Traduzione di Maria Serra
Il goffo attacco di Israele contro la flottiglia di aiuti umanitari a Gaza lo scorso 31 maggio è l’ultimo segnale che Israele riversa in un disastroso corso che sembra incapace di cambiare. L’attacco, tra l’altro, mette in luce la misura in cui Israele è diventato un peso strategico per gli Stati Uniti. Questa situazione è probabile che peggiori ulteriormente, causando grossi problemi per gli americani che hanno un profondo legame con lo Stato ebraico.
Il confusionario assalto alla Mavi Marmara, la nave capitana della flottiglia, mostra ancora una volta che Israele è dipendente dall’uso della forza militare ma incapace di farlo in maniera incisiva. Si potrebbe pensare che le Forze di Difesa di Israele (IDF) potrebbero migliorare nel tempo con la pratica. Invece, è diventata una banda che non riesce a centrare il bersaglio.
L’IDF ha riportato l’ultima vittoria significativa nella Guerra dei Sei giorni nel 1967; da quel momento in poi è stato una litania di campagne senza successo. La Guerra di Attrito (1969-70) fu al meglio una ritirata ed Israele cadde vittima di uno dei più grandi attacchi a sorpresa della storia militare nella Guerra di Ottobre del 1973. Nel 1982, l’IDF invase il Libano e rimase coinvolta in una prolungata e sanguinosa guerra con Hezbollah. Diciotto anni più tardi, Israele ammise la sconfitta e si tirò fuori dal pantano libanese. Israele ha cercato di dominare con la forza la Prima Intifada alla fine degli anni Ottanta, con il Ministro della Difesa Yitzhak Rabin che diceva alle sue truppe di spaccare le ossa ai dimostratori palestinesi. Ma quella strategia fallì e Israele fu costretto ad aderire, invece, al Processo di Pace di Oslo, che fu un altrettanto esperimento fallito.
L’IDF non è diventato più competente negli ultimi anni. Secondo quasi tutti i responsabili – compresa la Commissione d’inchiesta dello stesso Governo israeliano – esso si è comportato assai duramente nella Guerra in Libano del 2006. L’IDF ha successivamente lanciato una nuova campagna contro la popolazione di Gaza nel dicembre 2008, in parte al fine di “ricostruire la deterrenza di Israele” ma anche per indebolire o far cadere Hamas. Nonostante l’IDF fosse così forte da prendere a pugni Gaza come voleva, Hamas è sopravissuto ed Israele è stato ampiamente condannato per la distruzione e l’uccisione della popolazione civile di Gaza. Infatti, il Goldstone Report, scritto sotto gli auspici delle Nazioni Unite, ha imputato a Israele i crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità. All’inizio di quest’anno il Mossad ha assassinato un leader di Hamas a Dubai, ma gli assassini sono stati visti nelle telecamere di sicurezza e sono stati trovati ad utilizzare passaporti falsi da Australia e altri Paesi europei. Il risultato è stato un imbarazzante contenzioso diplomatico, con Australia, Irlanda e Gran Bretagna che hanno espulso un diplomatico israeliano.
Dati questi presupposti, non sorprende che l’IDF abbia gestito male l’operazione contro la flottiglia di Gaza, nonostante le molte settimane per pianificarlo. Le forze di assalto che sono salite sulla Mavi Marmara non erano preparate per una dura resistenza e hanno risposto sparando a nove attivisti, alcuni a bruciapelo. Nessuno degli attivisti aveva delle proprie armi. La sanguinosa operazione è stata condannata in tutto il mondo, eccetto negli Stati Uniti, naturalmente. Anche all’interno di Israele l’IDF è stato da più parti criticato per quest’ultimo fallimento.
Queste operazioni mal concepite hanno conseguenze dannose per Israele. I fallimenti lasciano gli avversari integri e porta i leader israeliani a temere che la loro reputazione di deterrenza sia compromessa. Per ovviare a ciò, l’IDF è lasciato ancora libero di agire, ma il risultato è solitamente un’altra disavventura, la quale dà ad Israele nuovi incentivi per farlo ancora, e così via. Questa logica a spirale, accoppiata con l’ostinata voglia di ricorrere alla forza militare, aiuta a spiegare perché la stampa israeliana quotidianamente pubblica articoli che pronosticano i futuri scenari di guerra.
