Un celebre romanzo distopico[1] apparso nel secondo anno della “guerra fredda” presenta lo scenario fantastorico di tre superpotenze continentali governate da altrettanti sistemi politici totalitari: l’Oceania, l’Estasia e l’Eurasia. Quest’ultima, sottoposta ad un regime neobolscevico, comprende il grande spazio territoriale che si estende dall’Europa occidentale e mediterranea fino allo Stretto di Bering. È questa l’immagine dell’Eurasia modellata da un delatore al servizio del Dipartimento di Ricerca d’Informazione (IRD) del Foreign Office britannico, un “poliziotto coloniale”[2] prestato alla letteratura, che si ispirava in maniera plateale agli schemi della propaganda antinazista ed antisovietica[3].
In realtà il nome Eurasia circolava da tempo in ambito scientifico: usato dal geologo austriaco Eduard Suess (1831-1914) nell’opera Das Antlitz der Erde[4], era stato coniato dal matematico e geografo tedesco Carl Gustav Reuschle (1812-1875) in un Handbuch der Geographie[5] per indicare il continente che unisce l’Asia e l’Europa in modo inscindibile. Infatti il termine continente (dal latino continēre, “tenere insieme, mantenere unito”) indica propriamente una massa compatta di terre emerse circondata dalle acque oceaniche e marittime, sicché esso non può designare né l’Europa né l’Asia, ma solo il complesso continentale di cui Europa ed Asia sono le parti costitutive. Qualora invece, ignorando il criterio geografico su cui si fonda la nozione di continente, si volesse tracciare una linea convenzionale tra l’Europa e l’Asia, si sarebbe costretti ad assumere come linea di demarcazione gli Urali, una catena montuosa che non raggiunge neanche i 2.000 metri di altezza (la cima più elevata, la Narodnaja, arriva a 1.895 metri sul livello del mare). Occorrerà poi far proseguire questa linea divisoria lungo il fiume Ural e lungo la costa nordoccidentale del Mar Caspio; ma qui cominceranno i problemi e le divergenze, perché secondo alcuni il confine tra i due presunti continenti europeo ed asiatico sarebbe costituito dallo spartiacque caucasico, secondo altri dalla depressione del Kuma-Manyč a nord del Caucaso.
Tutto ciò non fa che porre in evidenza il carattere unitario della realtà geografica di cui l’Asia e l’Europa sono parte. E che tale carattere unitario non riguardasse esclusivamente la geografia fisica dovettero già pensarlo i Greci, poiché tra l’VIII e il VII secolo a.C. la Teogonia esiodea menzionava Europa ed Asia come due sorelle, figlie di Oceano e di Teti, appartenenti alla “sacra stirpe di figlie [θυγατέρων ἱερὸν γένος] che sulla terra / allevano gli uomini fino alla giovinezza, insieme col Signore Apollo / e coi Fiumi: questa sorte esse hanno da Zeus”[6]; ed anche Eschilo, che pure aveva combattuto contro i Persiani a Maratona (e probabilmente anche a Salamina), parlava della Grecia e della Persia – rappresentative dell’Europa e dell’Asia – come di “due sorelle di sangue di una medesima stirpe [ϰασιγνήτα γένους ταὐτοῦ]”[7].
Ma veniamo a tempi più recenti. L’orientalista, esploratore e storico delle religioni Giuseppe Tucci (1894-1984), che condusse diverse spedizioni archeologiche in Tibet, India, Afghanistan ed Iran e nel 1933 fondò con Giovanni Gentile l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, ancora poco prima di morire insisteva sulla necessità di una concezione che non considerasse più l’Asia e l’Europa contrapposte l’una all’altra, ma le vedesse come due realtà complementari ed inseparabili. Ad una sorta di unità culturale eurasiatica egli si richiamava infatti nel suo ultimo intervento pubblico, un’intervista apparsa il 20 ottobre 1983 sulla “Stampa” di Torino. “Io – dichiarò in quell’occasione lo studioso – non parlo mai di Europa e di Asia, ma di Eurasia. Non c’è avvenimento che si verifichi in Cina o in India che non influenzi noi, o viceversa, e così è sempre stato”. Dichiarazioni di questo genere non sono rare nell’opera di Tucci. Nel 1977 egli aveva accusato come grave l’errore che si commette allorché si considerano l’Asia e l’Europa due continenti distinti l’uno dall’altro, poiché, a suo parere, “si deve parlare di un unico continente, l’eurasiatico: così congiunto nelle sue parti che non è avvenimento di rilievo nell’una che non abbia avuto il suo riflesso nell’altra”[8]. Prima ancora, nel 1971, commemorando in Campidoglio Ciro il Grande, fondatore dell’Impero persiano, Tucci aveva detto che “Asia ed Europa sono un tutto unico, solidale per migrazioni di popoli, vicende di conquiste, avventure di commerci, in una complicità storica che soltanto gli inesperti o gli incolti, i quali pensano tutto il mondo concluso nell’Europa, si ostinano ad ignorare”[9].
