Non c’è dubbio che la firma dei due protocolli di intesa fra Turchia e Armenia – avvenuta meno di un mese fa – confermi la vocazione euroasiatica del Paese della Mezzaluna.
Avevamo avuto modo di segnalare un anno fa (3 settembre 2008 : “Caucaso in fiamme : la Turchia per la cooperazione e la stabilità dell’area” ; 29 settembre 2008 : “Turchia e Russia” : un esempio di collaborazione e di buon vicinato in un’area cruciale del mondo” ; entrambi in questo sito) i primi accenni di disgelo lungo un cammino che il ministro degli Esteri di Ankara, Davutoğlu, ha senza perifrasi definito “lungo”. I protocolli riguardano a) l’istituzione di normali relazioni diplomatiche fra i due paesi; b) lo sviluppo delle relazioni bilaterali. L’intesa – o meglio il principio di un’intesa che ci si augura stabile e duratura – è stata particolarmente sostenuta dal Presidente armeno Sarkisian, ma non avrebbe ragionevolmente potuto concretizzarsi senza l’intervento determinante dei russi, e questo in virtù degli ottimi rapporti instauratisi in questi ultimi anni tra Russia e Turchia.
Gli Stati Uniti, attraverso il portavoce del Dipartimento di Stato, hanno espresso il loro apprezzamento per l’accordo, dichiarandosi “pronti a lavorare da vicino”(circostanza questa che non sappiamo quanto Mosca gradisca), ma il loro ruolo nella ricerca di tale accordo non è stato fin qui certamente di primo piano. Inoltre l’ANCA (Armenian National Commitee of America), la potente lobby degli armeni “americani”, si è radicalmente opposta al processo di intesa, che a suo dire minaccia “interessi, diritti, sicurezza e futuro” dell’Armenia – rilanciando nell’occasione il tema dell’asserito genocidio dell’inizio Novecento quale ostacolo alla riconciliazione.
Dicevamo all’inizio della vocazione euroasiatica (ergo : della funzionalità per l’Europa) della Turchia. Oltre che da considerazioni di carattere generale, più volte espresse, la conferma viene dalla politica estera di Ankara, che pur con qualche oscillazione presenta caratteristiche stabili in questa direzione. In particolare la nomina di Ahmet Davutoğlu a ministro degli Esteri (primo maggio 2009)ha segnato un rafforzamento del ruolo di ponte fra Asia ed Europa della Turchia, unito a un vivace attivismo in Africa. “In termini di geografia – così si è espresso Davutoğlu (1) – la Turchia occupa uno spazio unico. Nella vasta massa di terre afro-euroasiatiche essa ha un ruolo centrale, e le sue diversità regionali favoriscono la sua capacità di muovere in diversi scenari internazionali”. E aggiunge : “Il nostro impegno in Cile come in Indonesia, in Africa come nell’Asia centrale, presso la UE come presso la Conferenza degli Stati islamici rientrano in un approccio olistico alla politica estera, destinato a fare della Turchia un attore globale in vista del centenario della repubblica” (2).
Presentata talvolta come “neo – ottomana” (3), la politica estera turca si sta di fatto orientando verso una concezione di pax euroasiatica, contrassegnandosi per la linea di condotta prescelta dall’AKP di Erdoğan : azzerare i problemi con i vicini. E’ venuta così a cadere sia la dimensione nazionalista – una sorta di revanscismo panturanico – ancora caldeggiata da alcuni ambienti militari e politici sia soprattutto il ruolo di “sentinella della Civiltà” assegnato alla Turchia dal mondo occidentale, NATO in testa. La “frontiera del mondo libero” non è più qui, perché Ankara intrattiene consistenti relazioni politiche ed economiche – spesso anche culturali – con la Russia e con l’Iran, con la Siria e con i paesi caucasici; con l’apertura di credito ad Hamas (4) il governo turco ha inoltre sparigliato il gioco convenzionale dei “buoni” e dei “cattivi” sullo scenario probabilmente più caldo e martoriato del pianeta.
In questa prospettiva va considerata l’iniziativa turco – spagnola dell’Alleanza delle Civiltà, che costituisce una credibile alternativa all’ideologia “unipolare” dello “scontro di Civiltà” sostenuta fin dall’inizio degli anni Novanta da Samuel Huntington e declinata da Bernard Lewis come conflitto fra “la nostra eredità giudeocristiana e un vecchio nemico …” (5) : un’ideologia che può assumere strumenti diversi (dall’interventismo militare dei neocons al “We have to persuade” di Tony Blair del 2008) ma che non cambia la sostanza e gli obiettivi della sua azione. Un precedente (1998) tentativo , promosso dall’allora Presidente iraniano Khatami, fallì senza lasciare traccia : si trattava del “Dialogo fra le Civiltà”, travolto dagli avvenimenti dell’Undici Settembre e dalla conseguente “guerra al Terrore”. Ora l’Alleanza delle Civiltà si propone espressamente di favorire “il reciproco rispetto fra fedi religiose e tradizioni”, e i primi due Forum (Spagna 2008 e Turchia 2009) hanno riscosso interesse in molti paesi, indicando una linea di tendenza contraria al predominio a senso unico degli artefici del “Secolo Americano”. Tale politica concorda perfettamente con quella turca dell’azzerare i problemi con i vicini, mantenendo nel contempo un ruolo attivo e da protagonista nella soluzione dei problemi vicino-medio orientali : un ruolo che va a tutto beneficio di un Europa che intendesse finalmente svincolarsi da una concezione americanocentrica del mondo per aprirsi alla realtà di un’Eurasia in costruzione.
Note :
(1) A. Davutoğlu, “Turkey’s New Foreign Policy Vision”, in Insight Turkey, vol. 10, n. 1 (2008), p. 78
(2) Ibidem, p. 96
(3) L’opinionista Ibrahim Kalin significativamente argomenta : “La postmodernità in Turchia assomiglia al suo passato ottomano”, in “Turkey and the MiddleEast : Ideology or Geo-Politics ?”, Private View, n. 13 (2008)
(4) La posizione ufficiale turca è che Hamas non può essere esclusa dal processo di pace; Davutoğlu durante la crisi di Gaza ha personalmente incontrato due volte Khaled Mashal, leader dell’organizzazione in esilio in territorio siriano
(5) B. Lewis, “The Roots of Muslim Rage”, Atlantic Monthly, vol.266 (settembre 1990), p. 60
* Aldo Braccio, geopolitico, esperto di Turchia ed area mediorientale è redattore di Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici (www.eurasia-rivista.rg)
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