L’ennesima ondata di devastanti bombardamenti ha colpito la Striscia di Gaza, ponendo fine al fragile cessate il fuoco che era stato raggiunto il 19 gennaio. Le esplosioni hanno illuminato la notte, devastando interi quartieri e lasciando dietro di sé una scia di distruzione e morte. Si tratta di uno degli attacchi più violenti dall’inizio del conflitto, con oltre 400 morti, tra cui almeno 150 bambini, e centinaia di feriti. Le immagini provenienti dalla Striscia mostrano edifici sventrati, strade trasformate in cumuli di macerie e famiglie intere sterminate sotto i bombardamenti.
Gli aerei da guerra israeliani hanno colpito senza preavviso diverse città della Striscia, tra cui Gaza City, Jabaliya, Beit Hanoun, Nuseirat, Deir el-Balah, Khan Younis e Rafah. Nemmeno la zona umanitaria di al-Mawasi è stata risparmiata, nonostante fosse stata designata da Tel Aviv come rifugio sicuro per i civili. I raid hanno preso di mira scuole-rifugio, tende per sfollati e le case già danneggiate in cui molte famiglie avevano cercato riparo. Tra le testimonianze più drammatiche, quella di Momen Qoreiqeh, un sopravvissuto che ha raccontato ad Al Jazeera di aver recuperato i corpi di 26 membri della sua famiglia, tutti uccisi mentre dormivano.
Nell’ospedale Nasser di Khan Younis, l’unità di terapia intensiva pediatrica si è riempita nelle prime ore della mattina successiva agli attacchi, mentre il direttore dell’ospedale Al-Shifa ha dichiarato che ogni minuto un ferito muore a causa della mancanza di cure e risorse mediche. La sanità palestinese è al collasso dopo quindici mesi di bombardamenti e un assedio che ha bloccato l’ingresso di carburante, medicine e attrezzature essenziali.
Gli abitanti di Gaza, ormai abituati all’orrore, si sono ritrovati a organizzare preghiere funebri negli obitori improvvisati, mentre i feriti venivano adagiati a terra nei corridoi degli ospedali, spesso senza alcuna possibilità di ricevere assistenza. L’UNICEF ha espresso enorme preoccupazione per la sorte dei bambini: oltre un milione di minori vive in condizioni disumane, privati di acqua, cibo e cure mediche adeguate. Human Rights Watch ha denunciato che Israele sta violando il diritto internazionale e ha chiesto ai Paesi occidentali di interrompere la fornitura di armi a Tel Aviv.
Oltre alle bombe, sono ripresi anche gli ordini di evacuazione forzata. Con modalità già viste in precedenza, i comandi israeliani hanno fornito indicazioni poco chiare e spesso contraddittorie su quali zone fossero sicure per la popolazione civile. Intere città, come Beit Hanoun nel nord della Striscia, sono state dichiarate “zone di evacuazione obbligatoria”, costringendo decine di migliaia di persone a mettersi in fuga senza una destinazione certa.
Israele ha inoltre affermato che i bombardamenti sarebbero stati “preventivi” per impedire un’invasione da parte di Hamas simile a quella del 7 ottobre. Tuttavia, Hamas ha smentito categoricamente tali accuse, dichiarando di aver rispettato i termini del cessate il fuoco. Alcune fonti israeliane, citate dalla stampa locale, hanno rivelato che la decisione di attaccare era stata presa giorni prima, mentre i negoziatori israeliani si trovavano ancora a Doha per discutere una possibile proroga della tregua.
Nel frattempo, il governo israeliano ha chiuso il valico di Rafah, impedendo anche le evacuazioni mediche. Durante la tregua, alcune persone gravemente ferite erano riuscite a lasciare Gaza per ricevere cure in Egitto e in altri Paesi, ma con la ripresa dei combattimenti, ogni possibilità di evacuazione è stata interrotta. Israele ha anche ridotto drasticamente il numero di camion umanitari autorizzati a entrare nella Striscia, aggravando ulteriormente la crisi alimentare e sanitaria.
Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha dichiarato che l’operazione militare “non si fermerà in un giorno” e che la guerra continuerà a lungo, senza prendere in considerazione le centinaia di donne, bambini e anziani rimasti uccisi negli ultimi raid. Le sue parole si inseriscono in una strategia che appare sempre più mirata non solo a colpire Hamas, ma a rendere la vita impossibile ai palestinesi di Gaza, costringendoli a una continua diaspora.
Gli analisti sottolineano che il bombardamento non è solo una risposta al presunto rifiuto di Hamas di prolungare la tregua, ma si inserisce in una strategia più ampia di escalation militare voluta dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. La ripresa delle ostilità avviene in un contesto in cui Israele mira a consolidare il proprio controllo sulla regione, mentre Hamas cerca di resistere all’offensiva, accusando Tel Aviv di aver violato gli accordi di cessate il fuoco.
Le organizzazioni internazionali hanno espresso forte preoccupazione per la situazione, definendola una “tragedia umanitaria senza precedenti”. L’ONU ha chiesto un immediato stop ai bombardamenti e l’accesso agli aiuti umanitari, ma la comunità internazionale appare divisa e incapace di imporre una soluzione diplomatica. Intanto, il popolo palestinese continua a subire le conseguenze devastanti di un conflitto che sembra non avere fine.
La ripresa dei bombardamenti
L’esercito israeliano ha confermato di aver condotto “attacchi estesi” contro infrastrutture di Hamas, giustificando l’azione come una risposta preventiva a presunte minacce incombenti. Ma i fatti raccontano una realtà diversa: i raid aerei, durati tutta la notte, hanno colpito senza preavviso quartieri residenziali, scuole, ospedali e rifugi per sfollati. Le famiglie, che già vivevano nella precarietà più assoluta, si sono trovate sotto una pioggia di fuoco che ha cancellato in pochi istanti intere vite.
Fonti militari israeliane hanno riferito che l’offensiva è stata pianificata da giorni e ha ricevuto il via libera dalla dirigenza politica. Il premier Benjamin Netanyahu, in un discorso trasmesso senza domande dai media israeliani, ha dichiarato che “i negoziati con Hamas continueranno sotto il fuoco”, segnalando che l’operazione militare è solo all’inizio. La Casa Bianca, secondo fonti diplomatiche, è stata informata dell’operazione prima che iniziasse. A differenza dell’amministrazione Biden, che in passato ha cercato di mascherare il sostegno a Israele chiedendo pubblicamente “moderazione”, Donald Trump non ha neppure tentato di bilanciare il discorso. L’ex presidente ha sempre mantenuto una posizione esplicita e diretta: Israele ha carta bianca per portare avanti la guerra come meglio crede, senza vincoli e senza alcuna preoccupazione per le vittime civili. Nessun appello alla protezione dei civili, nessuna richiesta di limitare i danni collaterali, nessun interesse per il diritto internazionale. La dottrina di Trump in Medio Oriente si basa su un appoggio incondizionato, privo di quei formalismi diplomatici che in altre amministrazioni hanno almeno tentato di preservare un’apparenza di equità.
Secondo testimoni sul campo, i bombardamenti hanno preso di mira non solo obiettivi militari, ma anche scuole-rifugio e ospedali da campo, aggravando ulteriormente la crisi umanitaria. Le autorità sanitarie locali riferiscono che gli ospedali sono al collasso, con pazienti curati sui pavimenti e una grave carenza di forniture mediche. L’UNICEF ha dichiarato che oltre un milione di bambini si trovano in pericolo immediato, mentre Medici Senza Frontiere ha definito l’attacco “un massacro di civili”.
Le immagini provenienti da Gaza sono di una brutalità disarmante: dottori costretti a scegliere chi salvare, bambini che muoiono per mancanza di cure, ospedali in cui si pratica la chirurgia d’emergenza senza anestesia. La sofferenza è ovunque e il silenzio della comunità internazionale suona come un’assordante complicità.