Un altro grande studioso novecentesco, lo storico delle religioni Mircea Eliade (1907-1986), in tutta la sua produzione scientifica ha documentato quella che egli stesso definisce “l’unità fondamentale non solo dell’Europa, ma di tutta l’ecumene che si estende dal Portogallo alla Cina e dalla Scandinavia a Ceylan”[10]. Nel pieno della “guerra fredda”, quando risiedeva da esule in Francia, al di qua della “cortina di ferro” che lo separava dal suo paese d’origine, Eliade si rifiutava di concepire l’Europa nei termini ristretti che ad essa avrebbero voluto imporre i difensori della cosiddetta “civiltà occidentale”. Egli infatti respingeva con tono sarcastico la concezione occidentalista scrivendo testualmente: “Ci sono ancora degli onesti occidentali per i quali l’Europa finisce sul Reno o tutt’al più a Vienna. La loro geografia è essenzialmente sentimentale: costoro sono arrivati a Vienna in viaggio di nozze. Più in là, c’è un mondo estraneo, forse affascinante, ma incerto: questi puristi sarebbero tentati di scoprire, sotto la pelle del Russo, quel famoso Tartaro di cui hanno sentito parlare a scuola; quanto ai Balcanici, è con loro che comincia quel confuso oceano etnico dei nativi che si prolunga fino alla Malesia”[11]. Dal suo studio dell’etnografia romena, la quale si inserisce in un contesto areale che travalica ampiamente i Carpazi e il corso del Danubio, Eliade ricavò la convinzione che l’Europa sudorientale costituisce il “vero punto cardine dei legami stratificati tra Europa mediterranea ed Estremo Oriente”[12]. Nel rigoglioso patrimonio folclorico romeno, infatti, Eliade individuò diversi elementi che rinviano a temi mitici e rituali presenti in vari luoghi del continente eurasiatico. Per esempio, sottoponendo ad un’analisi comparativa una delle più celebri ballate popolari romene, quella di Mastro Manole, lo studioso illuminò con un fascio di luce su tutta una serie di analogie che si intrecciano in un’area compresa tra l’Inghilterra e il Giappone. Egli infatti constatò che il tema del sacrificio umano necessario a portare a termine una costruzione non è attestato soltanto in Europa (“in Scandinavia e presso i Finni e gli Estoni, presso i Russi e gli Ucraini, presso i Germani, in Francia, in Inghilterra, in Spagna”[13]), ma la sua area di diffusione comprende anche la Cina, il Siam, il Giappone, il Punjab. Infine, Eliade mostrò che diversi fenomeni indagati nei suoi studi, come ad esempio l’alchimia o lo sciamanesimo, si trovano diffusi su una vasta area del continente eurasiatico, talvolta fino alle estreme regioni periferiche di esso.
Oltre a Tucci e ad Eliade è possibile menzionare un altro studioso, Franz Altheim (1998-1986), il quale inquadrò le incisioni della Val Camonica in quello che egli chiamava “il mondo cavalleresco euroasiatico”[14] e, considerando i processi storici che segnarono il passaggio dall’età antica a quella medioevale, invitò a spingere lo sguardo oltre le frontiere dell’Impero romano. Richiamando espressamente la prospettiva storiografica di Polibio, che abbraccia l’ecumene unificata politicamente da Roma – “tutto lo spazio compreso tra le Colonne d’Ercole e le porte dell’India o le steppe dell’Asia centrale”[15] –, Altheim indicò alla storiografia l’esigenza di tener conto della sostanziale unità del continente eurasiatico. Particolare attenzione egli diede alla Völkerwanderung degli Unni, protagonisti di una cavalcata transeurasiatica che dalle sponde del Lago Baikal, a nord della Mongolia, li portò ai Campi Catalaunici, nella Francia settentrionale. Se in Asia gli Unni condizionarono per secoli il destino dell’Impero di Mezzo, in Europa – fa notare Altheim – essi aprirono la strada alle invasioni e all’insediamento di tutta una serie di popoli affini: Avari, Bulgari, Cazàri, Cumani, Peceneghi, Ungari, sicché – scrive lo studioso nel suo libro su Attila e gli Unni – “il coronamento fu l’avanzata dei Mongoli”[16]. All’interesse per la figura di Attila, il condottiero d’origine centroasiatica che fondò un impero in Europa, Altheim unì quello per Alessandro Magno, che portò la civiltà greca fino all’Indo, al Syr-Darya, ad Assuan ed al golfo di Aden, inaugurando una nuova fase nella storia dell’Eurasia.
Gli eurasiatisti degli anni Venti
L’idea di Eurasia che emerge dall’opera di studiosi quali Giuseppe Tucci, Mircea Eliade e Franz Altheim[17] è molto diversa da quella che ispira il cosiddetto eurasismo o eurasiatismo[18] “classico”, il quale è caratterizzato da una radicale avversione per la cultura europea, identificata come “romanogermanica”[19].
L’eurasiatismo “classico”[20] è rappresentato da un gruppo di intellettuali russi emigrati dopo la sconfitta delle armate bianche ed attivi negli anni Venti del secolo scorso, tra i quali occorre citare i più eminenti: il principe Nikolaj S. Trubeckoj (1890-1938), famoso in ambito linguistico per aver elaborato, con gli altri studiosi del Circolo di Praga, la cosiddetta “nuova fonologia”[21], lo storico Georgij V. Vernadskij (1887-1973), il geografo ed economista Pëtr N. Savickij (1895-1965), il musicologo Pëtr P. Suvčinskij (1892-1985) e il teologo Georgij V. Florovskij (1893-1973). In quello che è considerato il “manifesto” del movimento, ossia nella raccolta di saggi intitolata Ischod k Vostoku [“Via d’uscita ad Oriente”] e pubblicata a Sofia nel 1921 da una casa editrice russo-bulgara[22], gli eurasiatisti “classici” esprimevano l’idea fondamentale secondo cui i popoli della Russia e delle regioni ad essa adiacenti in Europa ed in Asia formano una unità naturale, in quanto sono legati tra loro da affinità storiche e culturali. Fondata non solo sull’eredità bizantina, ma anche sulla conquista mongola e dunque identificabile come “eurasiatica”, secondo gli autori di Ischod k Vostoku l’identità culturale russa era stata negata sia dalle riforme di Pietro il Grande e dalla classe politica che aveva in seguito governato la Russia, sia dalla corrente slavofila, da loro accusata di voler imitare l’Europa. Quanto alla Rivoluzione bolscevica, benché la valutassero negativamente, nondimeno gli “eurasiatisti” di Sofia si proponevano di studiarne il significato nel contesto della storia russa; Savickij, in particolare, vedeva sì nella Rivoluzione d’Ottobre uno sviluppo di quella borghese dell’Ottantanove, ma d’altra parte osservava che essa spostava verso Oriente l’asse della storia universale.
