, che si allea ad al Qaida e che, nel corso degli anni, si è reso responsabile dell’assassino di membri di spicco dei comitati rivoluzionari libici.”25 E quale sarebbe per esempio la condizione delle donne prevista sotto i neo-Senussi del consiglio dei ribelli di Bengasi?
Al Qaida da demone ad alleato degli USA in Libia
Per coloro i quali cercano di seguire la gestione, da parte della CIA, delle sue varie organizzazioni di fantocci e zimbelli all’interno del regno del presunto terrorismo islamista, può essere utile delineare le trasformazioni del LIFG-AQIM da nemici mortali a stretti alleati. Tale fenomeno è strettamente associato al generale rovesciamento dei fronti ideologici dell’imperialismo statunitense, che segna la grande divisione fra le amministrazioni di Bush-Cheney e dei neocon e l’attuale regime di Obama-Brzezinski-International Crisis Group. L’approccio di Bush era di usare la presunta presenza di al Qaida come un motivo per effettuare attacchi militari diretti. Il metodo Obama è di usare al Qaida per rovesciare governi indipendenti e poi o balcanizzare e spartire i relativi paesi oppure usarli come fantocci kamikaze contro nemici più potenti, come Russia, Cina o Iran. Tale approccio implica un appoggio più o meno aperto a gruppi di terroristi, cosa che si è segnalata in maniera generica durante il famoso discorso di Obama al Cairo, nel 2009. I collegamenti fra la campagna di Obama e le organizzazioni di terroristi dispiegate dalla CIA contro la Russia erano già emersi tre anni or sono.26
Tuttavia, tale rovesciamento di fronte non si può improvvisare da un giorno all’altro; ci sono voluti diversi anni di preparazione. Il 10 luglio 2009, il “London Daily Telegraph” aveva riferito che il Libyan Islamic Fighting Group aveva spaccato la sua alleanza con al Qaida. Ciò era accaduto quando gli Stati Uniti avevano deciso di alleggerire le forze in campo nella guerra dell’Iraq, e anche di prepararsi a usare i Fratelli Musulmani sunniti e le loro ramificazioni di al Qaida per la destabilizzazione dei principali Stati arabi, in preparazione del loro dirottamento contro l’Iran sciita. Paul Cruikshank aveva scritto allora nel “New York Daily News” riguardo a un pezzo grosso del LIFG che aveva voluto interrompere i rapporti con al Qaida e l’infame Osama Bin Laden; questo era “Noman Benotman, ex capo del LIFG. Mentre gli esponenti di punta istituzionali musulmani già da tempo avevano espresso posizioni critiche nei confronti di al Qaida, questi critici come Benotman avevano le credenziali jihadiste per rendere le loro critiche particolarmente pungenti.”27 Tuttavia allora alcuni capi del LIFG si erano spostati sotto l’ala di al Qaida: il “London Daily Telegraph” aveva riferito che i dirigenti di spicco di al Qaida Abu Yahya al-Libi e Abu Laith al-Libi erano membri del LIFG. In quel periodo, Gheddafi aveva rilasciato alcuni combattenti del LIFG in una imprevidente azione umanitaria.
Secondo il regime di Gheddafi, molti capi ribelli erano stati trasferiti in Libia dalla prigione americana di Guantanamo, dove erano stati reclusi come terroristi. Tali fenomeni si sono già verificati nel caso dello Yemen. L’accusa di Gheddafi pare quidi verosimile.