Il comando militare israeliano ha emesso nuovi ordini di evacuazione, costringendo migliaia di palestinesi a spostarsi in aree già sovraffollate e prive di infrastrutture adeguate. Tuttavia, molte famiglie rimangono intrappolate sotto le macerie, mentre i soccorritori cercano disperatamente di estrarre superstiti con mezzi di fortuna.
Le organizzazioni umanitarie denunciano che la distruzione sistematica di Gaza non ha nulla a che vedere con la “sicurezza” di Israele, ma è piuttosto un’operazione mirata a rendere la vita impossibile ai palestinesi, spingendoli a una lenta e silenziosa pulizia etnica. Gli appelli per il cessate il fuoco cadono nel vuoto mentre i bombardamenti proseguono con ferocia, senza alcuna distinzione tra combattenti e civili.
La comunità internazionale sta osservando con preoccupazione l’evoluzione della situazione, ma le reazioni dei principali attori geopolitici appaiono discordanti. Mentre alcuni paesi occidentali ribadiscono il cosiddetto “diritto di Israele a difendersi”, ignorando il contesto di un’occupazione militare e di una politica repressiva che priva i palestinesi di ogni autodeterminazione, cresce la pressione affinché Tel Aviv garantisca almeno corridoi umanitari per evitare un ulteriore peggioramento della crisi.
Israele mira alla dirigenza civile di Hamas
Oltre all’organizzazione militare, Israele ha deciso di colpire anche i dirigenti civili di Hamas, considerandoli parte integrante della struttura di potere del gruppo. Questo approccio ha portato all’eliminazione di diversi funzionari, tra cui Issam al-Dalis, direttore dei lavori pubblici, Ahmed al-Hatta, sottosegretario del ministero della Giustizia, e Mahmoud Abu Watfa, viceministro degli Interni. L’obiettivo dichiarato è quello di paralizzare la capacità amministrativa di Hamas, distruggendo le istituzioni che forniscono servizi essenziali alla popolazione.
Questa strategia, tuttavia, ha conseguenze che vanno ben oltre la semplice eliminazione di esponenti del governo di Hamas. L’eliminazione della dirigenza civile non solo priva la popolazione di un’amministrazione funzionante, ma lascia spazio al caos e alla frammentazione del potere. Israele spera che la distruzione delle istituzioni di Hamas porti al rafforzamento di fazioni rivali e alla destabilizzazione interna, facilitando così un eventuale controllo indiretto sulla Striscia di Gaza. Tuttavia, questa tattica parte dal presupposto che il collasso amministrativo di Hamas sia un vantaggio per Israele, senza considerare il rischio che l’assenza di un’autorità centrale trasformi Gaza in un territorio senza controllo, con conseguenze imprevedibili.
Secondo diversi analisti, la disgregazione delle strutture di governo di Hamas potrebbe portare alla proliferazione di gruppi armati più radicalizzati e meno inclini a negoziare. La storia recente in contesti simili, come in Iraq, Siria e Libia, dimostra che la distruzione delle istituzioni centrali genera un vuoto di potere riempito da milizie e bande armate, creando un clima di instabilità permanente. Questo scenario rappresenterebbe un rischio anche per Israele, che potrebbe trovarsi a dover affrontare una resistenza frammentata e più imprevedibile rispetto a Hamas, con la conseguente impossibilità di negoziare un cessate il fuoco duraturo.
Tuttavia, nonostante i tentativi di Israele di annientarlo, Hamas ha dimostrato una capacità di resistenza superiore alle aspettative. Il gruppo non solo è sopravvissuto agli attacchi mirati, ma è riuscito a ricostruire la propria infrastruttura amministrativa e militare, mantenendo un saldo controllo sulla Striscia di Gaza.
Negli ultimi mesi, Hamas ha reclutato circa 15.000 nuovi combattenti e ha riorganizzato la sua struttura interna, garantendo la continuità del proprio sistema di governo. Un ruolo cruciale in questa fase è stato svolto da Mohammed Sinwar, fratello minore di Yahya Sinwar, che ha assunto la guida del processo di riorganizzazione e ha consolidato il controllo del gruppo sul territorio. Sotto la sua direzione, Hamas ha intensificato l’attività di reclutamento, attirando nuovi membri e ripristinando parte delle sue capacità operative.