In un saggio del 1925 intitolato Nasledie Čingis Chana [“L’eredità di Gengis Khan”] Trubeckoj intendeva porre in evidenza lo stretto rapporto esistente fra l’autentica cultura russa e l’elemento turco-mongolo, riportandosi ad un preciso evento storico: l’unificazione dello spazio eurasiatico ad opera di Gengis Khan e dei suoi successori. “L’Eurasia – scriveva Trubeckoj – costituisce un tutto unitario sotto il profilo sia geografico sia antropologico. (…) Sicché, in virtù della sua stessa natura, essa è destinata storicamente a costituire un’unica entità statuale. Fin dagli inizi l’unificazione dell’Eurasia si è dimostrata storicamente inevitabile, e la stessa geografia ha indicato i mezzi del suo conseguimento”[23].
È evidente che col nome di Eurasia Trubeckoj e gli altri “eurasiatisti” degli anni Venti non intendevano, come avrebbe richiesto il contenuto semantico del termine, il grande continente compreso tra l’Atlantico e il Pacifico e fra l’Oceano Artico e l’Oceano Indiano, ma si riferivano ad un grande spazio intermedio fra l’Europa e l’Asia, distinto tanto dall’Europa quanto dall’Asia. Per loro, l’Asia era l’insieme delle regioni periferiche orientali, sudorientali e meridionali del grande continente: il Giappone, la Cina, l’Indocina, l’India, l’Iran e tutta l’Asia minore. Quanto all’Europa, essa coincideva col “mondo romanogermanico”, riducendosi sostanzialmente all’Europa occidentale e centrale, mentre quella che si è soliti chiamare “Europa orientale”, fino agli Urali, per loro era una parte dell’Eurasia. D’altronde essi ritenevano errata e fuorviante la suddivisione della Russia in una parte europea e in una parte asiatica. Nel saggio intitolato Povorot k Vostoku [“Svolta ad Oriente”] Pëtr Savickij è esplicito: “La Russia non è soltanto Occidente, ma anche Oriente, non solo Europa, ma anche Asia; anzi, non è Europa, bensì Eurasia”[24]. In sostanza, per gli autori del “manifesto” del 1921 l’Eurasia si identificava con l’Impero russo, più o meno lo stesso grande spazio storicamente delimitato dai confini dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Agli “eurasiatisti” degli anni Venti si ricollega in una certa misura lo storico, etnologo ed antropologo Lev N. Gumilëv (1912-1992)[25], che con le sue opere[26] ha rivalutato l’apporto dei popoli turchi, mongoli e tatari alla nascita della Russia, riconoscendo a quest’ultima il carattere multietnico e la molteplicità delle radici culturali. Anche Gumilëv identifica l’Eurasia con l’area geografica dell’Impero russo e dell’Unione Sovietica. Divisa da nord a sud in quattro fasce orizzontali caratterizzate rispettivamente dalla tundra priva di vegetazione, dalla taiga forestale, dalla steppa e infine dal deserto, quest’area geografica è compresa tra due fasce climatiche, che da una parte la separano dal più mite clima europeo e, dall’altra, dal clima monsonico tipico delle zone periferiche dell’Asia. Una tale conformazione, secondo Gumilëv, ha portato alla formazione di una civiltà autonoma fortemente distinta dalle altre che la circondano.
Il neoeurasiatismo
Da una rielaborazione del cosiddetto eurasiatismo “classico”, arricchita dagli apporti della geopolitica e da elementi del pensiero tradizionalista (René Guénon, Julius Evola ecc.), nasce in Russia sul finire degli anni Ottanta il cosiddetto “neoeurasiatismo”. Suo principale teorico ed esponente è Aleksandr G. Dugin (1962-), fondatore del Movimento Eurasiatista Internazionale (Meždunarodnoe Evrazijskoe Dviženie) e, nel corso degli anni, collaboratore o fiancheggiatore di soggetti politici diversi: prima del Partito Comunista di Gennadij Zjuganov, poi del Partito Nazionalbolscevico di Eduard Limonov, poi del Partito Liberal-Democratico di Vladimir Žirinovskij e finalmente del partito Russia Unita (Edinaja Rossija) di Vladimir Putin.
La visione di Dugin si differenzia dall’eurasiatismo “classico”, perché all’incompatibilità della Russia con l’Europa “romano-germanica” egli sostituisce (almeno nella prima fase del suo pensiero) l’antitesi radicale fra gl’interessi continentali di tutta la massa eurasiatica e l’Occidente egemonizzato dagli Stati Uniti. L’Europa, il mondo musulmano, la Cina e il Giappone non sono più considerati come irriducibili avversari che circondano la Russia, bensì come suoi potenziali alleati, in nome della contrapposizione di matrice schmittiana fra potenze di terra e potenze marittime.
L’Eurasia, che da Trubeckoj a Gumilëv era stata identificata con l’area corrispondente alla Russia imperiale prima e all’Unione Sovietica poi, nel neoeurasiatismo dughiniano non ha un profilo univoco e definito. A volte, infatti, Dugin chiama Eurasia l’intero continente; altre volte afferma che “né l’idea eurasiatica né l’Eurasia come concetto corrispondono strettamente ai limiti geografici del continente eurasiatico”[27]; altre volte considera l’Eurasia e l’Europa come due civiltà distinte fra loro[28].
Nella prospettiva geopolitica di Dugin, da lui stesso ampiamente esposta sul primo numero di “Eurasia”[29], il continente antico, ossia la massa terrestre dell’emisfero orientale, si articola in tre grandi “cinture verticali”, estese da nord a sud, ciascuna delle quali consiste di diversi “grandi spazi”. La prima di tali “cinture” è l’Eurafrica, formata dall’Europa, dal grande spazio arabo e dall’Africa transahariana. La seconda “cintura” è la zona russo-centroasiatica, costituita da tre grandi spazi che talvolta si sovrappongono l’uno all’altro; il primo di essi è la Federazione Russa con le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, il secondo è il grande spazio dell’Islam continentale (Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan), il terzo grande spazio è l’India. La terza “cintura verticale”, infine, è la zona del Pacifico, condominio di due grandi spazi (Cina e Giappone) che comprende anche Indonesia, Malesia, Filippine e Australia.
