Fonte: http://byebyeunclesam.wordpress.com/2010/12/07/lf-35-va-alla-deriva/

Ad Aprile 2009, titolando “L’F-35 è “invisibile”? No, è un bel bidone!“, demmo un conto, molto sommario, delle motivazioni tecniche che avrebbero impedito al cacciabombardiere Joint Strike Fighter Lightning II della Lockheed Martin, propagandato come “stealth“, di diventare un vettore con una penetrazione di mercato in linea con quella ottenuta dal suo diretto predecessore: l’F-16 Fighting Falcon della General Dynamics. Entrato in servizio nell’Agosto del 1978 con l’US Air Force e successivamente adottato da 26 Paesi con un numero di esemplari prodotto in numero superiore a 4.500 unità in dieci versioni successive, si distinguerà per longevità operativa, flessibilità di impiego ed efficienza bellica.
L’ultimo lotto di cento F-16I è stato consegnato ad “Israele“ che riceve a titolo gratuito, come si sa, annualmente 2.850 milioni di dollari di materiale militare USA.
Con “residuati accantonati“ Washington sta inoltre cedendo al Pakistan con eguali modalità 18 F-16 C/D per tentare di alleggerire l’appoggio della potente Inter Services Intelligence (ISI) alle formazioni pashtun nel conflitto che coinvolge ISAF ed Enduring Freedom nel pantano dell’Afghanistan.
Donazione finalizzata anche a contrastare la crescente influenza politica e militare di Pechino nell’area asiatica e l’opzione per l’acquisto fatta dall’ex Presidente Musharraf di 36 cacciabombardieri J-10 Chengdu (made in China) e la licenza di fabbricazione del caccia JF-17 Thunder. Una verità tenuta rigorosamente nascosta nell’intento di favorire Benazir Bhutto, sponsorizzata da Bush nella scalata alla presidenza del Pakistan, danneggiando l’allora Capo dello Stato, presentato dalla stampa occidentale, al contrario, come un lacchè della Casa Bianca.
Una scelta – quella di acquistare i J-10 Chengdu – che segnala, meglio di qualche resoconto giornalistico che riporta la dizione Af-Pak, il nuovo corso imboccato da Islamabad nei suoi rapporti con la (ex) Potenza Globale.
Le attuali continue violazioni dello spazio aereo del Pakistan con gli UAV Predator, i bombardamenti “mirati“, gli inseguimenti a caldo di pattuglie di rangers e marines nelle Regioni Autonome per catturare od eliminare nuclei appartenenti ad “Al Qaeda“ ed il ripetersi di continui, gravi “incidenti“ di confine, stanno lì a dimostrare il crescente gelo che è calato tra gli Stati Uniti ed il suo ex alleato durante l’occupazione russa del Paese delle Montagne.
Le recentissime rivelazioni di Wikileaks sulle pressioni esercitate dagli Stati Uniti per costringere il Pakistan a rinunciare al suo armamento nucleare od in subordine a chiudere le centrali di produzione del plutonio di cui dispone, per evitare fughe di tecnologia atomica nella Regione, sono il sintomo, se ce ne fosse bisogno, del crescente stato di tensione che si va manifestando tra Washington ed Islamabad.
Nel mese di Ottobre scorso, il Pakistan ha concesso l’uso del suo spazio aereo ad una formazione di Sukhoi-27 e Mig-29 di Pechino per raggiungere la Turchia via Iran, dopo che il governo di Ankara ha annullato la partecipazione USA alle esercitazioni “Aquila dell’Anatolia“.
Per la prima volta, velivoli militari della Repubblica Popolare di Cina hanno raggiunto il Vicino Oriente atterrando nella base di Konyia alla presenza di un rappresentante del governo Erdogan, dopo essersi riforniti in Iran presso la base di Gayem al Mohammad nel Khorassan (posizionata a 55 km di distanza da Herat), accolta dal generale comandante dell’aviazione iraniana Ahmad Mighani.