Parallelamente, la componente civile di Hamas ha continuato a funzionare, seppur in condizioni estreme. Gli amministratori del gruppo hanno coordinato lo sgombero delle macerie, supervisionato i convogli di aiuti e ripristinato, seppur parzialmente, servizi essenziali come acqua e sicurezza. Secondo il portavoce di Hamas, Ismāʿīl al-Thawabta, circa 700 poliziotti sono stati impiegati nella protezione dei convogli umanitari, garantendo un minimo di ordine in un territorio devastato dai bombardamenti.
Nonostante la perdita di figure di spicco come Yahya Sinwar e Mohammed Deif, Hamas ha mantenuto una solida organizzazione interna. Le Brigate Ezzedine al-Qassam, il braccio armato del gruppo, hanno dimostrato di essere ancora operative, come testimoniato dai video diffusi dalla Striscia in cui centinaia di miliziani in uniforme vengono accolti con entusiasmo dalla popolazione locale. Questo processo di rigenerazione evidenzia come la strategia israeliana di distruzione totale non abbia prodotto i risultati sperati, ma abbia finito per rafforzare ulteriormente il sostegno alla resistenza palestinese.
Israele vuole lasciare un vuoto di potere nella Striscia di Gaza, ma Hamas ha dimostrato di essere più resistente di quanto si potesse prevedere. La sua capacità di riorganizzarsi, di ricostruire le sue forze e di mantenere un controllo amministrativo sulla popolazione suggerisce che la strategia israeliana potrebbe non solo fallire, ma contribuire a rendere Hamas ancora più radicato nel tessuto sociale e politico della Striscia. In un contesto in cui l’occupazione militare diretta di Gaza appare irrealizzabile, Israele potrebbe trovarsi di fronte a un paradosso: più cerca di distruggere Hamas, più ne rafforza la posizione.
L’impatto umanitario: un massacro senza fine
Le organizzazioni umanitarie parlano di un disastro senza precedenti, aggravato dall’assedio imposto da Israele che impedisce l’ingresso di aiuti fondamentali. Gli ospedali della Striscia sono ormai al collasso: mancano medicinali, anestetici, strumenti chirurgici e persino bende per fermare le emorragie. I medici, costretti a lavorare senza elettricità e con scarsissime risorse, effettuano interventi chirurgici senza anestesia, operando a lume di candela e con strumenti di fortuna. I feriti, molti dei quali bambini con ustioni e fratture multiple, vengono curati sui pavimenti, mentre i corpi si accumulano nelle strade e negli obitori improvvisati.
Nei centri di accoglienza per sfollati la situazione è altrettanto drammatica: le condizioni igienico-sanitarie sono al limite del collasso, con il rischio imminente di epidemie. La mancanza di acqua potabile ha costretto migliaia di famiglie a bere da pozze contaminate, esponendo la popolazione al colera e ad altre malattie infettive. L’UNRWA ha denunciato che i suoi magazzini sono ormai vuoti e che gli aiuti umanitari, bloccati ai valichi di frontiera da Israele, non riescono a raggiungere la popolazione bisognosa.
Le testimonianze dei sopravvissuti sono strazianti: madri che cercano disperatamente i propri figli sotto le macerie, padri che scavano a mani nude per estrarre i corpi senza vita dei loro cari, medici che piangono per la loro impotenza di fronte a una tragedia senza fine. Intere famiglie sono state spazzate via dai bombardamenti notturni, senza neanche il tempo di mettersi in salvo.
Le ONG internazionali hanno avvertito che, se il blocco degli aiuti continuerà, nelle prossime settimane potrebbe verificarsi una catastrofe umanitaria su larga scala, con epidemie e malnutrizione che colpiranno soprattutto i bambini. Amnesty International e Human Rights Watch hanno condannato gli attacchi israeliani, accusando Tel Aviv di crimini di guerra e chiedendo un intervento immediato della comunità internazionale per fermare il massacro.
