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LXXX – Criminale continuità del regime sionista

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Di fronte al genocidio attuato da Israele, gli stessi ambienti internazionali che da sempre sono solidali col regime coloniale sionista hanno avvertito la necessità di dissociarsi formalmente da Netanyahu. Ma il dramma palestinese non ha avuto inizio coi crimini commessi dal governo di quest’ultimo; Netanyahu rappresenta soltanto l’ultima fase di un progetto di estirpazione etnica che, concepito ben prima della nascita dell’entità sionista, è stato attuato sistematicamente da tutti i governi dell’unica democrazia del Vicino Oriente.

Descrizione

GEOPOLITICA E GEOSTRATEGIA

I concetti geopolitici di Jean Thiriart – teorico di un impero eurasiatico compreso tra la Groenlandia e il Mar del Giappone, l’Artico e il Mediterraneo – vengono messi a confronto con le tesi “classiche” di Halford Mackinder, Alfred Mahan, Nicholas Spykman, Karl Haushofer e con quelle dei più recenti geopolitici e ideologi della Casa Bianca: James Burnham, Zbigniew Brzezinski, Samuel Huntington, Francis Fukuyama.

Le notizie di cronaca si rincorrono: nell’anno in corso i paesi europei membri della NATO sembrano aver deciso – con l’autoesclusione della Spagna – che l’obiettivo da perseguire quanto a spese militari non sia più quello (nemmeno raggiunto da tutti i membri!) del 2% del PIL investito in difesa, bensì quello del 5%. È un obiettivo realistico e strategicamente sensato per il nostro paese? Cosa si intende per “investimenti in difesa”?

L’articolo affronta il tema del potere spaziale e descrive l’orbita terrestre come un dominio in cui gli Stati competono per aumentare la propria influenza geopolitica e acquisire i vantaggi offerti dall’economia dello spazio. In particolare, l’articolo si concentra sulla dimensione economica del potere nazionale, evidenziando come le imprese private e pubbliche rivestano un ruolo centrale nei meccanismi che permettono l’esercizio di un potere spaziale credibile. In tale quadro, viene sottolineato che il settore della Difesa può offrire margini di sviluppo per l’industria nazionale, sostenerne la resilienza e ampliarne la capacità di concorrere a livello globale. D’altro canto, la persistenza di condizioni politico-economiche sfavorevoli e la mancanza di imprese private in grado di investire nel campo della ricerca e dello sviluppo possono limitare le occasioni di un Paese di accedere e competere nello spazio o, in generale, di esercitarvi qualsiasi forma di potere. Una migliore comprensione del potere spaziale e lo sviluppo di iniziative di livello giuridico sono, quindi, necessari per far crescere un fertile ecosistema che contribuisca al successo delle operazioni a doppio uso condotte nello spazio.

CONTINENTI

Gli eventi in corso a Gaza sono anche il frutto malato dell’accettazione, da parte dell’Occidente, di una narrazione manifestamente sbilanciata. Tuttavia, la catastrofe che sta travolgendo il popolo palestinese sta smantellando l’immagine artefatta che Israele e gli Stati Uniti si sono costruiti nel tempo, portando sotto gli occhi di tutti la vera natura di questi “difensori della democrazia”. Nel contempo, il riassetto delle dinamiche internazionali evidenzia la crescente spaccatura tra Occidente e Sud globale, in vista di un futuro che potrebbe segnare la fine di un’epoca.

Il saggio analizza la strategia israeliana nella Striscia di Gaza, focalizzandosi sull’uso dell’assedio e del blocco umanitario come strumenti bellici contro Hamas. L’interruzione totale dei rifornimenti ha provocato una crisi umanitaria devastante, colpendo in particolare la popolazione civile. Nonostante la pressione, Hamas mantiene capacità operative grazie alla sua rete sotterranea e al radicamento sociale. Intanto, la reputazione internazionale di Israele si deteriora: crescono le critiche, le sanzioni e i riconoscimenti diplomatici alla Palestina. Il fronte occidentale si spacca, e perfino negli Stati Uniti il sostegno a Israele è in crisi. Il saggio mostra come l’operazione militare, lungi dall’essere risolutiva, rischi di rafforzare Hamas e isolare politicamente il regime sionista. Gaza si conferma teatro di un conflitto asimmetrico, dove la forza militare non basta a vincere la guerra della legittimità.