Questa suddivisione costituisce una ripresa delle Panideen di Karl Haushofer (1869-1946), il quale aveva teorizzato un emisfero orientale geopoliticamente ripartito in uno spazio eurafricano, uno spazio panrusso esteso fino all’Oceano Indiano ma privo dello sbocco al Pacifico e, infine, uno spazio estremo-orientale comprendente Giappone, Cina, Sud-Est asiatico e Indonesia[30]. Allo schema haushoferiano Dugin ha apportato alcune modifiche richieste dalla situazione internazionale odierna, assegnando alla seconda fascia (la zona russo-centroasiatica) anche il Vicino Oriente e la Siberia fino a Vladivostok.
La prospettiva geopolitica “verticale” teorizzata da Dugin è stata oggetto, sulle pagine di “Eurasia”, delle osservazioni critiche di Carlo Terracciano (1948-2005)[31]. L’Eurasia, osservava Terracciano, “è un continente ‘orizzontale’, al contrario dell’America che è un continente ‘verticale’”[32]; anzi, tutta quanta la massa continentale del nostro emisfero, l’emisfero orientale del globo terrestre, è costituita di unità omogenee disposte in senso orizzontale. Traducendo questa visione geografica in termini geopolitici, Terracciano prospettava “l’integrazione della grande pianura eurasiatica settentrionale dal canale della Manica allo stretto di Bering”[33]. A questa prima fascia orizzontale si affiancano, in successive fasce orizzontali, le altre unità geopolitiche dell’Eurasia e dell’Africa: il grande spazio arabo del Nordafrica e del Vicino Oriente, il grande spazio transahariano, il grande spazio islamico compreso fra il Caucaso e l’Indo eccetera. In una tale prospettiva, è naturale che l’Europa si integri in una sfera di cooperazione economica, politica e militare con la Russia, altrimenti, scrive Terracciano, l’Europa sarà usata dagli Americani “come una pistola puntata su Mosca”[34]. Da parte sua, la Russia non può fare a meno dell’Europa, anzi, ne ha bisogno. Da un punto di vista russo “l’unica sicurezza per i secoli a venire non può esser rappresentata che dal controllo sotto qualsiasi forma delle coste della massa eurasiatica settentrionale, quelle coste che si affacciano sui due principali oceani mondiali, l’Atlantico e il Pacifico”[35]. La necessità dell’integrazione geopolitica di Europa e Russia impone sia agli Europei sia ai Russi la revisione definitiva di certe contrapposizioni, a partire dalla “contrapposizione ‘razziale’ tra euro-germanici e slavi”[36]. Ma anche i Russi devono eliminare i residui di quella eurofobia che, nata dalla giusta esigenza di rivalutare la loro componente turco-tatara, li ha indotti talvolta a contrapporre in maniera radicale la Russia all’Europa germanica e latina. Perciò, “se ancora di Occidente ed Oriente si può e si deve parlare, la linea di demarcazione deve essere posta tra i due emisferi, tra le due masse continentali separate dai grandi oceani”[37], cosicché il vero Occidente, la terra del tramonto, risulterà essere l’America, mentre l’Oriente, la terra della luce, coinciderà col Continente antico.
Secondo la prospettiva geopolitica che ha caratterizzato il pensiero di Dugin fino al 2016, l’Eurasia – tutto il continente eurasiatico – è oggetto dell’aggressione degli Stati Uniti d’America, i quali sono spinti alla conquista del Heartland e quindi del potere mondiale dalla loro stessa natura talassocratica (e non semplicemente dall’orientamento ideologico di una parte della loro classe politica). Ma all’epoca della campagna elettorale di Donald Trump e della sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti il pensiero di Dugin subisce un cambiamento radicale: adottando un criterio più ideologico che geopolitico e indicando il “nemico principale” non più nella potenza nordamericana bensì nella fazione liberal e globalista, Dugin saluta con fervido entusiasmo l’elezione di Trump e scrive testualmente: “Per me è ovvio che la vittoria di Trump ha segnato il collasso del paradigma politico globale e, simultaneamente, l’inizio di un nuovo ciclo storico (…) Nell’età di Trump l’antiamericanismo è sinonimo di globalizzazione (…) In altre parole, nell’attuale contesto politico l’antiamericanismo diventa parte integrante della retorica della stessa élite liberale, per la quale l’avvento di Trump è stato un vero e proprio colpo. Per gli oppositori di Trump, il 20 gennaio 2017 è stato la ‘fine della storia’, mentre per noi ha rappresentato un varco per nuove opportunità ed opzioni”[38]. Tre anni più tardi, il 3 gennaio 2020, nel giorno stesso in cui Trump rivendica con orgoglio l’assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani, Dugin gli augura testualmente – in un messaggio pubblicato su Facebook – altri quattro anni di presidenza: “Four more years”. Nel 2021 Dugin ribadisce la sua posizione filotrumpista in un Manifesto del Grande Risveglio[39], nel quale afferma che il Great Awakening “proviene dagli Stati Uniti, da questa civiltà in cui il crepuscolo del liberalismo è più intenso che altrove”[40], non mancando peraltro di riconoscere il “ruolo importante svolto in questo processo dall’agit-prop americano di orientamento conservatore Steve Bannon”[41]. La conclusione è che “la nostra lotta non è più contro l’America. L’America che conoscevamo non esiste più. La divisione della società americana è, da adesso, irreversibile. Ci troviamo dappertutto nella medesima situazione, negli Stati Uniti e fuori. Si combatte la stessa battaglia su scala globale”[42].
“L’Impero europeo è, per postulato, eurasiatico”
Nella prospettiva “orizzontale” di Carlo Terracciano è evidente l’influenza del pensiero di Jean Thiriart (1922-1992), il quale arrivò a teorizzare, dopo una lunga elaborazione, la fusione politica dell’Europa con la Russia in un’unica repubblica imperiale. Nel 1964, in un’Europa divisa fra due blocchi, Thiriart aveva pubblicato nelle principali lingue europee un libro intitolato Un empire de 400 millions d’hommes: l’Europe, nel quale affermava la necessità storica di edificare un’Europa unitaria, indipendente sia da Washington sia da Mosca. “Nel contesto di una geopolitica e di una civiltà comune – egli scriveva – l’Europa unitaria e comunitaria si estende da Brest a Bucarest. (…) Contro i 414 milioni di Europei vi sono i 180 milioni di abitanti degli USA e i 210 milioni di abitanti dell’URSS”[43].
