Nel suo Dictionnaire de Géopolitique (1995) Yves Lacoste identifica due mari che possono essere definiti “mediterranei” per analogia col Mediterraneo propriamente detto (“la Méditerranée euro-arabe”): un “mediterraneo” americano, formato dal Golfo del Messico e dal Mar delle Antille, nonché un “mediterraneo” asiatico, formato da Mar Giallo, Mar Cinese Orientale e Mar Cinese Meridionale[1]. Prima di Lacoste, Friedrich Ratzel (1844-1904) aveva chiamato “mediterraneo” ogni mare che mette in comunicazione due oceani, individuando come tali, oltre al Mediterraneo eponimo, i “mediterranei” estremo-orientale e centroamericano. Vsevolod De Romanovsky[2] (1912-2010) ha applicato l’aggettivo “mediterraneo” anche al Mar Glaciale Artico[3]. Infine, potrebbe essere considerato “mediterraneo” pure il Baltico, mare interno dell’Europa nord-orientale circondato dalla Penisola scandinava, dalla terraferma dell’Europa centrale e orientale e dalle isole danesi. Sono dunque quattro i “mediterranei” che bagnano le sponde del continente eurasiatico: rispettivamente, quelle settentrionali, quelle orientali e quelle sud-occidentali.

Il Mediterraneo artico

Il Mar Glaciale Artico, che comprende una serie di mari periferici (Mare di Barents, Mar di Beaufort, Mare dei Ciukci, Mare di Kara, Mare di Laptev, Mare Siberiano Orientale, Mare di Lincoln, Mare di Wandel, Mare di Groenlandia, Mar Bianco, Mare di Norvegia), occupa un bacino approssimativamente circolare in un’area di circa 14.090.000 km² ed è racchiuso entro le estreme regioni settentrionali di due continenti: l’Eurasia e l’America. Gli otto Stati costieri, membri permanenti del Consiglio Artico, sono: Stati Uniti d’America, Canada, Russia, Finlandia, Svezia, Norvegia, Islanda e Regno di Danimarca. 

Alla Danimarca appartiene infatti politicamente la Groenlandia, la più grande isola del mondo. Secondo una notizia diffusa nell’agosto del 2019 dal “Wall Street Journal”, Donald Trump avrebbe chiesto all’avvocato della Casa Bianca di presentare al governo di Copenaghen la richiesta di vendere la Groenlandia agli Stati Uniti d’America; ma il governo dell’isola, che dal 1979 gode di ampia autonomia, avrebbe preceduto il passo ufficiale di Washington dichiarando alla CNN che “la Groenlandia non è in vendita”.

All’interno dell’area artica si trovano numerose altre isole, fra cui le Svalbard, che appartengono politicamente alla Norvegia, una serie di isole appartenenti alla Russia ed alcuni arcipelaghi canadesi.

Per quanto riguarda l’importanza che il Mar Glaciale Artico riveste per la Russia, ricordiamo che agli inizi di novembre il presidente Vladimir Putin è intervenuto alla cerimonia dell’alzabandiera sulla nuova nave rompighiaccio “Viktor Chernomyrdin”, la quale, progettata per l’assistenza e il traino di navi e costruita in un cantiere navale russo nel Baltico, è in grado di portare e rifornire spedizioni scientifiche nell’Artico e fungere da nave antincendio. In tale occasione il presidente russo ha affermato: “È risaputo che abbiamo una flotta di rompighiaccio unica e che deteniamo una posizione di avanguardia nello sviluppo e nello studio dei territori artici. Questo primato deve essere costantemente confermato, ogni giorno, per rafforzare le nostre posizioni, per rafforzare e rinnovare la flotta, per introdurre nuove tecnologie avanzate per la costruzione di rompighiaccio e altre navi di questa classe”. Putin ha detto che nella Federazione Russa sono attualmente in fase di sviluppo diversi modelli di rompighiaccio diesel e nucleari, che non hanno simili in nessun altro Paese.