La recente debacle di Israele ha inoltre danneggiato la sua reputazione internazionale. Gli intervistati di un sondaggio di opinione del 2010 fatto dalla BBC, ha rilevato che Israele, Iran e Pakistan hanno avuto la più negativa influenza nel mondo; persino la Corea del Nord è classificata meglio. Più preoccupante per Israele è il fatto che la sua vecchia stretta e strategica relazione con la Turchia è stata compromessa dalla Guerra di Gaza del 2008-2009 e specialmente dall’assalto alla Mavi Marmara, una nave turca piena di cittadini turchi. Ma sicuramente lo sviluppo più problematico per Israele è il crescente coro di voci negli Stati Uniti che afferma che il comportamento di Israele è minaccioso per gli interessi americani nel mondo, fino ad includere l’incolumità dei suoi soldati. Se questo sentimento crescesse potrebbe seriamente nuocere alle relazioni di Israele con gli Stati Uniti.
Vita come Stato di Apartheid
La tragedia della flottiglia mette in luce un altro aspetto in cui Israele è in forte difficoltà. La risposta di Israele mette in risalto come i suoi leader non siano interessati a permettere che i palestinesi abbiano un fattibile Stato in Gaza e Cisgiordania, ma come invece siano inclini a creare un “Grande Israele” in cui i palestinesi sono confinati ad una manciata di povere enclave.
Israele insiste nel dire che il suo blocco è solamente volto a mantenere le armi fuori da Gaza. Difficilmente qualcuno potrebbe criticare Israele se ciò fosse vero, ma non lo è. Il reale scopo del blocco è punire la popolazione di Gaza per il fatto di supportare Hamas e di resistere allo sforzo di Israele di mantenere Gaza come una gigante prigione a cielo aperto. Certamente questa situazione era più evidente prima della debacle della Mavi Marmara. Quando è iniziato il blocco nel 2006, Dov Weissglass – uno stretto collaboratore del Primo Ministro Ariel Sharon ed Ehud Olmert – disse “L’idea è di mettere i palestinesi a dieta, non farli morire di fame”. E l’attacco a Gaza 18 mesi fa era rivolto a punire gli abitanti di Gaza, non a rinforzare l’embargo sulle armi. Le navi della flottiglia stavano trasportando aiuti umanitari, non armi per Hamas, e la buona volontà di Israele di utilizzare brutalmente la forza per impedire che un convoglio di aiuti umanitari raggiungesse Gaza rende abbondantemente chiaro che Israele vuole umiliare e sottomettere i palestinesi, non vivere gli uni accanto agli altri in Stati separati.
La punizione collettiva dei palestinesi di Gaza è improbabile che finisca in tempi brevi. I leader israeliani hanno dimostrato poco interesse a togliere il blocco o a trattare sinceramente. La triste realtà è che Israele ha brutalizzato i palestinesi per così tanto tempo che è quasi impossibile rompere l’abitudine. Non c’è da stupirsi che Jimmy Carter l’anno scorso abbia detto “le popolazioni della Palestina sono trattate più come animali che come esseri umani”. Lo sono e lo saranno per il prossimo futuro.
Di conseguenza non ci sarà una soluzione a due Stati. Al contrario, Gaza e la Cisgiordania entreranno a far parte del “Grande Israele”, che sarà uno Stato di apartheid con una marcata somiglianza con i “bianchi” del Sud Africa. Gli israeliani e i loro sostenitori americani invariabilmente si prestano a questo confronto, ma questo è il loro futuro se creano il Grande Israele mentre negano i pieni diritti politici ad una popolazione araba che sarà presto numericamente superiore alla popolazione ebrea nel complesso del Paese. Infatti, due ex Primi Ministri israeliani – Ehud Olmert ed Ehud Barak – hanno sostenuto questa tesi. Olmert si è spinto a sostenere che “appena questo accadrà, lo Stato di Israele è finito”.
Ha ragione, perché Israele non è capace di mantenere se stesso come uno Stato di apartheid. Come il Sud Africa razzista, esso eventualmente si evolverà in uno stato democratico bi-nazionale in cui la politica sarà dominata dai palestinesi più numerosi. Ma questo processo richiederà molti anni, e durante questo tempo Israele continuerà ad opprimere i palestinesi. La sua azione sarà vista e condannata da un crescente numero di persone e da sempre più governi nel mondo. Israele sta distruggendo inconsapevolmente il proprio futuro come Stato ebraico e fa ciò con il tacito appoggio degli Stati Uniti.