La popolazione di Gaza, intrappolata in una prigione a cielo aperto, continua a pagare il prezzo più alto di un conflitto che sembra non avere fine. Ogni ora che passa, nuove vittime si aggiungono alla lista dei morti, mentre il mondo osserva, impotente, una delle peggiori tragedie umanitarie del nostro tempo. Il rischio, ormai concreto, è che il tessuto sociale di Gaza venga completamente distrutto, lasciando i palestinesi senza prospettive di futuro e condannandoli a un’esistenza fatta di precarietà, sofferenza e privazioni senza fine.
La piena collaborazione di Trump con Israele
La nuova escalation militare di Israele a Gaza avviene in un contesto geopolitico in cui l’amministrazione Trump si sta rivelando un alleato ancora più risoluto di Tel Aviv. Dopo il ritorno alla Casa Bianca, Trump ha abbandonato ogni ipotesi di mediazione diplomatica con i palestinesi, rafforzando il sostegno incondizionato a Israele. L’attuale offensiva su Gaza si inserisce nel più ampio quadro del conflitto tra Stati Uniti e Houthi nello Yemen, un altro teatro di guerra in cui Washington sta operando direttamente per proteggere gli interessi di Tel Aviv.
La nuova amministrazione statunitense non ha fatto mistero della sua linea aggressiva nel conflitto israelo-palestinese. Donald Trump ha esplicitamente dichiarato che gli Stati Uniti garantiranno “ogni mezzo necessario” affinché Israele possa proseguire la sua operazione su Gaza senza limitazioni. In un post del 6 marzo 2025 su Truth Social, Trump ha scritto: “A tutta la gente di Gaza: un bellissimo futuro vi aspetta, ma non se tratterrete gli ostaggi. Se lo fate, siete MORTI.” Parole che hanno allarmato le organizzazioni per i diritti umani e che evidenziano come l’attuale amministrazione americana abbia scelto di appoggiare apertamente l’azione militare di Israele, senza preoccuparsi delle sue conseguenze devastanti sulla popolazione civile.
Oltre alla retorica bellicista, la Casa Bianca ha fornito un massiccio supporto militare a Israele. Secondo fonti del Pentagono, l’amministrazione Trump ha già autorizzato nuove forniture di armamenti avanzati, tra cui bombe ad alta penetrazione e droni da attacco, che vengono utilizzati nelle incursioni aeree su Gaza. Inoltre, il Congresso, controllato da una maggioranza repubblicana, ha approvato un nuovo pacchetto di aiuti militari da 12 miliardi di dollari per rafforzare le capacità belliche di Israele.
Parallelamente, l’amministrazione statunitense è impegnata nella guerra agli Houthi nello Yemen, un conflitto che è direttamente legato alla situazione di Gaza. Negli ultimi giorni, le forze armate statunitensi hanno lanciato una serie di attacchi su sei province yemenite, colpendo depositi di armi e leader del movimento Houthi. Quest’ultimo, apertamente schierato con la causa palestinese, ha risposto colpendo due volte in 24 ore la portaerei USS Harry S. Truman nel Mar Rosso settentrionale con missili e droni.
L’operazione statunitense, ufficialmente volta a garantire la sicurezza delle rotte commerciali, sembra rispondere anche alla necessità di eliminare un potenziale ostacolo agli obiettivi strategici israeliani. Il leader degli Houthi, Abdul Malik al-Houthi, ha accusato gli Stati Uniti di proteggere Israele e ha ribadito il sostegno del suo gruppo alla resistenza palestinese. Il blocco navale imposto dagli Stati Uniti alle coste yemenite, inoltre, sta compromettendo ulteriormente l’ingresso di aiuti umanitari diretti a Gaza, creando un effetto domino sulla crisi umanitaria in corso.