In quell’occasione, è circolata con insistenza la notizia che durante il trasferimento Cina-Turchia le squadriglie del Dragone abbiano lasciato sull’aeroporto militare dell’Iran due cacciabombardieri J-10 Chengdu, i cui piloti sarebbero stati rimpatriati su un cargo in partenza dal porto di Bandar Abbas con destinazione Shangai, per mandare un chiarissimo segnale politico agli USA sull’intenzione della Cina di mantenere ottimi rapporti politici, economici e militari con Teheran, aprendo contemporaneamente alla Turchia con cui ha stretto un’intesa per raggiungere nel corso di cinque anni un interscambio di 110 miliardi (in dollari, per ora) con pagamenti nelle rispettive valute. Decisione già adottata, tra l’altro, da due colossi dell’America indiolatina (Brasile-Argentina) e dell’Asia (Russia-Cina) per sostituire la moneta americana come unico riferimento di scambio nelle transazioni internazionali.
Accordi che limano un po’ alla volta l’influenza USA a livello planetario e ne aggravano la crisi politica e finanziaria. Persa ogni capacità di ingerenza per Washington anche in Libano, dopo la visita del primo ministro Hariri a Damasco ed a Teheran, viaggio che mette alla berlina il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja e l’Europa a 27.
La visita di Erdogan nelle stesse capitali ha aperto un altro fronte nella politica estera di Washington, dopo le rivelazioni sugli aiuti che l’Amministrazione Bush ha offerto al PKK e che quella di Obama conferma con Biden per la creazione, al momento giudicato idoneo, di una repubblica separata dall’Iraq, allargata a territori attualmente appartenenti a Siria, Iran e Turchia: il “grande Kurdistan”.
D’intesa con il presidente Assad, Ankara ha inoltre sminato i confini di Stato tra Turchia e Siria, rafforzato le relazioni bilaterali a livello politico, commerciale e culturale con Damasco. Il terreno di confine liberato dall’esplosivo è stato assegnato ad una società mista turco-siriana per la piantumazione di ulivi e la produzione e la commercializzazione di prodotti agricoli. Un altro “messaggio“ fatto recapitare questa volta ad “Israele“.
Qualche flash, così a caso, in questo quadrante del mondo, tanto per non farci sommergere da dosi massicce di informazione spazzatura o da secchiate di cloroformio al “delitto di Avetrana“.
E ora l’argomento che ci interessa: l’F-35.
I J-10 Chengdu sono cacciabombardieri multiruolo identici nella scelta della monomotorizzazione, con prestazioni migliorate rispetto all’ultima versione F-16 USA che nei piani del Pentagono dovrà essere rimpiazzata dal cacciabombardiere F-35 della Lockheed Martin con previsioni di entrata in linea a partire (spiegheremo il perché l’avvio della produzione di serie è slittata) dal 2013-4 per arrivare al 2050.
Un arco di tempo a livello aeronautico lunghissimo che non può non prevedere costosissimi aggiornamenti nell’avionica e sostituzioni nella propulsione durante la sua vita operativa.
I Paesi acquirenti insomma saranno costretti ad onorare una cambiale in bianco firmata agli USA od a tenersi versioni via, via superate dell’F-35.
I dubbi che avanzammo nel 2009 su questo caccia “stealth“, due anni dopo si stanno trasformando in una certezza pressoché definitiva.
L’uscita di un solo esemplare al mese a livello di prototipo, a quella data, ci portò ad ipotizzare l’esistenza di gravissime difficoltà degli Stati Uniti nel rispettare i tempi di consegna per le inevitabili problematiche tecniche che nascono, sotto tutte le latitudini, nell’approntamento dei prototipi, nelle successive prove di volo, nella costruzione delle linee di montaggio e di certificazione che, entro certi parametri, vanno ad incrementare i costi previsti dal programma iniziale di acquisizione.
L’F-35 ne ha trovate una mole imprevista e ad oggi irrisolta.
Avanzammo soprattutto (fondate) riserve sull’efficienza del profilo “stealth“. Oggi siamo in grado di valutarne, con qualche approssimazione, anche l’efficienza bellica, con l’aiuto di relazioni provenienti da esperti aeronautici. Quello che abbiamo saputo con una relazione dell’US Air Force alla Commissione Difesa del Senato USA è che opposto in combattimento al Sukhoi SU-35 della Russia verrebbe cancellato dai cieli. Anche se c’è da dire che la tipologia di specifica di progetto del primo non è perfettamente sovrapponibile al secondo velivolo.
La simulazione “Pacific Vision 2008“ ha dato in ogni caso dei grossi dispiaceri all’ammiraglio Mullen ed all’ammiraglio Di Paola, al Pentagono ed alla NATO anche per i tagli finanziari che hanno colpito quest’anno i bilanci militari sia degli USA che dell’Alleanza Atlantica per la recessione economica in atto.