L’albatros dell’America
La combinazione dell’incompetenza strategica di Israele con la sua graduale trasformazione in uno Stato di apartheid crea significativi problemi per gli Stati Uniti. C’è un progressivo riconoscimento nei due Paesi che i loro interessi sono divergenti; infatti, questa prospettiva sta raccogliendo consenso all’interno anche della comunità ebraica americana. Jewish Week, per esempio, recentemente ha pubblicato un articolo intitolato “Il blocco di Gaza: cosa fare quando gli interessi americani e israeliani non sono in sincronia?”. I leader di entrambi i Paesi stanno ora dicendo che la politica israeliana nei confronti dei palestinesi sta minando la sicurezza degli Stati Uniti. Il Vice Presidente Biden e il Generale David Petraeus, capo del Comando Centrale, sono di questa idea, e il capo del Mossad, Meir Dagan, ha detto alla Knesset in giugno “Israele si sta gradualmente trasformando da un punto di forza degli Stati Uniti ad un impiccio”.
È facile capire perché. Poiché gli Stati Uniti offrono tanto supporto ad Israele e i politici americani quotidianamente sbandierano la loro “relazione speciale”, la gente nel mondo naturalmente associa gli Stati Uniti con le azioni di Israele. Sfortunatamente questo fa si che un enorme numero di persone nel mondo arabo e islamico sia furioso con gli Stati Uniti per il supporto ai trattamenti crudeli rivolti ai palestinesi da parte di Israele. Tale rabbia, a sua volta, alimenta il terrorismo contro l’America. Si tenga presente che la Relazione della Commissione sull’11 settembre, che descrive Khalid Sheik Muhammad come il “principale architetto degli attacchi dell’11 settembre”, conclude che il suo “risentimento nei confronti degli Stati Uniti ha origine non dalle sue esperienze lì come studente, ma piuttosto dal suo violento disaccordo con la politica estera degli USA favorevole ad Israele”. L’ostilità di Osama Bin Laden nei confronti degli Stati Uniti è stata alimentata in parte da questo stesso concetto.
La rabbia popolare verso gli Stati Uniti minaccia anche i sovrani di Egitto, Giordania e Arabia Saudita, alleati chiave americani che sono molto spesso visti come lacchè dell’America. Il collasso di uno di questi regimi sarebbe un gran colpo per la posizione degli USA nella regione; comunque, il rigido supporto di Washington ad Israele rende questi governi più deboli, non più forti. Soprattutto la rottura del rapporto di Israele con Ankara sicuramente danneggerà la stretta relazione dell’America con la Turchia, uno Stato membro della NATO e un alleato chiave degli Stati Uniti in Europa e nel Medio Oriente.
Infine, c’è il pericolo che Israele possa attaccare gli impianti nucleari dell’Iran, cosa che potrebbe avere terribili conseguenze per gli Stati Uniti. L’ultima cosa di cui l’America ha bisogno è un’altra guerra con un Paese islamico, specialmente con uno che potrebbe interferire nella sua attuale guerra in Afghanistan e Iraq. Questo è il motivo per cui il Pentagono si oppone fortemente ad un attacco all’Iran, sia esso con le forze di Israele o degli Stati Uniti. Ma Netanyahu potrebbe farlo ugualmente se dovesse ritenere che ciò sia un bene per Israele, anche se fosse un male per gli Stati Uniti.
Giorni bui davanti alla Lobby
Il problematico percorso di Israele sta causando, inoltre, grandi grattacapi per i suoi sostenitori americani. Innanzitutto c’è la questione se scegliere fra Israele o gli Stati Uniti. Ciò si riferisce talvolta alla questione della doppia fedeltà, ma questo termine è improprio. Agli americani è permesso avere la doppia cittadinanza – e, in effetti, una doppia fedeltà – e questo non è un problema fintanto che gli interessi dell’altro Paese sono in sintonia con gli interessi dell’America. Per decenni i sostenitori di Israele hanno cercato di dar forma ad un discorso pubblico negli Stati Uniti in modo che la maggioranza degli americani credesse che gli interessi dei due Paesi fossero identici. La situazione sta cambiando tuttavia. Non solo c’è tuttora un dibattito sul contrasto d’interessi, ma le persone ben informate si stanno apertamente chiedendo se le azioni di Israele siano dannose per la sicurezza degli USA.