Il Mar Glaciale Artico ha acquisito una crescente importanza per le risorse naturali presenti nei suoi fondali e per le nuove vie marittime che lo attraversano, più brevi e più sicure di quanto non siano il canale di Suez, il canale di Panama o lo stretto di Magellano[4].

Il Mediterraneo asiatico

Il mediterraneo asiatico può dirsi costituito di tre aree marittime che si susseguono da nord a sud. La prima area, la più settentrionale, coincide col Mar del Giappone ed è delimitata dai territori dell’estremo oriente siberiano, dall’arcipelago giapponese e dalla penisola coreana; la Cina vi si affaccia con un brevissimo tratto di costa manciuriana a sud-ovest di Vladivostok. La seconda area è costituita di due mari: il Mar Giallo ed il Mar Cinese Orientale. A segnarne il perimetro sono le rive della Cina, la penisola coreana, la grande isola giapponese di Kyushu, l’arcipelago giapponese delle Ryukyu e l’isola di Taiwan, a sud della quale si estende la terza area del mediterraneo asiatico, il Mar Cinese Meridionale. In quest’ultimo mare si bagnano le rive meridionali della Cina ed una serie di Paesi dell’Asia sud-orientale: le Filippine, l’Indonesia, Brunei, la Malaysia, la Tailandia, la Cambogia, il Vietnam. Si tratta di un’area caratterizzata da un’estrema varietà, a confronto della quale il termine “Asia sud-orientale” (usato peraltro solo a partire dalla seconda guerra mondiale) si rivela una pura e semplice denominazione geografica. Infatti il settore in questione è estremamente variegato, non solo dal punto di vista della geografia fisica, ma pure sotto il profilo etnico, linguistico, religioso. Inoltre l’estremo frazionamento geografico ha favorito storicamente quello politico, tant’è vero che nessuno dei grandi regni fioriti in Indocina e in Indonesia riuscì mai ad unificare l’intera regione. A ciò si aggiunge la diversità delle esperienze coloniali: le Filippine appartennero alla Spagna e poi agli Stati Uniti, l’arcipelago indonesiano all’Olanda, la Malesia alla Gran Bretagna, l’Indocina alla Francia.

Nel mosaico che da Sachalin a Giava incornicia il mediterraneo asiatico c’è un elemento predominante: la sponda cinese, dalla quale non a caso hanno preso il nome il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale. Perciò, “quando guardano al di fuori della loro linea costiera, i leader cinesi vedono i Mari Cinesi. Dal loro punto di vista, la presenza costante di navi militari americane nelle loro acque e i voli giornalieri dell’intelligence lungo i loro confini costituiscono delle anomalie: i postumi indesiderati della seconda guerra mondiale”[5].

A queste costanti “anomalie” si sono aggiunte le provocazioni statunitensi. Il 13 luglio 2020 Mike Pompeo ha affermato che le rivendicazioni della Repubblica Popolare Cinese nel Mar Cinese Meridionale sono “totalmente illegittime”; quindi si è rivolto ai Paesi del Mar Cinese Meridionale, assicurandoli che Washington tutelerà contro Pechino i loro diritti di sovranità sulle risorse a distanza dalla costa.

A tali aggressive dichiarazioni ha replicato da Pechino il “Global Times”, che ha accusato il segretario di Stato americano di essere un bugiardo e un provocatore, abile nel fare “trucchi politici che potrebbero spingere le relazioni cino-statunitensi in una situazione ancor più terribile”; la qual cosa, proseguiva il quotidiano cinese, “potrebbe dar fuoco alle polveri. (…) Se ci sarà o no una guerra, dipende dai due Paesi. Se la Cina e gli Stati Uniti si scontrano, i Paesi vicini del Mar Cinese Meridionale saranno i primi ad essere travolti. Per questi Paesi la neutralità non sarà più uno schermo difensivo”[6].