Risultare non competitivi con un cacciabombardiere Sukhoi SU-35 attualmente a disposizione dell’aviazione russa, con un F-35 che deve ancora andare in produzione di serie per arrivare fino al 2050, è qualcosa di più di una cocente sconfitta.
E’ un po’ l’inizio della fine.
Lasciammo da parte il numero dei velivoli previsti da approntare sia in Texas che in Piemonte, a Cameri, perché ancora in via di definizione il numero degli F-35 che Stati Uniti ed Alleati avrebbero acquisito con ordini confermati.
In quell’occasione, avemmo anche modo di contestare la principale motivazione alla base del progetto Lockheed Martin, la sua presunta “invisibilità“, e le limitazioni di missione a cui l’F-35 andava inevitabilmente incontro.
Caratteristica, la “bassa osservabilità“, che finiva per sacrificarne autonomia e carico bellico esaltando per contro i costi di manutenzione per la prevista applicazione di pellicole di vernice antiriflettente ad altissimo costo ed a rapido decadimento, l’impiego abnorme di materiali compositi che produce fragilità strutturali ad alti g e gli upgrade che si sarebbero resi indispensabili per tenerlo in linea, con parametri e costi di gestione che al momento appaiono difficilmente sopportabili per la quasi totalità delle aviazioni militari degli Stati acquirenti.
Per dirla in breve, l’F-35 come anatra zoppa e sanguisuga.
Dotato di un avionica tutt’altro che eccezionale (la Repubblica delle banane ha accettato la versione “degradata“), sostenemmo che nel medio periodo l’F-35 si sarebbe dimostrato un cacciabombardiere del tutto insufficiente a mantenere uno standard di eccellenza anche per la rapida evoluzione tecnologica dei sistemi radar di scoperta e di acquisizione bersagli avversari, a partire dall’ECM Kolchuga.
Fu sulla base di queste considerazioni che definimmo l’F-35 un gigantesco e costosissimo bidone.
Insomma, chi avrebbe acquisito un F-35 si sarebbe caricato anche di una salatissima tassa aggiuntiva per un upgrade ad un quarto, metà o tre quarti di vita operativa dell’aereo.

Per acquistare un jet della Lockheed Martin nel 2008, si prevedeva una spesa iniziale, per il solo vettore, senza armi, di 50-60 milioni di euro, dopo 700 giorni si ventila un costo di 120 milioni a velivolo.
Oggi sappiamo che il programma di costruzione dell’F-35 subirà un ritardo di almeno 3 anni ed un aumento dei costi prossimo, per difetto, a 500 miliardi di dollari da ripartire sugli acquisti inizialmente previsti per le forze aeree di USA, GB, Canada ed “Israele“ di 2.581 velivoli da approntare, fino ad oggi, in Texas sulle linee di produzione Lockheed Martin e dei 570, previsti inizialmente, assegnati dal committente USA in Piemonte al consorzio Finmeccanica-Alenia per soddisfare gli ordini delle forze aeree di Olanda, Danimarca, Norvegia, Turchia ed Italia.
Riteniamo altamente possibile, in assenza di altre informazioni, che il Bel Paese spenderà per i primi acquisti di F-35, nelle versioni A e B a partire dal 2017-8 (data iniziale prevista: 2014), escludendo la cancellazione del progetto, una somma catastroficamente lievitata sulle “uscite occorrenti“ annunciate a Maggio di quest’anno dal D’Annunzio di Palazzo Baracchini, per un totale, per ora, di 13.5 miliardi di euro al netto dei 2.5 già onorati dalla fase di progettazione all’approntamento del prototipo negli uffici e negli hangar della Lockheed Martin.
Un incremento di costi che costringerà, nelle migliore delle ipotesi, Marina ed Aeronautica a ridurre almeno di 3/4 gli acquisti previsti, dopo aver cancellato (sarebbe meglio dire: fatto fuori) per decisione governativa, sotto la pressione degli Stati Uniti, l’EFA 2000 Typhoon di produzione italiana-europea.
Il perché non confessato è semplice.