Berthold Laufer può essere considerato a tutti gli effetti come il precursore degli studi sulla “speciale” relazione tra Persia e Cina nell’Antichità. Il suo studio, in particolare, si concentrava anche su elementi prettamente linguistici e suoi rispettivi prestiti lessicali tra i due Paesi per indicare piante, erbe medicinali o, più semplicemente, prodotti oggetto di transazioni commerciali. Più recentemente, uno studio di Jeffrey Kotyk ha cercato di trattare il medesimo argomento, concentrandosi anche su aspetti principalmente storico-politici. Partendo da questi due volumi, qui si cercherà di analizzare il significato storico e geopolitico del rapporto tra Cina e Iran, che risale ad oltre duemila anni fa ed arriva (tra alti e bassi) fino ai giorni nostri. Si tratta di due ex imperi desiderosi di rivalsa dopo un lungo periodo di sottomissione e di imposizioni di stampo coloniale.

Gli avvenimenti di giugno hanno offerto lo spunto a innumerevoli riflessioni da parte di giornalisti ed esperti di politica internazionale sullo stato dell’arte del programma nucleare iraniano. Questo contributo vuole discostarsi dalla massa degli approfondimenti effettuati dai media occidentali (italiani inclusi), unicamente volti ad una comprensione più o meno fondata delle conseguenze degli attacchi statunitensi (“Operazione martello di mezzanotte”) agli impianti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan, per fornire al lettore una prospettiva più ampia. Ciò che l’autore si prefigge è di ripercorrere i punti salienti della storia del programma nucleare dell’Iran all’interno delle relazioni internazionali e, in particolare, dei rapporti con la Repubblica Federale Tedesca, la quale vide nel Paese del Golfo il principale destinatario della propria politica commerciale nucleare, estensione di una più ampia politica estera verso Teheran.

Dagli accordi di Lussemburgo del 1952 alla cooperazione militare high-tech e al dogma contemporaneo della Staatsräson, il rapporto Germania-Israele è passato da obbligo riparatorio a perno identitario della politica tedesca. Il saggio ricostruisce le tappe storiche – inclusa la “deviazione” terzomondista della DDR – e mostra come il “debito infinito” per la cosiddetta Shoah condizioni tuttora posture diplomatiche, scelte d’intelligence e narrazioni mediatiche. Ne emerge il dilemma irrisolto di Berlino fra memoria morale e autonomia strategica in un ordine euro-atlantico in trasformazione.

Sono tanti gli elementi che contraddistinguono lo stato di tensione fra Israele e Turchia. Fra questi: la guerra sotterranea fra i servizi, le minacce israeliane e le parole di fuoco turche, i bombardamenti di Tel Aviv sul più importante aeroporto militare siriano, dove sono attesi soldati turchi. Il ministro degli esteri turco, Fidan, ha riassunto la situazione: “Israele sta perseguendo una politica che mira a indebolire progressivamente la regione e a mantenerla nel caos”. Frammentazione dei Paesi nemici, dunque, fra i quali si può ormai annoverare anche la Turchia. L’attacco alla Repubblica Islamica iraniana rientra in questa strategia, e l’eventuale, paventata caduta dell’Iran, unita alla disintegrazione della Siria, regalerebbero alla Turchia un arco di confine di 1800 chilometri (Siria,Iraq e Iran) potenzialmente in preda al caos, alla divisione settaria e al terrorismo. Una prospettiva che non dispiacerebbe ad Israele ma che la Turchia non può accettare.