Concepito come terza forza sovrana ed armata, l’“impero di 400 milioni di uomini” preconizzato da Thiriart avrebbe dovuto instaurare con l’URSS un rapporto di coesistenza basato su condizioni precise: “Con l’URSS una coesistenza pacifica non sarà possibile se non dopo che tutte le nostre province dell’Est avranno riacquistata l’indipendenza. La vicinanza pacifica con l’URSS comincerà il giorno in cui questa retrocederà entro le frontiere del 1938. Ma non prima: ogni forma di convivenza che possa implicare la divisione dell’Europa non è che una frode”[44]. Secondo Thiriart, la coesistenza pacifica tra l’Europa unitaria e l’URSS avrebbe avuto il suo sviluppo logico in “un asse Brest-Vladivostok. (…) Se l’URSS vuole conservare la Siberia, deve fare la pace con l’Europa, con l’Europa da Brest a Bucarest, lo ripeto. L’URSS non ha, ed avrà sempre meno, la forza per conservare Varsavia e Budapest da una parte e Chita e Khabarovsk dall’altra. Dovrà scegliere, o rischiare di perdere tutto. (…) L’acciaio che si produce nella Ruhr potrebbe servire benissimo a difendere Vladivostok”[45]. L’asse Brest-Vladivostok teorizzato all’epoca da Thiriart sembrava avere più che altro il significato di un accordo finalizzato a definire le rispettive aree d’influenza dell’Europa unitaria e dell’URSS, poiché “nella prima metà degli anni Sessanta Thiriart ragiona ancora nei termini di una geopolitica ‘verticale’, che lo porta a pensare secondo una logica più ‘eurafricana’ che ‘eurasiatica’, ovvero a delineare un’estensione dell’Europa da Nord a Sud e non da Est a Ovest”[46].
Lo scenario abbozzato nel 1964 venne sviluppato da Thiriart negli anni successivi, cosicché nel 1982 egli poteva definirlo nel modo seguente: “Non bisogna più ragionare o speculare in termini di conflitto fra l’URSS e noi, ma in termini di avvicinamento e poi di unificazione. (…) bisogna aiutare l’URSS a completarsi nella grande dimensione continentale. Ciò triplicherà la popolazione sovietica, che per questo fatto stesso non potrà più essere una potenza a dominante ‘carattere russo’. (…) Sarà la fisica della storia a costringere l’URSS a cercare rive sicure: Reykjavik, Dublino, Cadice, Casablanca. Al di qua di questi limiti l’URSS non sarà mai tranquilla e dovrà vivere in una preparazione militare incessante. E costosa”[47]. Ormai la visione geopolitica di Thiriart era diventata dichiaratamente eurasiatista: “L’Impero euro-sovietico – scriveva nel 1987 – si inscrive nella dimensione eurasiatica”[48]. Tale concetto venne da lui ribadito nel lungo discorso pronunciato a Mosca tre mesi prima di morire: “L’Impero europeo – disse in quell’occasione – è, per postulato, eurasiatico”[49].
L’idea di un “Impero euro-sovietico” venne esposta da Thiriart in un libro scritto nel 1984 e uscito postumo in edizione italiana. Nel 1984, scriveva l’autore, “la storia conferisce ai Sovietici l’eredità, il ruolo, il destino che per un breve momento era stato assegnato al [Terzo] Reich: l’URSS è la principale potenza continentale in Europa, è l’heartland dei geopolitici. Il mio discorso attuale è rivolto ai capi militari di quel magnifico strumento che è l’Armata sovietica, uno strumento al quale manca una grande causa”[50]. Partendo dalla constatazione che nel mosaico europeo costituito di Paesi satelliti degli USA o dell’URSS l’unico Stato realmente indipendente, sovrano e militarmente forte era quello sovietico, Thiriart assegnava all’URSS un ruolo analogo a quello svolto dal Regno di Sardegna nel processo di unificazione italiana o dal Regno di Prussia nel mondo tedesco; oppure, per citare un altro parallelo storico proposto dallo stesso Thiriart, dal Regno di Macedonia nella Grecia del IV secolo a.C.: “La situazione della Grecia del 350 a.C., frantumata in Stati cittadini rivali e spartita fra le due potenze dell’epoca, Persia e Macedonia, presenta un’evidente analogia con la situazione dell’attuale Europa occidentale, divisa in piccoli e deboli Stati territoriali (Italia, Francia, Inghilterra, Germania federale) sottomessi alle due superpotenze”[51]. Perciò, come vi fu un partito filomacedone ad Atene, così sarebbe stato opportuno creare nell’Europa occidentale un partito rivoluzionario che collaborasse con l’Unione Sovietica; la quale, oltre a liberarsi dalle pastoie ideologiche dell’incapacitante dogmatismo marxista, avrebbe dovuto evitare ogni tentazione di instaurare un’egemonia russa sull’Europa, altrimenti la sua impresa sarebbe inevitabilmente fallita, così come era fallito il tentativo napoleonico di instaurare un’egemonia francese sul continente. “Non si tratta – precisava Thiriart – di preferire un protettorato russo ad un protettorato americano. No. Si tratta di fare scoprire ai Sovietici, i quali probabilmente ne sono inconsapevoli, il ruolo che essi potrebbero svolgere: ingrandirsi identificandosi con tutta l’Europa. Così come la Prussia, ingrandendosi, diventò l’Impero tedesco. L’URSS è l’ultima potenza europea indipendente che dispone di un’importante forza militare. Ad essa manca l’intelligenza storica”[52].