Il numero due della Casa Bianca è tornato alla carica con un’altra intervista, rilasciata al quotidiano giapponese “Nikkei” a margine della ministeriale del Quad (“Quadro di cooperazione quadrilaterale” tra Stati Uniti, Giappone, India e Australia) che si è tenuta a Tokyo lo scorso 6 ottobre. Gli Stati Uniti, ha dichiarato, intendono fare del Quad, aprendolo a nuove adesioni e strutturandolo come una vera e propria alleanza militare, uno schieramento in grado di “contrastare la sfida rappresentata dal Partito Comunista Cinese”. La visione di un Indo-Pacifico “libero e aperto”, ha affermato il segretario di Stato, “è al centro della politica dell’amministrazione Trump”, e il Quad “si è già dimostrato e continuerà a dimostrarsi molto utile” nella promozione di tale obiettivo, allargando le relazioni e il coordinamento “ben oltre il concetto convenzionale di sicurezza”[7].

A Pompeo ha fatto eco il generale Gilbert Gapay, capo di stato maggiore delle Forze armate delle Filippine, nel corso di un forum virtuale tenuto a Manila una settimana dopo. Proprio mentre il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, in visita ufficiale in Malesia, dichiarava che il Mar Cinese Meridionale “non dovrebbe brulicare di navi da guerra”, l’alto ufficiale filippino attribuiva alla Repubblica Popolare Cinese una condotta aggressiva, che rischia di trascinare in un conflitto altri paesi della regione.

Il Mediterraneo eponimo

Nel Mare Mediterraneo propriamente detto il naturale crocevia tra Europa, Asia ed Africa è rappresentato dalla penisola anatolica, che fra le quattro penisole mediterranee è quella collocata al centro del grande complesso continentale. Questa penisola, che in passato costituì il punto di partenza per la costruzione dell’edificio imperiale ottomano ed è attualmente il territorio della Repubblica Turca, ha sempre occupato una posizione geopoliticamente cruciale.

Il progetto di espansione e di penetrazione secondo diverse direttrici terrestri, elaborato da Ahmet Davutoğlu per tradurre in termini geopolitici il sogno neoottomano, è stato integrato e parzialmente corretto con la dottrina della “Patria Blu” (Mavi Vatan), ideata dall’ammiraglio in pensione Cem Gürdeniz (che dirige il Centro di studi marittimi della Koç Üniversitesi di Istanbul) come progetto di espansione della potenza turca sui tre mari che circondano l’Anatolia: il Mediterraneo orientale, il Mar Egeo e il Mar Nero. “I Greci vogliono sempre di più, vogliono di più nell’Egeo, vogliono di più nel Mediterraneo orientale e, soprattutto, vogliono intrappolare la Turchia nella penisola anatolica”, dichiara Gürdeniz, che auspica la fine dell’Alleanza Atlantica nel caso in cui a sostegno di Atene intervengano militarmente Washington e Parigi.

Infatti, dopo che il 7 agosto la Turchia aveva inviato nelle acque a sudest di Cipro la nave per prospezioni energetiche Oruç Reis scortata da otto fregate, da droni armati e da caccia F-16, Parigi inviò a sostegno di Atene e Nicosia alcuni caccia Rafale e una squadra navale guidata prima dalla portaerei Tonnerre e poi dalla portaerei atomica Charles de Gaulle. Quindi, per discutere degli sviluppi della crisi, il 10 settembre il presidente francese Emmanuel Macron organizzò ad Ajaccio un vertice dell’EuroMed (il gruppo dei Paesi mediterranei dell’Unione Europea) che confermò “piena solidarietà a Cipro ed alla Grecia di fronte ai ripetuti attacchi della Turchia alla loro sovranità”. Poi, verso la fine di ottobre, in seguito alla provocatoria dichiarazione con cui il presidente Macron, richiamandosi alla “libertà d’espressione” ed ai princìpi laicisti della République, legittimava implicitamente le vignette blasfeme di “Charlie Hebdo” e la loro riproduzione sugli edifici pubblici francesi, i rapporti tra Parigi ed Ankara sono diventati incandescenti: il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha raccomandato al suo collega francese di “farsi curare”, l’Eliseo ha richiamato il proprio ambasciatore da Ankara e la Turchia ha decretato il boicottaggio dei prodotti francesi.