A livello politico, il segretario di Stato Marco Rubio ha accusato l’Iran di orchestrare gli attacchi degli Houthi e ha minacciato nuove sanzioni contro Teheran. Questo approccio serve a rafforzare l’asse Washington-Tel Aviv e a giustificare un’eventuale escalation che potrebbe coinvolgere direttamente l’Iran. Israele, infatti, potrebbe sfruttare il conflitto yemenita per spingere gli Stati Uniti verso una linea ancora più aggressiva contro l’Iran, eliminando un attore regionale che sostiene Hamas e Hezbollah.
Con la piena copertura di Washington, Israele può ora intensificare le operazioni a Gaza senza alcuna pressione diplomatica per il cessate il fuoco. La Casa Bianca ha ribadito che non esiste alcuna “linea rossa” per Israele, dando via libera a Netanyahu per proseguire con la distruzione sistematica delle infrastrutture palestinesi. Gli analisti avvertono che questa dinamica potrebbe avere conseguenze devastanti per la stabilità dell’intero Medio Oriente, aprendo nuovi fronti di conflitto e aumentando il rischio di una guerra su scala regionale.
Questa nuova fase del conflitto dimostra come il sostegno dell’amministrazione Trump offra a Israele una copertura totale per intensificare le operazioni militari a Gaza e nella regione. Senza pressioni internazionali concrete, il rischio è che la guerra si espanda ulteriormente, con conseguenze catastrofiche per tutta l’area mediorientale.
Ridefinire il Medio Oriente: obiettivi strategici e nuovi assetti di potere
La ripresa delle ostilità a Gaza non è solo una fase temporanea del conflitto, ma si inserisce in una strategia a lungo termine che Israele persegue con il sostegno della nuova amministrazione Trump. Netanyahu, consapevole della finestra di opportunità offerta dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, ha intensificato le operazioni militari nella convinzione che gli Stati Uniti non porranno alcun limite alla sua espansione militare e politica nella regione.
Israele mira non solo a distruggere Hamas, ma a ridefinire completamente gli equilibri del Medio Oriente. La strategia di Netanyahu si basa su diversi obiettivi: da un lato, rafforzare il controllo sulla Cisgiordania, espandendo gli insediamenti illegali e consolidando la presa su Gerusalemme Est; dall’altro, sfruttare il caos a Gaza per favorire una nuova configurazione del potere palestinese, riducendo Hamas a un attore marginale o eliminandolo del tutto. Questo scenario prevede il coinvolgimento di potenze regionali come l’Arabia Saudita e l’Egitto, che potrebbero essere spinte ad accettare un ruolo nella gestione post-bellica della Striscia.
L’amministrazione Trump, dal canto suo, non si limita a sostenere Israele a livello diplomatico, ma ha rafforzato in modo significativo l’apparato militare israeliano, fornendo nuove armi e intelligence avanzata per garantire il successo dell’operazione. Trump ha inoltre rilanciato la sua visione di una “pace” in Medio Oriente basata sulla totale subordinazione dei palestinesi e sulla normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni Stati arabi, senza però affrontare le radici del conflitto.
Lo scenario geopolitico si complica ulteriormente con l’escalation della guerra tra Stati Uniti e Houthi nello Yemen, che rischia di trasformarsi in un fronte parallelo del conflitto israelo-palestinese. Washington ha già colpito postazioni Houthi con raid aerei, mentre Teheran osserva con attenzione l’evolversi della situazione. L’Iran, principale sostenitore di Hamas e Hezbollah, potrebbe decidere di intensificare il suo sostegno ai gruppi armati della regione, aprendo nuovi fronti di instabilità.
Alla luce di questi sviluppi, il conflitto a Gaza appare sempre più come un tassello di un quadro più ampio, in cui Israele non solo persegue la distruzione della resistenza palestinese, ma cerca di ridefinire gli equilibri di potere in tutto il Medio Oriente con la copertura diplomatica e militare degli Stati Uniti. Mentre i governi occidentali continuano a ribadire il diritto di Israele a “difendersi”, la popolazione palestinese resta intrappolata in una guerra che mira non solo a colpire Hamas, ma a cancellare qualsiasi possibilità di autodeterminazione per il popolo palestinese.
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