La scacchiera eurasiatica
The Eurasian Chessboard (“La scacchiera eurasiatica”) è il titolo del secondo capitolo di un libro scritto nel 1997 da Zbigniew Brzezinski (1928-2017)[53], che dal 1977 al 1981, durante la presidenza di Jimmy Carter, fu consigliere per la sicurezza nazionale. Attingendo alle tesi di Sir Halford Mackinder (1861-1947), del quale non manca di riportare la formula celeberrima[54], Brzezinski spiega ai circoli dell’imperialismo nordamericano la necessità di adottare una “geostrategia per l’Eurasia”[55], ritenendo indispensabile che gli Stati Uniti, se vogliono dominare il mondo, esercitino il loro controllo sul continente eurasiatico. “Per l’America – egli scrive – l’Eurasia è il principale bottino geopolitico. Per mezzo millennio gli affari mondiali sono stati dominati dalle potenze eurasiatiche (…) Ora in Eurasia prevale una potenza non eurasiatica, e il primato globale dell’America dipende direttamente dalla durata e dall’efficacia della sua preponderanza nel continente eurasiatico”[56]. Brzezinski attrae l’attenzione su un dato di fatto: “L’Eurasia è il più grande continente del globo ed è geopoliticamente assiale”[57], sicché una potenza che fosse in grado di dominarla controllerebbe due delle tre regioni del mondo più avanzate e più economicamente produttive. D’altronde “un semplice sguardo alla carta geografica mostra anche che il controllo dell’Eurasia implicherebbe quasi automaticamente la subordinazione dell’Africa, rendendo l’emisfero occidentale e l’Oceania geopoliticamente periferici rispetto al continente centrale del mondo”[58]. Inoltre, “l’Eurasia è anche la sede della maggior parte degli Stati politicamente assertivi e dinamici. Dopo gli Stati Uniti, le sei maggiori economie e i sei maggiori acquirenti di armamenti si trovano in Eurasia. I due più popolosi Paesi che aspirano all’egemonia regionale e all’influenza globale sono eurasiatici. Tutti i potenziali sfidanti politici e/o economici del primato americano sono eurasiatici. In totale, la potenza dell’Eurasia oscura ampiamente quella dell’America. Fortunatamente per l’America, l’Eurasia è troppo grande per essere politicamente unita. L’Eurasia è dunque la scacchiera su cui continua a svolgersi la lotta per il primato globale”[59].
Per dare un’idea di “questa enorme scacchiera eurasiatica dalla forma strana che si estende da Lisbona a Vladivostok”[60], sulla quale si gioca “la grande partita”, Brzezinski inserisce una carta geografica del continente suddivisa in quattro grandi spazi, da lui rispettivamente denominati Middle Space (corrispondente grosso modo alla Federazione Russa e ai territori adiacenti in Asia centrale), West (l’Europa), South (Vicino e Medio Oriente), East (Estremo Oriente e Sud-est asiatico). “Se lo Spazio di Mezzo – scrive Brzezinski – può essere trascinato sempre più nell’orbita espansiva dell’Occidente (dove l’America è preponderante), se la regione meridionale non è soggetta al dominio di un solo giocatore, e se l’Estremo Oriente non è unificato in modo da provocare l’espulsione dell’America dalle basi che essa mantiene fuori dal suo territorio, allora si può dire che l’America prevale. Ma se lo Spazio di Mezzo respinge l’Occidente, diventa una sola entità assertiva ed ottiene il controllo sul Sud o stabilisce un’alleanza col principale attore orientale [la Cina, ndr], allora il primato dell’America in Eurasia si riduce in maniera drammatica. Lo stesso accadrebbe se i due grandi attori estremo-orientali [Cina e Giappone, ndr] dovessero unirsi in qualche modo”[61].
La “geostrategia per l’Eurasia” elaborata da Brzezinski individua nell’Europa il veicolo principale di cui dispongono gli Stati Uniti per la loro ulteriore proiezione di potere nel continente eurasiatico. Secondo la definizione brutalmente realistica usata dall’ex consigliere di Carter, l’Europa è la “fondamentale testa di ponte geopolitica dell’America nel continente eurasiatico”[62]; per di più, si tratta di una “testa di ponte democratica”[63], poiché “gli stessi valori”[64] che nel 1945 e nel 1989 sono stati esportati dall’America in Europa hanno fatto di quest’ultima “il naturale [sic!] alleato dell’America”[65]. Perciò, assicura Brzezinski, l’ampliamento dell’Unione Europea, politicamente ininfluente e militarmente soggetta agli USA, non dovrebbe destare eccessive preoccupazioni alla Casa Bianca, al contrario: “Un’Europa più ampia espanderà il raggio dell’influenza americana (…) senza creare al contempo un’Europa politicamente così integrata che possa subito sfidare altrove gli Stati Uniti in affari geopolitici di grande importanza per l’America, in particolare nel Medio Oriente”[66].
Per quanto riguarda il ruolo geopolitico della Russia, il grande Paese al centro della massa continentale eurasiatica, Brzezinski riferisce le eventualità che alla fine degli anni Novanta venivano prese in considerazione dagli analisti. Fra tutte le teorie formulate a quell’epoca, ad essersi praticamente realizzata è quella secondo cui la Russia, prima o poi, avrebbe costituito uno schieramento eurasiatico insieme con l’Iran e con la Cina: “la potenza islamica più militante del mondo e la potenza asiatica più popolosa e forte”[67].
NOTE
[1] George Orwell, Nineteen Eighty-Four, Secker & Warburg, London 1949.
[2] Roderigo Di Castiglia (pseudonimo di Palmiro Togliatti), Hanno perduto la speranza, “Rinascita”, anno VI, n° 11-12, novembre-dicembre 1950.
[3] Giulio Meotti, Ecco perché ho scritto 1984, “Il Foglio” (versione digitale), 26 agosto 2013.
[4] Eduard Suess, Das Antlitz der Erde, 3 voll., F. Tempsky, Prag-Wien-Leipzig 1885-1909.
[5] Carl Gustav Reuschle, Handbuch der Geographie oder Neueste Erdbeschreibung mit besonderer Rücksicht auf Statistik, Topographie und Geschichte, Schweizerbart, Stuttgart 1859.
[6] Esiodo, Teogonia, 346-348.
