Fonte: ripensaremarx
L’Ucraina non ha ancora imparato la lezione e con l’arrivo della stagione invernale ha ricominciato a provocare la Russia sul gas che pretende di acquistare a prezzi “fuori mercato” e con rateizzazioni a lungo termine, contravvenendo così agli accordi già stipulati.
Il presidente Yushchenko, forte del credito morale che raccoglie nella famigerata comunità internazionale, la quale lo ha investito del ruolo di sacerdote filo-occidentale e di garante dei principi liberali nel suo paese ,contro il fantomatico pericolo rappresentato dall’avanzata del modello autoritario russo, cerca di prendere tempo e di ritardare nuovamente i pagamenti verso Gazprom. Putin però, non essendo più disposto ad accettare le furberie ucraine, ha anticipato le mosse dell’avversario e si è rivolto direttamente all’Europa, definitasi più volte la santa protettrice della “democrazia” di Kiev, perché sia essa a mettere mani al portafogli. Il capo di Stato ucraino si sente forte degli appoggi internazionali e della posizione strategica occupata dal suo paese nelle direttrici di transito dei dotti che dalla Russia, attraversando appunto l’Ucraina, raggiungono l’Europa. E si può permettere anche di far pressione sull’UE alla quale – sebbene con tono melodrammatico ed invocando come causa dei problemi nazionali la crisi economica e finanziaria in atto – ha chiesto di saldare, al suo posto, le bollette energetiche in arretrato, pena il fallimento dello Stato.
Ma dietro questo low profile si nasconde la minaccia di una nuova interruzione del flusso del gas a danno dei consumatori europei, come procurato in passato. Già dal 2006 infatti, di fronte all’atteggiamento di Kiev di sottrarsi agli impegni contrattuali, Gazprom si vide costretta a ridurre le quantità che transitavano nei dotti di competenza ucraina, proprio per la misura che il paese si rifiutava di pagare. In tutta risposta, le autorità ucraine sottrassero il gas di passaggio sul loro territorio interrompendo i rifornimenti agli europei, i quali invece i conti li avevano a posto.
Se Yushchenko si sente totalmente al riparo dalle reazioni russe e dai flebili mugugni delle autorità comunitarie è anche perché gode del sostegno statunitense orientato a porre un argine alla potenza russa in recupero di egemonia sui propri vicini prossimi.
Questa volta però, presidenza e governo ucraino non potranno premere troppo sull’acceleratore delle pretestuose accuse di strangolamento economico, più volte lanciate al potente vicino. Yushchenko ha, difatti, già ottenuto dalla Russia un trattamento di favore. Mosca, come segno di distensione delle relazioni tra i due paesi (ne abbiamo parlato in un articolo di qualche mese fa), ha versato in anticipo i diritti di attraversamento dell’area ucraina fino al 2010, rimpinguando le casse dell’ex satellite sovietico di 2,5 mld di dollari.
Evidentemente, questo aiuto non è bastato a risolvere i problemi di liquidità di Kiev che, come messo in evidenza, attraversa una situazione finanziaria a dir poco disastrosa. Tuttavia, rispetto al recente passato, Putin può ora contare su rapporti meno tesi con i partner occidentali, coinvolti, grazie ad una serie di accordi bilaterali, nei nuovi progetti di gasdotti che a breve dovrebbero rifornire l’Europa.
Il riferimento è ovviamente ai progetti South Stream e North Stream, il primo che vede la partecipazione di Italia e Francia ed il secondo quella di Germania e altri paesi nordici. Probabilmente, questa situazione sta indispettendo oltremodo i vertici ucraini che si sentono traditi dopo aver svolto diligentemente il loro utile lavoro di sbirri pro-occidentali per conto di americani ed europei. Purtroppo per Yushchenko il clima geopolitico è profondamente mutato e non spira più quel vento in poppa “da occidente” che aveva fatto viaggiare a vele spiegate le rivoluzioni colorate e con esse i traditori nazionali che fungevano da traghettatori di quegli interessi. L’Europa, questa volta, non potrà fare il doppio gioco richiamando entrambi i disputanti ad un atteggiamento di responsabilità e sarà anzi costretta a pagare quanto richiesto da Putin (probabilmente 1 mld di euro). Quest’ultimo ha avuto l’astuzia di denunciare prima di un’altra possibile crisi la situazione in corso, per non essere così accusato delle eventuali conseguenze che ne deriveranno. In queste condizioni non vale davvero la pena di far deteriorare quei legami positivi che finalmente si sono stretti con la Russia. Tutto ciò ha un senso per l’Europa (politicamente ed economicamente) ma che senso ha, invece, continuare a sostenere regimi inetti come quelli alla Yushchenko che fanno solo danni economici e che procurano problemi politici?
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