I jihadisti libici stanno uccidendo le forze statunitensi e NATO in Afghanistan in questo esatto momento
Una delle fatali contraddizioni nella politica’attuale Dipartimento di Stato e della CIA consiste nel fatto che esse ambiscono a un’alleanza con gli assassini di al Qaida nel Nordest della Libia, e al tempo stesso in cui gli Stati Uniti e la NATO stanno impietosamente bombardando i civili del Nordest del Pakistan nel nome di una guerra totale contro al Qaida, e le forze statunitensi e Nato vengono attualmente uccise da guerriglieri di al Qaida in quello stesso teatro di guerra afgano-pakistano. La forza di questa lampante contraddizione fa crollare l’intero edificio della propaganda bellica degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti hanno da tempo perso qualunque base morale per l’esercizio della loro forza militare. Di fatto, è plausibile che i combattenti terroristi del Nordest della Libia stiano uccidendo truppe statunitensi e truppe della NATO in Afghanistan in questo esatto momento, proprio quando gli Stati Uniti e la NATO proteggono la loro base dagli attacchi del governo di Gheddafi. Secondo il resoconto che segue, uno dei principali comandanti di al Qaida nel Nordest del Pakistan era un libico che è stato ucciso a seguito di azioni statunitensi ancora nell’ottobre 2010: “Uno storico capo di al Qaida che funge da ambasciatore di al Qaida in Iran, ed è ricercato dagli USA, sarebbe stato ucciso in un attacco aereo di Predator nell’area tribale del Pakistan controllata dai Taliban, l’area del Waziristan del nord […] [si tratta di] Atiyah Abd al Rahman, un uomo di nazionalità libica che aveva risieduto in Iran e aveva svolto il ruolo di ambasciatore di Osama bin Laden davanti ai mullah. Alcuni dispacci non confermati indicano che Rahman sarebbe stato ucciso in un attacco aereo…”28
La pagina sui “Rewards for Justice” del Dipartimento di Stato USA per Atiyah Abd al Rahman nota che egli era l’“emissario” di al Qaida “in Iran, nominato da Osama bin Laden”. Atiyah aveva “reclutato e facilitato le trattative con altri gruppi islamici per operare sotto” l’ala di al Qaida ed era “anche un membro del Libyan Islamic Fighting Group e di Ansar al Sunna.”29 Rahman aveva in al Qaida un ruolo abbastanza importante da renderlo capace di impartire ordini ad Abu Musab al-Zarqawi, capo di al Qaida in Iraq, nel 2005.
In Pakistan era rimasto ucciso anche un altro apparente libico del Nordest, di nome Khalid al Harabi, la cui scelta di un nome di battaglia potrebbe facilmente farlo collegare alla fabbrica di jihadisti esistente fra la tribù Harabi, in Cirenaica. Secondo un resoconto, “Khalid al Harabi è un alias per Khalid Habib, ex comandante militare di Qaida che era rimasto ucciso in un attacco di Predator statunitensi nell0ottobre 2008.”30
Lo scenario scoperto nel 1995 con l’Affare Shayler è oggi operativo
Nel 1995, David Shayler, funzionario dell’organizzazione britannica di controspionaggio MI-5, era venuto a sapere che la sua controparte nell’organizzazione britannica di spionaggio estero, MI-6, aveva pagato la somma di 100.000 sterline a un affiliato di al Qaida in cambio del tentativo di assassinare Gheddafi. Il tentativo di assassinio era avvenuto, e aveva comportato la morte di molti passanti innocenti, ma era fallito. Shayler riteneva di aver inteso che lo scenario previsto dal MI-6 includeva l’eliminazione di Gheddafi, seguito da una discesa della Libia nel caos e nelle guerre tribali, con la possibile opzione di una presa del potere da parte della stessa al Qaida. Questa situazione allora avrebbe fornito un pretesto per la Gran Bretagna, che probabilmente ma non necessariamente avrebbe agito insieme agli Stati Uniti e ad altri paesi, per invadere la Libia e prendere il controllo dei campi petroliferi, probabilmente stabilendo un protettorato permanente sulle regioni ricche di petrolio, gli oleodotti e le coste.31 Questo rimane l’obiettivo ancor oggi.
In coincidenza con il tentativo di assassinare Gheddafi, il MI-6 e altre agenzie di intelligence segrete occidentali, avevano fomentato una considerevole insurrezione nel Nordest della Libia, quasi esattamente nelle stesse aree in cui è in atto la ribellione oggi. Tali insurrezioni erano state represse efficacemente dalle forze di Gheddafi entro la fine del 1996. Gli eventi del 2011 sono semplicemente una ripresa dell’attacco imperialista alla Libia avvenuto 15 anni fa, con l’aggiunta di interventi esterni.