[7] Eschilo, Persiani, 185-186.
[8] Raniero Gnoli, Ricordo di Giuseppe Tucci, ISIAO, Roma 1985, p. 9.
[9] Giuseppe Tucci, Ciro il Grande. Discorso commemorativo tenuto in Campidoglio il 25 maggio 1971, ISIAO, Roma 1971, p. 14.
[10] Mircea Eliade, L’épreuve du labyrinthe. Entretiens avec Claude-Henri Rocquet, Pierre Belfond, Paris 1978, p. 70.
[11] Mircea Eliade, L’Europe et les rideaux, “Comprendre”, 3, 1951, p. 115.
[12] Roberto Scagno, Mircea Eliade: un Ulisse romeno tra Oriente e Occidente, in: AA. VV., Confronto con Mircea Eliade, Jaca Book, Milano 1998, p. 21.
[13] Mircea Eliade, Struttura e funzione dei miti, in Spezzare il tetto della casa, Jaca Book, Milano 1988, pp. 74-75.
[14] Franz Altheim, Storia della religione romana, Settimo Sigillo, Roma 1996, p. 30.
[15] Franz Altheim, Attila et les Huns, Payot, Paris 1952, p. 5.
[16] Franz Altheim, Attila et les Huns, cit., p. 225.
[17] Si potrebbero aggiungere altri casi esemplari: cfr. C. Mutti, Esploratori del Continente. L’unità dell’Eurasia nello specchio della filosofia, dell’orientalistica e della storia delle religioni, Effepi, Genova 2011.
[18] Eurasismo o eurasiatismo? Eurasista o eurasiatista? È vero che “le espressioni eurasismo ed eurasista [sono] ormai entrate nell’uso comune” (Aldo Ferrari, La Foresta e la Steppa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa, Libri Scheiwiller, Milano 2003, p. 197, n. 89). Tuttavia, basandomi su un criterio analogico, ritengo preferibili le forme eurasiatismo ed eurasiatista, dal momento che termini simili, quali ad esempio europeismo, africanismo, americanismo ecc., così come gli aggettivi corrispondenti, si formano aggiungendo il suffisso -ismo, -ista al tema dell’aggettivo, non al tema nominale. Altrimenti avremmo europista, africhista, americhista.
[19] “La cultura europea (…) è il risultato della storia di un determinato gruppo etnico. Le tribù germaniche e celtiche, subendo in varia misura l’influsso della cultura romana e mescolandosi fortemente tra loro, dagli elementi della loro cultura nazionale e di quella romana hanno creato un determinato modo di vita comune. In virtù di condizioni etnografiche e geografiche comuni, essi vissero a lungo una vita comune e nei loro costumi e nella loro storia, grazie ai continui rapporti reciproci, gli elementi comuni sono stati talmente rilevanti, che il sentimento dell’unità romanogermanica era inconsciamente sempre presente in loro” (Nikolaj Trubeckoj, L’Europa e l’umanità, Einaudi, Torino 1982, p. 12).
[20] Per una panoramica del pensiero eurasiatista “classico”, oltre al già citato studio di Aldo Ferrari, La Foresta e la Steppa, si veda Otto Böss, La dottrina eurasiatica. Contributi per una storia del pensiero russo nel XX secolo, Società Editrice Barbarossa, Cusano Milanino, s.d.
[21] Nicolas S. Troubetzkoy, Principes de Phonologie traduits par J. Cantineau, Paris 1949.
[22] AA. VV., Ischod k Vostoku. Predčuvstrija i sverženija. Utverždenie evrazijcev, Rossijsko-Bolgarskoe izdatel’stvo, Sofija 1921.
[23] Nikolaj Sergeevič Trubeckoj, L’eredità di Gengis Khan, Società Editrice Barbarossa, Milano 2005, p. 24.
[24] Pëtr Savickij, Povorot k Vostoku, in AA. VV., Ischod k Vostoku, cit., pp. 1-13.
[25] Martino Conserva – Vadim Levant, Lev Nikolaevič Gumilëv, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2005; Luigi Zuccaro, La geofilosofia con Lev Gumilëv, Anteo, Cavriago 2022.
[26] In italiano: Lev Gumilëv, Gli Unni. Un impero di nomadi antagonista dell’antica Cina, Einaudi 1972.
[27] Aleksandr Dugin, L’idea eurasiatista, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 1/2004, p. 9.
[28] Alain De Benoist – Aleksandr Dugin, Eurasia. Vladimir Putin e la grande politica, Controcorrente, Napoli 2014, p. 100.
[29] Aleksandr Dugin, L’idea eurasiatista, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, cit., pp. 7-23.
[30] Cfr. Karl Haushofer, Il blocco continentale. Mitteleuropa-Eurasia-Giappone, Anteo, Cavriago 2023.
[31] Claudio Mutti, Carlo Terracciano redattore di Eurasia, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 1/2021, pp. 19-24.
[32] Carlo Terracciano, Europa-Russia-Eurasia: una geopolitica “orizzontale”, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 2/2005, p. 181.
[33] Carlo Terracciano, Europa-Russia-Eurasia: una geopolitica “orizzontale”, cit., p. 191.
[34] Carlo Terracciano, Europa-Russia-Eurasia: una geopolitica “orizzontale”, cit., p. 184.
[35] Carlo Terracciano, Europa-Russia-Eurasia: una geopolitica “orizzontale”, cit., p. 184.
[36] Carlo Terracciano, Europa-Russia-Eurasia: una geopolitica “orizzontale”, cit., p. 186.
[37] Carlo Terracciano, Europa-Russia-Eurasia: una geopolitica “orizzontale”, cit., p. 190.
[38] “For me it is obvious that Trump’s victory marked the collapse of the global political paradigm, and simultaneously the beginning of a new historical cycle. (…) in the ‘Age of Trump’ anti-Americanism is already synonymous with globalization (…) In other words, anti-Americanism in the current political context is becoming an integral part of the rhetoric of the very same liberal elite for whom the arrival of Trump was a real blow. For the opponents of Trump, January 20 was the ‘end of history’, while for us it represented a window for new opportunities and options” (“Les Amis d’Alain de Benoist”, 28 marzo 2017, alaindebenoist.com). Per un’analisi dell’errore di valutazione commesso da Dugin circa il fenomeno trumpista, cfr. Daniele Perra, La visione strategica di Aleksandr Dugin, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 1/2020, pp. 19-26.