La lobby si è sforzata di smontare questo nuovo discorso, o riaffermando l’argomento standard che gli interessi di Israele corrispondono a quelli dell’America, o sostenendo che Israele – per citare una recente espressione di Mortimer Zuckerman, una figura chiave della lobby – “è stato un alleato che ha pagato dividendi superiori ai suoi costi”. Un approccio più sofisticato, che si riflette in una lettera sponsorizzata dall’AIPAC che 337 membri del Congresso hanno inviato nel mese di marzo al Segretario di Stato Hillary Clinton, riconosce che ci saranno differenze fra i due Paesi, ma argomenta che “queste differenze sono tranquillamente risolvibili, con fiducia e sicurezza”. In altre parole mantenere le differenze a porte chiuse e lontano dall’opinione pubblica americana. È troppo tardi, però, per placare il dibattito pubblico sulla questione se le azioni di Israele stanno nuocendo agli interessi degli USA. Infatti, è destinato a crescere più forte e più controverso nel tempo.
Questo cambiamento di discorso crea un problema poco allettante per i sostenitori di Israele, perché essi dovranno stare al fianco o di Israele o degli Stati Uniti quando gli interessi dei due Paesi si scontreranno. Finora la maggior parte delle persone chiave e le istituzioni nella lobby hanno appoggiato Israele quando c’è stata una controversia. Per esempio, il Presidente Obama e il Primo Ministro Netanyahu hanno avuto due grandi diverbi pubblici sugli insediamenti. In entrambi i casi la lobby si è schierata con Netanyahu e lo ha sostenuto nel contrastare Obama. Sembra chiaro che persone come Abraham Foxman, capo dell’Anti-Defamation League, e organizzazioni come l’AIPAC sono principalmente preoccupati più degli interessi di Israele che non dell’America.
Questa situazione è molto pericolosa per la lobby. Il vero problema non è la doppia fedeltà quanto la scelta fra le due fedeltà e, infine, anteporre gli interessi di Israele a quelli dell’America. L’impegno della lobby nella difesa di Israele, che a volte significa confondere gli interessi degli USA, è destinato a diventare più evidente agli americani in futuro e potrebbe condurre ad un’azione violenta nei confronti dei sostenitori di Israele, nonché verso Israele stesso.
La lobby si trova davanti ad un’altra sfida: difendere uno Stato di apartheid in un Occidente liberale non sarà cosa facile. Una volta riconosciuto che la soluzione per la formazione di due Stati non ha futuro, ed Israele sarà diventato come il Sud Africa dei bianchi – e questo giorno non è lontano –, il sostegno per Israele all’interno della comunità ebraica americana rischierà di diminuire in modo significativo. La ragione principale è che l’apartheid è un sistema politico spregevole che è fondamentalmente in contrasto con i valori di base americani così come con i valori di fondo ebraici. Sicuramente ci sarà qualche ebreo che difenderà Israele a prescindere dal sistema politico che ha. Ma il loro numero si ridurrà nel tempo, in larga parte perché un sondaggio rileva che i giovani ebrei americani sentono meno attaccamento ad Israele rispetto ai loro genitori, cosa che li rende meno inclini a difendere ciecamente Israele.
Il motivo di fondo è che Israele non sarà capace di mantenersi come uno Stato di apartheid troppo a lungo poiché non sarà in grado di dipendere dalla comunità ebraica americana per difendere questo ordine politico riprovevole.
Suicidio assistito
Israele ha davanti a sé un futuro tetro, eppure non c’è ragione di pensare che cambierà corso abbastanza presto. Il centro di gravità politico in Israele si è spostato bruscamente a destra e non vi è un considerevole partito politico o movimento a favore della pace. Inoltre Israele rimane fermamente convinto che ciò che non può essere risolto con la forza può essere risolto con ancora più forza e molti israeliani vedono i palestinesi con disprezzo, se non con odio. Né i palestinesi né gli immediati vicini di Israele sono abbastanza potenti da dissuaderlo e la lobby resterà abbastanza influente per i prossimi dieci anni nel proteggere Israele dalla significativa pressione degli Stati Uniti.
Sorprendentemente la lobby sta aiutando Israele a suicidarsi e contemporaneamente danneggia gravemente gli interessi di sicurezza americani. Voci impegnate contro questa tragica situazione sono leggermente aumentate negli ultimi anni, ma la maggior parte dei commentatori politici, e praticamente tutti i politici americani, sembrano beatamente ignorare dove si andrà a finire, oppure non sono disposti a rischiare le loro carriere parlando apertamente.
John J. Mearsheimer è Professore di Scienza Politica all’Università di Chicago e coautore di The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy.
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