La guerra contro lo Stato nazione
L’odierno attacco alla Libia avviene nel contesto di un più ampio attacco all’istituzione dello Stato sovrano, così come è esistito dal Trattato di Westfalia nel 1648. Gli Stati Uniti e i britannici sono molto preoccupati dall’ampio numero di nazioni che stanno cercando di sfuggire all’egemonia angloamericana perseguendo attivamente programmi di cooperazione su larga scala con la Russia sulla sicurezza, con la Cina su questioni economiche e con l’Iran per considerazioni di ordine geopolitico. La risposta della CIA e del MI-6 è stata un’orgia selvaggia di destabilizzazioni, colpi di Stato del tipo “people power”, rivoluzioni colorate, putsch di palazzo, segnalati dai consistenti rilasci di documenti da parte della CIA in quelle operazioni di disvelamento limitato di informazioni note come Wikileaks, che ha avuto come obiettivi della hit list della CIA, da Ben Ali a Gheddafi. L’amministrazione Obama, nella sua strategia, avrebbe preferito coltivarel’illusione che la Primavera araba fosse davvero un fatto di giovani idealisti visionari che si riuniscono sulle pubbliche piazze per lodare la democrazia, la giustizia e i diritti umani. La realtà non è mai stata questa. Le vere decisioni venivano prese da cricche brutali di generali e funzionari d’alto livello corrotti o ricattati dalla CIA, i quali si muovevano dietro le quinte per far cadere figure come Ben Ali o Mubarak. Senza dubbio Gheddafi ha in qualche modo costretto la CIA e la NATO a far cadere la piacevole maschera di giovanile idealismo che ha a cuore i diritti umani, rivelando l’orrendo volto dei droni Predator, dei bombardamenti delle città, dei massacri e dell’arroganza colonialista. Gheddafi ha anche strappato da Obama la maschera dello “Yes We Can”, rivelando un cinico guerrafondaio intento a continuare le infami politiche di Bush dei “Vivi o morti”, sebbene tramite mezzi differenti.
Un remoto specchio degli imperialisti in Libya: Pharsalia di Lucano
Gli imperialisti moderni, che non vedono l’ora di accorrere in Libia dovrebbero riflettere sulla “Farsalia” di Lucano, che tratta della guerra nel deserto libico nella contesa fra Giulio Cesare e Pompeo il Grande alla fine della Repubblica Romana. Un brano cruciale in quest’epica latina è il discorso di Catone l’Uticense, un seguace di Pompeo, che incita i suoi soldati a intraprendere una missione suicida in Libia, dicendo: “Serpenti, sete, calore e sabbia […] la Libia da sola può presentare una moltitudine di sventure che agli uomini converrebbe fuggire”. Catone va avanti e trova “una piccola tomba per chiudere il suo sacro nome, la Libia aveva assicurato la morte di Catone.”32
Cerchiamo di non imitare questa follia.
Prospettive investigative a partire dal West Point Study: un appello agli studiosi
Lo studio di West Point, come ho osservato, è stato condotto sulla base di quasi 700 documenti di al Qaida catturati dalle forze della coalizione in Iraq.33 Gli autori dello studio hanno promesso di mantenere a disposizione online la base documentaria di questa indagine, sia sotto forma del linguaggio arabo originale del personale di al Qaida, sia degli stessi documenti in lingua inglese che ne costituiscono la traduzione.35 Assumendo che questo materiale rimanga a disposizione, è possibile che i ricercatori e i giornalisti, e specialmente coloro con capacità in arabo non in possesso di chi scrive, compiano indagini sui combattenti libici che erano andati in Iraq al fine di determinare se qualcuno di loro sia familiare, vicino o addirittura socio in politica dei membri già noti del consiglio dei ribelli di Bengasi o di altre forze anti-Gheddafi. Tale operazione potrebbe offrire un contributo per consentire al pubblico europeo e americano, così come ad altri nel mondo di comprendere meglio la natura dell’avventura militare ora in atto in Libia, arrivando a conoscere più nello specifico chi siano i ribelli libici, di là dai superficiali panegirici sfoggiati dai media occidentali pilotati.
Riferimenti bibliografici:
1 Joseph Felter e Brian Fishman, Al Qa’ida’s Foreign Fighter in Iraq: A First Look at the Sinjar Records (West Point, NY: Harmony Project, Combating Terrorism Center, Department of Social Sciences, US Military Academy, December 2007). Citato come “studio di West Point”.
2 Joseph Felter r Brian Fishman, Al Qa’ida’s Foreign Fighter in Iraq: A First Look at the Sinjar Records (West Point, NY: Harmony Project, Combating Terrorism Center, Department of Social Sciences, US Military Academy, December 2007).
3 Studio di West Point, pp. 8-9.
4 Daya Gamage, Libyan rebellion has radical Islamist fervor: Benghazi link to Islamic militancy, U.S. Military Document Reveals, “Asian Tribune”, 17 marzo 2011, su http://www.asiantribune.com/news/2011/03/17/libyan-rebellion-has-radical-islamist-fervor-benghazi-link-islamic-militancyus-milit
5 Studio di West Point, p. 12.
6 Studio di West Point, p. 19.
7 Studio di West Point, p. 27.
8 Studio di West Point, p. 9.
9 http://english.aljazeera.net/news/africa/2008/04/200861502740131239.html; http://www.adnkronos.com/AKI/English/Security/?id=1.0.2055009989;