Nonostante la loro comune appartenenza all’Alleanza Atlantica, Francia e Turchia sono schierate da tempo su posizioni contrapposte in diversi teatri strategici: non solo nel Mediterraneo orientale, nell’Egeo ed in Libia, ma anche nel Nagorno-Karabakh, dove la Francia sostiene gli Armeni contro l’Azerbaigian filoturco, ed anche in Africa, dove la Turchia insidia il primato francese nel Senegal, nel Niger ed a Gibuti.    

Se nel 1536 Francesco I e Solimano il Magnifico seppero stipulare un’alleanza franco-ottomana che rimase in vigore per più di due secoli e mezzo, gli attuali successori dei suddetti sovrani hanno invece preferito dar vita ad una contesa tra le due potenze, ciascuna delle quali è alla ricerca di una sua profondità geopolitica nel bacino del Mediterraneo.

Quest’ultimo però, essendo disseminato di basi militari della NATO e degli Stati Uniti d’America, da Malaga a Sigonella ad Alessandria d’Egitto a Smirne a Cipro, in definitiva è soggetto alla sovranità della superpotenza d’Oltreatlantico. È vero che, essendo ormai la Cina subentrata alla Russia nel ruolo di “nemico principale” degli Stati Uniti, oggi è il mediterraneo asiatico a rivestire nella prospettiva statunitense la massima rilevanza strategica. Ciononostante la “Méditerranée euro-arabe” conserva la sua importanza fondamentale nella strategia atlantista di accerchiamento della Russia, sicché Washington è disposta a permettere che una potenza mediterranea (si tratti della Turchia o della Francia) vi instauri la propria egemonia solo ed unicamente a condizione che essa accetti di svolgere un ruolo subimperialista, funzionale cioè al dominio della superpotenza nordamericana.


NOTE

[1] La tesi di un “Mediterraneo asiatico” è stata sviluppata da François Gipouloux, La Méditerranée asiatique, villes portuaires et réseaux marchands en Chine, au Japon et en Asie du Sud-Est, XVIe-XXIe siècle, CNRS Éditions, Paris 2009, 482 pp.

[2] Vsevolod Romanovsky; Claude Francis-Boeuf; Jacques Bourcart; P Bohe, La mer, Larousse, Paris 1953.

[3] Tale denominazione venne data dall’oceanografo francese Charles Pierre Claret de Fleurieu nel 1797. Nel 1845 la Reale Società Geografica di Londra adottò la denominazione “Arctic Glacial Ocean”, tuttora usata dall’Organizzazione Idrografica Internazionale.

[4] Su quest’ultimo argomento, cfr. Mariano Benedetto Allodi, Prospettive della navigazione nella regione artica, “Eurasia”, 4/2019.

[5] Graham Allison, Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?, Fazi Editore, Roma 2018, p. 257.

[6] Ju Hailong, Pompeo’s S.China Sea declaration risks pushing China-US ties into abyss, “Global Times”, 21 luglio 2020.

[7] Indo-Pacifico: Pompeo, istituzionalizzare il Quad per contenere la Cina, www.agenzianova.com, 7 ottobre2020.


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Claudio Mutti, antichista di formazione, ha svolto attività didattica e di ricerca presso lo Studio di Filologia Ugrofinnica dell’Università di Bologna. Successivamente ha insegnato latino e greco nei licei. Ha pubblicato qualche centinaio di articoli in italiano e in altre lingue. Nel 1978 ha fondato le Edizioni all'insegna del Veltro, che hanno in catalogo oltre un centinaio di titoli. Dirige il trimestrale “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”. Tra i suoi libri più recenti: A oriente di Roma e di Berlino (2003), Imperium. Epifanie dell’idea di impero (2005), L’unità dell’Eurasia (2008), Gentes. Popoli, territori, miti (2010), Esploratori del continente (2011), A domanda risponde (2013), Democrazia e talassocrazia (2014), Saturnia regna (2015).