L’Asia del Sud si presenta come un’area di rilevanza sempre maggiore dal punto di vista geopolitico. Mentre l’India aumenta il suo peso come potenza mondiale, così come il suo ruolo soprattutto da un punto di vista economico e militare, il Pakistan, nonostante le grandi difficoltà economiche, si riconferma come paese chiave per la propria relazione con la Repubblica Popolare Cinese e per il suo ruolo nella stabilizzazione dell’Afghanistan. La posizione dell’Asia del Sud è poi rilevante nello scacchiere dell’Asia Pacifico. Nell’ultimo scorcio temporale i paesi dell’area hanno dovuto affrontare una serie di emergenze collegate ai devastanti effetti del cambiamento climatico, alla polarizzazione demografica nelle megalopoli e alla sicurezza che sono prodromo delle sfide future cui potrebbero essere soggetti anche i paesi occidentali. L’articolo, utilizzando fonti accademiche e statistiche ufficiali, cerca di mettere in luce le strategie regionali di risposta a queste crisi.

Nel discorso di commiato pronunciato il 17 gennaio 1961, il Presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower metteva in guardia la nazione contro il pericolo costituito dall’alleanza informale tra le forze armate, i dipartimenti governativi correlati e l’industria bellica. “Nei consigli di governo, – ammoniva – dobbiamo guardarci dall’acquisizione di un’influenza indebita, ricercata o meno, da parte del complesso militare-industriale. Il potenziale per l’ascesa disastrosa di un potere mal riposto esiste e persisterà”. Lo studioso Alex Roland spiega: “Eisenhower era particolarmente irritato dalla ricerca insensata di nuovi sistemi d’arma, spesso ridondanti, che le forze armate utilizzavano per contendersi ruoli e missioni e per gettare le basi per aumentare i bilanci e i livelli delle forze armate, in modo da adeguarsi alle nuove attrezzature”. Con la fine della Guerra fredda nel 1991 e il lancio della catastrofica “guerra al terrore” all’indomani dell’11 settembre 2001, questa alleanza si è allargata fino ad includere l’entità sionista e i giganti high-tech della Silicon Valley.

Nata nel 2000 grazie all’acquisto di una delle principali catene di distributori di benzina locali, la filiale statunitense di Lukoil ha oggi le sembianze di un fossile aziendale, retaggio di un’epoca in cui la Russia sembrava inevitabilmente destinata ad integrarsi nel sistema occidentale. Quella di Lukoil negli States può essere considerata una storia di resilienza in un contesto di circostanze geopolitiche avverse, ma è anche la riprova di come anche il mondo degli affari non sfugga alle logiche geopolitiche.

L’articolo esprime la convinzione che il concetto di Occidente oggi in voga non abbia alcuna relazione con la tradizione greca, romana e medievale, ma che si basi invece sulla modernità. Questa parodia ideologica è stata denunciata e respinta da pensatori e correnti intellettuali di diversi paesi e continenti nei primi decenni del XX secolo, e ciò ha indotto ogni ecumene culturale a ripensare la propria identità per affrontare i pericoli futuri. Qui ci si concentra sull’eurasiatismo e sul nazionalcontinentalismo sudamericano, perché, oltre alle interessanti analogie, erano consapevoli che l’imposizione della civiltà occidentale era solo un’altra maschera del colonialismo.

La percezione del tempo non è mai neutrale. Nessun popolo è privo della propria grammatica temporale: ogni collettività si concepisce dentro il tempo e per mezzo del tempo, lo trasforma in materia di dominio, lo eleva a strumento di legittimazione, lo plasma come fondamento di creazione e orizzonte di proiezione. Esiste un tempo che avanza, un tempo che ritorna e un altro che si plasma in una sincrasi originaria. L’Impero di mezzo nella ciclicità temporale.

DOCUMENTI

Karl Marx, Zur Judenfrage, “Deutsch Französische Jahrbücher”, Februar 1844; in: Karl Marx –  Friedrich Engels, Werke, Dietz Verlag, Berlin 1976. Vol. I, pp. 371-377.

RECENSIONI E SCHEDE

Pietro Della Valle, Diario di viaggio in Persia (1617-1623) (Filippo Mercuri)

Gabriele Repaci, Siria, crocevia della storia (Luca Baldelli)

Maurizio Rossi, La rivoluzione tedesca (Alceo Torreggiani)

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