10 Studio di West Point, p. 12.
11 Studio di West Point, p. 27.
12 Studio di West Point, p. 29.
13 Studio di West Point, p. 28.
14 Si veda Egypt Said to Arm Libya Rebels, “Wall Street Journal”, marzo 2011, su http://online.wsj.com/article/SB10001424052748704360404576206992835270906.html; si veda anche Robert Fisk, America’s secret plan to arm Libya’s rebels, “Independent”, 7 marzo 2011, su http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/americas-secret-plan-to-arm-libyas-rebels-2234227.html
15 Gamage.
16 http://www.bbc.co.uk/news/world-africa-12741414
17 http://en.wikipedia.org/wiki/Mustafa_Abdul_Jalil
18 http://en.wikipedia.org/wiki/Mustafa_Abdul_Jalil
19 Stratfor, Libya’s Tribal Dyanmics, 25 febbraio 2011, disponibile su http://redstomp.org/forums/showthread.php?1109-Libya-s-Tribal-Dyanmics
20 Venetia Rainey, Who are the rebels we are fighting to protect, “The First Post”, http://www.thefirstpost.co.uk/76660,news-comment,news-politics,who-are-the-rebels-we-are-fighting-to-protect#ixzz1HMRIrUP9
21 http://en.wikipedia.org/wiki/National_Transitional_Council
22 Dichiarazione da parte del “Transition National Council,” Bengasi, 5 marzo 2011, http://www.libyanmission-un.org/tnc.pdf; http://en.wikipedia.org/wiki/National_Transitional_Council
23 Massimo Introvigne, L’occidente alla guerra delle tribù, “La Bussola quotidiana”, 22, 2011 marzo, su http://www.cesnur.org/2011/mi-rivolte-05.html
24 Stratfor, Libya’s Tribal Dyanmics, 25 febbraio 2011, disponibile su http://redstomp.org/forums/showthread.php?1109-Libya-s-Tribal-Dyanmics
25 Gerald A. Perreira, Libya, Getting it Right: A Revolutionary Pan-African Perspective, “Black Agenda Report”, 2 marzo 2011, su http://blackagendareport.com/content/libya-getting-it-right-revolutionary-pan-african-perspective
26 Webster G. Tarpley, “Obama Campaign Linked To Chechen Terrorism: Grant Of Taxpayer-Funded U.S. Asylum For Chechen Terror Envoy Gave Obama Foreign Policy Guru Zbigniew Brzezinski ‘One Of The Happiest Days Of My Life’,” 2 febbraio 2008, Obama the Postmodern Coup: The Making of a Manchurian Candidate (Joshua Treet CA: Progressive Press, aprile 2008), pp. 97-115, online su http://tarpley.net/2008/02/03/obama-campaign-linked-to-chechen-terrorism/
27 Paul Cruikshank, How Muslim extremists are turning on Osama Bin Laden, “New York Daily News”, 8 giugno 2008, su http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.nydailynews.com%2Fopinions%2F2008%2F06%2F08%2F2008-06-08_how_muslim_extremists_are_turning_on_osa.html&date=2009-08-05. Cruickshank is a fellow at the NYU Center on Law and Security and the co-author, with Peter Bergen, of the … cover story in the New Republic, “The Jihadist Revolt against Bin Laden.”
28 http://www.longwarjournal.org/archives/2010/10/al_qaeda_leader_link.php
29 http://www.longwarjournal.org/archives/2010/10/al_qaeda_leader_link.php#ixzz1HNoUTmn5
30 http://www.longwarjournal.org/archives/2010/10/al_qaeda_leader_link.php#ixzz1HNmzsjat
31 Si veda Machon, Annie (2005). Spies, Lies & Whistleblowers. MI5, MI6 and the Shayler Affair. Lewes, East Sussex: The Book Guild Ltd. 185776952X; Hollingsworth, Mark; Nick Fielding (1999). Defending the Realm: MI5 and the Shayler Affair. Andre Deutsch Ltd. ISBN 0233996672; si veda anche “Guardian”, 10 aprile 2000 http://www.guardian.co.uk/uk/2000/apr/10/davidshayler.richardnortontaylor
32 Lucan, Farsalia, Libro IX.
33 http://www.ctc.usma.edu/harmony/pdf/CTCForeignFighter.19.Dec07.pdf
34 http://www.ctc.usma.edu/harmony/Foreign_Fighter_Bios-Orig.pdf
35 http://www.ctc.usma.edu/harmony/FF-Bios-Trans.pdf
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