[39] Alexandre Douguine, Contre le Great Reset. Le Manifeste du Grand Réveil, Ars Magna, 2021. Ed. it.: Aleksandr Dugin, Contro il Grande Reset. Manifesto del Grande Risveglio, AGA Editrice, Cusano Milanino 2022.
[40] Alexandre Douguine, Contre le Great Reset. Le Manifeste du Grand Réveil, cit., p. 47. Sulla rinnovata fortuna del tema evangelico del “Grande Risveglio”, cfr. Claudio Mutti, Le sètte dell’Occidente, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 2/2021, pp. 9-17.
[41] Alexandre Douguine, Contre le Great Reset. Le Manifeste du Grand Réveil, cit., p. 37. Sul ruolo di Steve Bannon, cfr. Claudio Mutti, Sovranisti a sovranità limitata, in AA. VV., Inganno Bannon, Cinabro Edizioni, Roma 2019, pp. 83-102.
[42] “Our fight is no more against America. America we knew doesn’t exists anymore. The split of American society is henceforth irreversible. We are in same situation everywhere – inside of US and outside. So the same combat on global scale” (Alexander Dugin, Great Awakening: the future starts now, “Katehon”, 9 gennaio 2021, katehon.com).
[43] Jean Thiriart, Un impero di 400 milioni di uomini: l’Europa, Volpe, Roma 1965., pp. 17-18.
[44] Jean Thiriart, Un impero di 400 milioni di uomini: l’Europa, cit., p. 21.
[45] Jean Thiriart, Un impero di 400 milioni di uomini: l’Europa, cit., pp. 26-29.
[46] Lorenzo Disogra, L’Europa come rivoluzione. Pensiero e azione di Jean Thiriart, Prefazione di Franco Cardini, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2020, p. 30.
[47] Jean Thiriart, Entretien accordé à Bernardo Gil Mugurza [rectius: Mugarza] (1982), in: AA. VV., Le prophète de la grande Europe, Jean Thiriart, Ars Magna 2018, p. 349.
[48] Jean Thiriart, La Turquie, la Méditerranée et l’Europe, “Conscience européenne”, n. 18, luglio 1987.
[49] Il saggio L’Europe jusqu’à Vladivostok, diffuso nella traduzione russa sul periodico “Den’” e pubblicato in francese sul n. 9 di “Nationalisme et République” nel settembre 1992, venne ripreso nella conferenza stampa che Jean Thiriart tenne a Mosca il 18 agosto di quel medesimo anno. La traduzione italiana è apparsa su “Eurasia”: la prima parte nel n. 4/2013 (pp. 177-183), la seconda parte nel n. 4/2017 (pp. 131-145).
[50] Jean Thiriart, L’Impero Euro-sovietico da Vladivostok a Dublino, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2018, p. 204.
[51] Jean Thiriart, L’Impero Euro-sovietico da Vladivostok a Dublino, cit., p. 190.
[52] Jean Thiriart, L’Impero Euro-sovietico da Vladivostok a Dublino, cit., p. 191.
[53] Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard. American Primacy and Its Geostrategic Imperatives, Basic Books, New York 1997. Ed. it.: La grande scacchiera, Longanesi, Milano 1998.
[54] “Who rules East Europe commands the Heartland; Who rules the Heartland commands the World-Island; Who rules the World-Island commands the world” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 38).
[55] “A geostrategy for Eurasia” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 197).
[56] “For America, the chief geopolitical prize is Eurasia. For half a millennium, world affairs were dominated by Eurasian powers (…) Now a non-Eurasian power is preeminent in Eurasia – and America’s global primacy is directly dependent on how long and how effectively its preponderance on the Eurasian continent is sustained” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 30).
[57] “Eurasia is the globe‘s largest continent and is geopolitically axial” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 31).
[58] “A mere glance at the map also suggests that control over Eurasia would almost automatically entail Africa’s subordination, rendering the Western Hemisphere and Oceania geopolitically peripheral to the world’s central continent” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 31).
[59] “Eurasia is also the location of most of the world’s politically assertive and dynamic states. After the United States, the next six largest economies and the next six biggest spenders on military weaponry are located in Eurasia. The world’s two most populous aspirants to regional hegemony and global influence are Eurasian. All of the potential political and/or economic challengers to American primacy are Eurasian. Cumulatively, Eurasia’s power vastly overshadows America’s. Fortunately for America, Eurasia is too big to be politically one. Eurasia is thus the chessboard on which the struggle for global primacy continues to be played” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 31).
[60] “This huge, oddly shaped Eurasian chessboard – extending from Lisbon to Vladivostok” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 35).
[61] “If the middle space can be drawn increasingly into the expanding orbit of the West (where America preponderates), if the southern region is not subjected to domination by a single player, and if the East is not unified in a manner that prompts the expulsion of America from its offshore bases, America can then be said to prevail. But if the middle space rebuffs the West, becomes an assertive single entity, and either gains control over the South or forms an alliance with the major Eastern actor, then America’s primacy in Eurasia shrinks dramatically. The same would be the case if the two major Eastern players [Cina e Giappone] were somehow to unite” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 35).
[62] “America’s essential geopolitical bridgehead in Eurasian continent” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 59).
[63] “The Democratic Bridgehead” è il titolo del terzo capitolo di The Grand Chessboard, cit., p. 57.
[64] “the same values” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 59).
[65] “America’s natural ally” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 57).
[66] “A larger Europe will expand the range of American influence (…) without simultaneously creating a Europe politically so integrated that it could soon challenge the United States on geopolitical matters of high importance to America elsewhere, particularly in the Middle East” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 199).
[67] “the world’s most militant Islamic power, and the world’s most populated and powerful Asian power” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard, cit., p. 116).
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