Il Typhoon è un velivolo da superiorità aerea, quindi con funzioni prevalentemente di difesa dei cieli, l’F-35 di attacco al suolo. Un vettore da “missioni di pace“ come quelle effettuate sulla Serbia, sull’Afghanistan e sull’Iraq. Anche sull’Iran, sullo Yemen e sulla Corea del Nord se sarà necessario. E chissà dove, negli anni che verranno.
Affidare l’F-35 alla Marina ed all’Aviazione Militare significa aprire un autostrada alla partecipazione della Repubblica delle banane ad altre “missioni di pace“.
Ma per i “difensori della libertà“ il cammino è, in ogni caso, in rapida e scivolosissima salita.
Dei Paesi (clienti di lancio) che abbiamo elencato, la Gran Bretagna ha annunciato che ridurrà l’acquisto degli F-35 dai 150 inizialmente opzionati a 20 Stovl; il Canada ha deciso di posticipare l’acquisizione di 15 F-35 dal 2014 al 2018.
Per quanto riguarda i carichi di lavoro di Finmeccanica-Alenia, l’Olanda ha rinunciato completamente a comprarne limitandosi a confermare due prototipi; la Norvegia ha posto serissimi ostacoli al via libera dei 48 opzionati e la Turchia ha minacciato di disdire l’intera commessa da 116 velivoli.
L’Italia continua testardamente a confermare i suoi 131 F-35 A e B.
Uomini tra i Caporali o che altro?
Insomma in Piemonte, in provincia di Novara si lavorerà poco o niente. I ritorni ipotizzati dall’attuale ministro della Difesa e da codazzi di peones di Camera e Senato, di centrosinistra e di centrodestra eletti in Piemonte, saranno un flop clamoroso.
Per giunta “Israele“, che inizialmente aveva opzionato l’F-35 A e B, ha comunicato ufficialmente attraverso il ministro della Difesa Barak di averne confermati solo 20 su 75.
Sui numeri per l’USAF si prevede un taglio superiore al 50%. La US Navy sta valutando l’opportunità di cancellare l’ intera l’opzione ordinata, mantenendo aperte le linee di assemblaggio dell’F-18.
Ci sono tutte le premesse per recitare l’epitaffio sul velivolo della Lockheed Martin e sul più ambizioso e costoso progetto aeronautico USA-NATO per l’intera prima metà del XXI° secolo.
E almeno fino ad oggi, in questo segmento di 5° generazione in Occidente altro non c’è.
Il declino degli Stati Uniti non è solo finanziario, bancario, industriale e sociale ma anche militare. Un ruzzolone che coinvolgerà la vecchia e la nuova Europa, quella dell’ Ovest e quella dell’Est. Non a caso scricchiola l’intera struttura dell’UE.
Lo diciamo con enorme soddisfazione. Perché tutti i popoli europei stanno dannatamente peggio a livello sociale di quando esistevano le monete nazionali, la BCE lavora in tandem con l’FMI per togliere sovranità politica ed economica ai Paesi aderenti mentre la Commissione di Bruxelles non ha ancora un Commissario alla Difesa e ha scelto gli USA e la NATO come garanti della sua “sicurezza“.
Prima o poi, ci saranno, anche in Italia, dei conti da saldare con poteri forti.
Le acquisizioni miliardarie (in euro) negli Stati Uniti contro gli interessi presenti e futuri del Paese, dovranno necessariamente passare per la lente di un microscopio.
Da quanto emerge in un rapporto interno presentato dall’ammiraglio David Venlet al responsabile dei sistemi d’arma del Pentagono Alshton Carter, che il 22 Novembre u.s. ha avuto un incontro ad altissimo livello con Lockheed Martin, l’uscita del primo F-35 di serie slitta di ulteriori 13 mesi dall’inizio dell’anno, dopo il catastrofico ritardo accumulato nella fase di sviluppo.
All’origine del nuovo stop ci sarebbero gravissimi problemi di software ed altrettante difficoltà con la versione per decolli a catapulta ed atterraggi col gancio sulle grandi portaerei della US Navy, l’F-35C.
Il software ne è il cervello, la meccanica ed elettroidraulica del carrello di atterraggio le gambe ed i piedi.
Del B, tecnicamente molto più complesso da approntare, a decollo corto ed atterraggio verticale, non si è speso per l’occasione un solo accenno. Gran brutto segno.
Il declino degli USA e dei suoi Alleati è ormai conclamato. Il XXI° sarà un secolo di Lotta e di Vittoria.


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